Quick travel: il paradosso dei videogiochi
Mondi immensi che non è sempre tanto divertente percorrere e piccoli accorgimenti per divertirsi un po' di più.
Ciao,
prima di procedere con la puntata di questa settimana, è doverosa una precisazione. Ho lavorato all’adattamento dall’inglese del videogioco di cui parlo nella prima parte della newsletter: The Crew Motorfest. Qua sotto non ci sono valutazioni del gioco, perché non è quello che mi interessa fare in questa newsletter, ma in ogni caso meglio essere chiari. Che poi, a dirla tutta, se anche ci fossero state valutazioni…
Ma comunque, dicevo: The Crew Motorfest mi serve come punto di partenza per scrivere delle due espressioni, tipiche dei videogiochi, protagoniste questa settimana. Una si riferisce a un meccanismo ormai oliato, ma che fa muovere un marchingegno complesso come sono tutti gli open world, i giochi a mondo aperto. L’altra è più nuova, almeno per i giocatori, ed è uscita allo scoperto dopo essere rimasta a lungo nascosta.
Buona lettura!
Quick travel: il paradosso dei videogiochi
The Crew Motorfest è un gioco di guida1 prodotto da Ubisoft e realizzato negli studi a Lione di Ivory Tower. È disponibile per PlayStation, Xbox e PC da alcune settimane e si presenta come il terzo episodio di una serie che ha debuttato nel 2014. Questa nuova uscita ha rivisto in parte la struttura di gioco, che però continua a proporre un mondo di gioco entro cui muoversi liberamente, alla ricerca della prossima sfida.
Che mi ricordi, Burnout Paradise (Electronic Arts, 2008) è stato il primo gioco di guida a costruire un ambiente di gioco in cui correre liberamente con il proprio veicolo e dentro cui erano organizzate le gare, disseminando i chilometri quadrati di attività collaterali. Era un periodo in cui quasi ogni canone veniva messo in discussione, nel tentativo di ridefinirlo alla luce delle “nuove scoperte” nell’ambito dei mondi cosiddetti “aperti”. Sono stati gli anni in cui si sono definite molte delle regole che ancora seguono i videogiochi dei nostri giorni. Tra cui, appunto, The Crew Motorfest. Nel gioco di Ivory Tower ci si può dirigere dove si vuole, esplorando una rilettura dell’isola di O’ahu, parte dell’arcipelago delle Hawaii. Quando, poi, si vuole raggiungere il punto preciso da cui accedere a un confronto con altri piloti, può anche capitare di dover guidare per dieci o quindici chilometri virtuali. Un impegno che può richiedere una decina di minuti e un minimo di attenzione, quello che basta per seguire le indicazioni del navigatore che indica il percorso da seguire.
Ci sono delle volte che ho sia il tempo che la voglia di farmi cullare da questo tran-tran dei videogiochi, una sorta di gioco a basso voltaggio che confina con la nullafacenza. Dopotutto si gioca per intrattenersi e anche rilassarsi con una punta di orgoglioso scazzo, è intrattenimento. Altre volte, però, vorrei solo potermi dedicare a un pezzetto di gioco “vero”, che è quello che, concluso, mi permette di ottenere dei risultati significativi. Nel caso di The Crew Motorfest sono i premi in denaro virtuale per acquistare nuove auto (qui si chiamano Bucks, i cari vecchi “verdoni”) e punti esperienza. In questi casi, poter evitare di dover attraversare un bel pezzo dell’isola, prima di poter affrontare la sfida, non mi dispiacerebbe… solo che non si può. In Forza Horizon 5 (Microsoft per Xbox e PC), l’esponente per eccellenza di questo modello di giochi di guida, è invece sempre possibile scegliere se arrivare alla sfida sulle proprie ruote o se essere trasportati automaticamente dal gioco.
Una sorta di teletrasporto.
I giocatori con più di trent’anni probabilmente sono ancora abituati a chiamare così questa funzione: il teletrasporto. La sua diffusione è stata veloce e regolare, con l’adeguarsi dei sistemi di gioco alla voglia di mondi sempre più estesi (ma a densità di “cose interessanti” altamente variabile, purtroppo). La dimensione dei giochi è un argomento ricorrente anche in questa newsletter ed è uno dei punti forte su cui hanno spinto i grandi editori e i loro reparti di marketing, negli ultimi vent’anni. L’idea di ritrovarsi di fronte a immense regioni, a potersi ritrovare immersi in biomi che variano da una zona all’altra, è stimolante. Forse non per tutti, ma evidentemente lo è per la maggioranza del pubblico, altrimenti vorrebbe dire che gli editori sono tutti impazziti.
Poi, però, bisogna anche venire a patti con la realtà. Bisogna muoversi dentro e oltre quelle vallate, su per quelle montagne, dietro ogni quartiere, tra un sistema di autostrade e sopraelevate. Soprattutto, bisogna poterlo fare senza mettere in conto di impiegarci ogni volta decine di minuti. Perché quello che sembrava affascinante la prima volta, può diventare una gran rottura alla quinta. Nello scontro tra ciò che piace all’inizio e poi sa di già visto, tra i proclami da comunicato stampa e la realtà dell’esperienza del giocatore, si consuma uno dei paradossi dei nostri videogiochi. I mondi sì, grazie, ma con la possibilità di non doverli percorrere, per piacere.
I creatori dei videogiochi, giocatori prima di tutti gli altri, hanno ascoltato la supplica e da tempo l’idea di potersi spostare automaticamente tra alcuni punti precisi delle mappe dei giochi, è considerata una possibilità ovvia e, anzi, quasi una pretesa insindacabile. Di solito occorre prima “meritarsi” la comodità, raggiungendo i luoghi senza alcun automatismo, così da sbloccare il teletrasporto. Anzi, il “quick travel”, che in italiano diventa quasi sempre “viaggio rapido”, giustamente.
Per anni ho vissuto un rapporto complicato con il viaggio rapido, perché avevo la sensazione che in qualche modo stessi barando. O che comunque non stessi vivendo al 100% la proposta del gioco, cercando di tagliare corto su un tempo che non può essere considerato morto. Perché, se muoversi dal punto A al punto B di uno Zelda è un tempo morto, vuole dire che in mezzo non sto facendo nulla di interessante e quindi il problema è del gioco e il viaggio rapido non lo risolve, ma lo nasconde. Ma allora perché preoccuparsi di imbastire queste scenografie infinite, se rischiano di farci addormentare? Di risposte valide ce ne sono, non per nulla negli ultimi anni ho abbandonato la mia posizione oltranzista, con una certa soddisfazione.
ASCOLTATE LA RÉCLAME
Brevi cose su New Super Mario Bros. Wonder
Anche i giochi di piattaforme di Mario hanno iniziato a includere varie forme di viaggio rapido. Gli ambienti di Super Mario Odyssey hanno delle tappe tra cui teletrasportarsi, ma qualcosa di vagamente simile succede anche nel nuovo Super Mario Bros. Wonder, in uscita il 20 ottobre (solo per Switch).
Ho avuto modo di giocare un po’ con la versione finale di Super Mario Bros. Wonder e ne ho scritto per IGN. Clicca qui (per saperne di più).
Quality of life: dettagli importantissimi
Il viaggio rapido può essere inserito tra le risorse a disposizione del giocatore che rendono più godibile l’esperienza generale. E questa, facendola giù un po’ semplice, è anche la definizione degli elementi che vanno a costituire la “Quality of Life” di un videogioco. Per quanto mi riguarda, ho iniziato a imbattermi nell’espressione quando ho avuto a che fare con le traduzioni dei (sempre detestabili) changelog. Come è facilmente intuibile, i changelog sono gli elenchi delle modifiche apportate dall’aggiornamento di un software, nel nostro caso di un videogioco. Ecco, in mezzo a dei changelog ho visto spuntare per la prima volta una segnalazione che poteva, all’incirca, essere così: “Quality of Life improvements”.
Il senso generale è chiaro: è stato fatto qualcosa per rendere più godibile il tempo passato alle prese con il gioco. Secondo Josh Bycer di Game-Wisdom, che ha scritto un lungo pezzo sull’argomento, questa è la definizione di Quality of Life nei videogiochi:
Gli elementi di Quality of Life (o “QoL”) coprono una vasta gamma di aspetti pensati per rendere i giochi più accoglienti, senza modificare il gameplay vero e proprio.
Immagino che nel gergo degli sviluppatori, Quality of Life fosse un’espressione diffusa già da un bel pezzo, ma che è tracimata nelle comunicazioni verso il pubblico solo negli ultimi anni. C’è un pezzo di NME2 che si preoccupa proprio di spiegare cosa si intenda con Quality of Life nei/dei videogiochi, naturalmente in inglese. Nel discorso vengono giustamente inseriti anche gli accorgimenti che ricadono nell’ambito dell’accessibilità e cioè che permettono a persone con vari tipi di limitazioni di accedere al videogioco e di divertirsi. Un’altra lettura consigliata, questa volta in italiano, è un articolo di iCrewPlay.
Tra le pagine delle testate specializzate italiane, si parla di Quality Of Life sempre e comunque in inglese:
Spaziogames
Vi abbiamo spiegato nella nostra video recensione a tu per tu con PlayStation 5 che la nuova console di casa Sony sia una che punta fortemente a migliorare la quality of life dei giocatori3
Tra le altre novità, ci sono diverse cose pensate per la cosiddetta quality of life: ora, ad esempio, per raccogliere erbe e piante non dovete più confrontarvi con il menù apposito, ma la raccolta è più rapida. Inoltre, dalle opzioni è possibile attivare un menù rapido per i Segni che vi evita di passare per la tradizionale ruota.4
Everyeye
Non ci siamo fatti sfuggire l'occasione per dare il nostro feedback su alcune feature connesse alla quality of life, che riteniamo particolarmente importanti per rendere più godibile l'esperienza di gioco.5
Tante novità per la Quality Of Life6
Multiplayer
Come detto, l'update non si limita al nerfing di alcuni nemici, ma introduce anche una serie di novità che appartengono più che altro alla categoria quality of life, come ad esempio la possibilità di resettare le statistiche, il P-Organ e il Braccio a Legione anche presso l'Albero degli Zecchini d'Oro.7
Nei lunghi e bui corridoi dell’agenzia di localizzazione in cui lavoro, abbiamo scelto di tradurre quel “Quality of Life”, quando compare in vari ambiti nella comunicazione di un videogioco o addirittura dentro al videogioco stesso. A pensarci bene, credo che non sia ancora successo di trovare l’espressione direttamente in un videogioco, su schermo (e se mi sbaglio, sono molto interessato a sapere dove e come è successo!). Proseguendo: la traduzione che abbiamo utilizzato più volte è “ottimizzazione dell’esperienza” e crediamo che funzioni abbastanza bene negli ambiti in cui è utilizzata con maggior frequenza (sempre quei matti, matti changelog).
UPDATE
Redfall ottimizza le sue prestazioni
Non c’è traccia dell’espressione o della sigla “Quality of Life/QOL” nelle “Note sull’aggiornamento 2” di Redfall. Ho parlato di Redfall qualche mese fa: il gioco, pubblicato da Bethesda e realizzato da Arkane, era stato al centro delle discussioni per la mancanza di una modalità che garantisse i 60 frame al secondo. Mi riferisco a questa puntata: clicca qui per leggerla.
Ecco, ora quella modalità è stata aggiunta e assieme a lei anche un sacco di interventi a favore dell’accessibilità. Che, come appena visto, possiamo comunque far ricadere sotto l’ombrello della “qualità della vita”. Anzi, ancora meglio: dell’ottimizzazione dell’esperienza. Tutte le note sull’aggiornamento di Redfall possono essere consultate qui.
BONUS!
La “QOL” attorno ai videogiochi
Di Quality of Life si occupa anche questo sito: GameQoL.
C’è però una differenza sostanziale con quanto abbiamo appena visto: qua l’argomento è letteralmente la qualità della vita nel settore dei videogiochi. Per questo GameQoL si occupa di mettere a registro e mantenere organizzati e facilmente consultabili i vari reportage che portano alla luce condizioni di lavoro inaccettabili, ambienti tossici e quanto altro abbassi la qualità della vita di chi lavora nei videogiochi.
Purtroppo mi pare di capire che una parte delle iniziative di GameQoL, come il sondaggio annuale sulla “Most Desirable Game Company”, siano sospese o addirittura abbandonate, ma di materiale in cui infilare il naso (per uscirne più depressi di prima), ce n’è comunque a sufficienza.
VERBA MANENT
La deriva dei controller
Questa è una curiosità che volevo togliermi da un bel pezzo, almeno da quando i controller hanno iniziato a dare segnali preoccupanti. Ha iniziato Nintendo con i Joy-Con di Switch, segnalati per avere frequenti e irritanti problemi di letture errate degli input delle levette analogiche fin dal lancio nel 2017. Poi, per non essere da meno, anche i DualSense di PlayStation 5 hanno seguito le stesse orme (anche se, mi pare, con meno regolarità). Il fenomeno, come sanno più o meno tutti quelli che seguono da vicino i videogiochi, viene chiamato “drifting”.
Perché succede? Perché prima non succedeva? La risposta in un articolo, in inglese, che approfondisce con grande precisione la faccenda. Per leggerlo è sufficiente andare qui: Perché gli stick di PS5 driftano e perché andrà sempre peggio.
TL:DR: i controller vengono assemblati al risparmio.
NEXT-GEN
Nella prossima puntata
Nelle migliori edicole vostre caselle email lunedì 16 ottobre!
SEMIRETRO
Nelle puntate precedenti
Le parole dei picchiaduro a incontri (2 ottobre)
Nintendo prima nasconde e poi ricicla (25 settembre)
Quando abbiamo dato 11/10 a Super Mario Galaxy (18 settembre)
La decrescita felice di Assassin’s Creed Mirage (11 settembre)
Cross play, Cross save e la ricerca di uno standard (4 settembre)
Grazie a Floriana Grasso per la rilettura e le correzioni.
“To the bin my friend, tonight we vacate Earth” (Mogwai)
Questa puntata è lunga 13.000 caratteri, che corrispondono a circa 4 pagine su una qualsiasi rivista di videogiochi da edicola. Nel 1996 mi sarebbe stata pagata circa 100 euro da Studio Vit (calcolato su 140.000 lire con InflationHistory.com). Nel 2003 oltre 250 euro da Future Publishing.
Andrebbe fatta la distinzione tra “giochi di guida” e “giochi di corse”, dove questi ultimi si concentrano sull’emozione della sfida in velocità, piuttosto che sulle abilità al volante? Tradotto: potrebbe essere un modo per aggiornare le etichette un po’ stantie di “simulazione” e “arcade”? Ci penso e poi mando una circolare da far firmare a casa.
Sì, quell’NME, quello che scrive di musica da una vita.