Cross play, cross save e la ricerca di uno standard
In questa puntata: un po' di diritti anche per i giocatori e la rinascita del PC come macchina da gioco e punto di riferimento del settore.
Ciao,
sono convinto che non si idolatri a sufficienza id Software. Negli anni Novanta ha di fatto ribaltato l’intero settore dei videogiochi, dimostrando che anche i computer potevano dire la loro con giochi diversi dalle avventure punta e clicca e i simulatori. Dallo scrolling di Commander Keen alla rivoluzione di Wolfenstein 3D e Doom, la software house capitanata da John Romero e John Carmack ha aperto la strada a quello che sarebbe diventato il perno di tutta l’industria dei videogiochi: il PC come macchina da gioco. Attorno al PC gravitano i due argomenti di questa puntata della newsletter, che sono poi riflessi della stessa immagine.
Buona lettura!
Incrociare i flussi va bene
In un panorama che vede il catalogo dei giochi a disposizione di due delle tre principali piattaforme, PlayStation 5 e Xbox Series X|S, avvicinarsi sempre di più e quasi sovrapporsi, la scelta di quale versione di un gioco comprare risponde a una domanda precisa. Non più “quale sarà la versione migliore”, perché le differenze sono ridotte a materiale per studi al microscopio nei laboratori di Digital Foundry1, ma “con chi voglio giocarci?”.
Dove comprare EA Sports FC 24, se si hanno a disposizione più di una tra PlayStation 5, Xbox Series X|S o PC? Qualche anno fa toccava davvero farsi due calcoli e chiarirsi su quale piattaforma si avesse la “lista amici” più popolosa e ben disposta verso il gioco. Lo compro su Xbox, perché il sistema di inviti a partite multigiocatore mi piace di più, perché sono abituato alla sua gestione dei gruppi di utenti, perché ho già comprato un headset specifico. Oppure: lo prendo per PlayStation, perché tutti i miei amici ci giocano su PlayStation e, d’improvviso, il resto non conta più nulla.
Le cose sono cambiate e sono cambiate in meglio: oggi una parte sempre più nutrita di videogiochi prevede che i suoi utenti possano sfidarsi a prescindere dalla piattaforma su cui stanno giocando. È un tutti-contro-tutti, una rissa reale a cuscinate sui divani virtuali, che si fa ben volere perché è indice di un passo in avanti importante nelle libertà e nei diritti dei consumatori digitali. Giochiamo dove ci pare e con chi ci pare, perché il gioco è lo stesso.
L’esempio di EA Sports FC 24 non è casuale: il gioco di Electronic Arts rientrerà per eredità diretta nel circolo delle esperienze multigiocatore più “consumate” dell’imminente autunno (e dei dodici mesi che seguiranno). Chiamiamo “cross-play” questa possibilità di giocare incrociando i flussi con chi ha tra le mani un controller diverso dal nostro.
Abbiamo rincorso a tal punto l’unificazione dell’offerta, che ora i videogiochi sono spesso la stessa cosa ovunque
Non c’è una versione in italiano di “cross-play”, perché è uno di quei termini che, per un motivo o per l’altro, abbiamo deciso di farci andare bene così. Il percorso dev’essere stato all’incirca questo: chi i videogiochi li fa non si è preoccupato che, nelle traduzioni dei suoi comunicati stampa e di tutti i testi che circondano quei giochi, venisse individuato un modo per rendere in italiano la cosa. La stampa di settore non se l’è fatto dire due volte e ha subito accolto e fatto proprio il termine originale in inglese, come accade da sempre e forse per sempre.
Io avrei preferito che ci si fosse subito messi di impegno per venirsene fuori con qualcosa di più comprensibile, così che anche chi non mastica il dialetto dei videogiochi possa afferrare l’idea, senza doversi tuffare nell’ennesima tana del bianconiglio. La butto lì: “multiplayer condiviso”? Non è perfetta, ma con un po’ di contesto attorno diventa già più digeribile di “cross-play”.
Di incroci ce ne sono tanti altri. Uno dei più apprezzati è quello dei salvataggi. Un altro bel punto di arrivo è poter giocare ad Assassin’s Creed Odyssey su Xbox One e poi riprendere l’avventura su Xbox Series X, senza perdere tutti i progressi già fatti. La sensazione di onnipotenza, o forse di semplicità e di efficienza estrema, si dilata ulteriormente all’idea che i progressi vengano tenuti in considerazione anche passando da Xbox Series X a PlayStation 5 o PC. Ecco, qui siamo proprio dalle parti della magia nera e chiudetevi in casa perché la fine è vicina.
Ma sì, ci siamo riusciti, abbiamo rincorso a tal punto l’unificazione dell’offerta, che ora i videogiochi sono spesso la stessa cosa ovunque. Sotto a un certo punto di vista è preoccupante e demoralizzante, ma il risvolto positivo c’è ed è proprio quello appena citato, che poi ci viene comodo riassumere all’interno del concetto di “cross-save” o “cross-progression”. Qui il vocabolario del giocatore perfetto è talmente provvisorio, che ancora non si è deciso verso quale dei due orientarsi e anche i più impallinati finiscono con un bel mal di testa. La mia idea per un mondo migliore? “Progressi condivisi” (e su questo non ho proprio alcun dubbio).
Quanto può essere intelligente una consegna? Che cavolo sarebbe una “consegna intelligente”, in effetti? Non guardate me, rivolgetevi verso Redmond, barbosissimo insediamento nello stato di Washington (USA) che ospita il campus di Microsoft. Proprio Microsoft ha scelto “smart delivery”, riportato come “consegna intelligente” a queste latitudini, per indicare una nuova e graditissima opzione disponibile a partire dalla generazione attuale delle sue console. Con “consegna intelligente” si indica il diritto di ottenere la versione del gioco adeguata al sistema su cui ci si trova, a prescindere da dove si sia effettuato l’acquisto.
Qui in effetti va fatto un distinguo: Microsoft ha introdotto anche la formula “Xbox Play Anywhere”, che tende a sovrapporsi o, nella migliore delle ipotesi, a completarsi con “Smart Delivery”.
Capire a cosa rimandi “Xbox Play Anywhere”, che è più uno slogan che non il nome scelto per una precisa funzione, non è così difficile. Se siete dei giocatori con un po’ di Microsoft Points sullo stomaco, sapete già benissimo di cosa sto parlando: si acquista Forza Horizon 5 nel negozio digitale di Xbox One e poi lo si ritrova a disposizione anche nel catalogo dei propri giochi su PC o Xbox Series X|S, una volta collegato lo stesso account. La “consegna intelligente” è entrata in gioco con l’accavallarsi delle due generazioni di console Xbox, nel 2020 e fino almeno al 2022 (quando la proposta di giochi realizzati da Microsoft era ancora destinata sia alla quasi-pensionata Xbox One, che alle debuttanti Xbox Series X|S). Per non sbagliare, mi affido alle stesse parole del sito ufficiale di Xbox2.
Consegna intelligente è una tecnologia che offre automaticamente la versione migliore di un gioco acquistato sulla console, indipendentemente dalla relativa generazione, il tutto senza alcun passaggio aggiuntivo da parte tua.
Ad esempio, se acquisti un gioco con Consegna intelligente per Xbox One e successivamente esegui l'aggiornamento a Xbox Series X|S, riceverai automaticamente la versione ottimizzata del gioco per Xbox Series X|S senza costi aggiuntivi.
A ogni modo, il concetto generale a cui si rimanda è quello del “cross-buy”, termine che in effetti non ha conosciuto una grande diffusione. Forse perché non volevano sentirmi ragliare riguardo a un “acquisto unificato” (si può fare di meglio), o forse perché questa sciocchezza di un solo acquisto non risulta troppo gradita a Sony, Nintendo e tanti altri. In questo caso c’è ancora di che battere forte sulle tastiere e urlare scandalizzati in tanti tweet, prima di archiviare con soddisfazione la battaglia del cross-buy.
Il formato standard
Se le versioni dei giochi hanno iniziato a parlare tra di loro e a intrattenersi in scambi di battute proficui, è perché la distanza che le separa è sempre più breve. Le risorse hardware che si trovano all’interno delle due console da salotto, PlayStation e Xbox, sono perlomeno comparabili e comunque assemblate e fatte funzionare secondo interpretazioni standard della materia: le avveniristiche intuizioni di PlayStation 2 e PlayStation 3 o il doppio processore di Saturn sembrano ormai errori di gioventù. Non solo: i controller hanno seguito un percorso simile, finendo per assomigliarsi tutti e proponendo la stessa dotazione e disposizione di pulsanti e levette. Qua l’ultima a cadere è stata Nintendo, quando nel 2017 ha salutato senza rimpianti il Gamepad di Wii U (già di per sé una mossa nella direzione del mercato, rispetto al telecomando Wii) e ha adottato i due Joy-Con di Switch. Che di fatto si adeguano a ciò a cui i giocatori di tutto il mondo erano già abituati a utilizzare.
Il mondo dei videogiochi sarà pure diventato adulto, quando ha capito che valeva la pena fissare dei paletti e disegnare dei confini entro cui muoversi, ma nel farlo ha sacrificato una parte importante di sé: l’imprevedibilità.
Il movimento continuo dei sistemi da gioco verso un panorama standardizzato può essere visto come il raggiungimento di una certa maturità. Quando il pubblico si è ormai fatto sterminato, è tempo di fissare dei punti di ancoraggio in corrispondenza di quanto di più efficace si è elaborato nel tempo. Sperimentare serve per giungere a distillare una soluzione che possa rimanere valida per del tempo. Avvicinarsi a uno standard vuole anche dire perdere una spinta propulsiva e adeguarsi a quanto già ritenuto valido, senza per questo avere la certezza che non si potesse fare qualcosa di diverso, qualcosa di più. Il mondo dei videogiochi sarà pure diventato adulto, quando ha capito che valeva la pena fissare dei paletti e disegnare dei confini entro cui muoversi, ma nel farlo ha sacrificato una parte importante di sé: l’imprevedibilità.
Negli anni ‘80 e ‘90 c’erano già stati dei tentativi di creare uno standard. A lanciare la sfida era stata la famiglia di computer MSX3, con modelli realizzati da Sony, Canon, Philips, Toshiba, Samsung e molti altri. Dieci anni più tardi ci riprovò The 3DO Company, fornendo la ricetta per realizzare la sua console 3DO a differenti produttori (tra cui Panasonic, Sanyo e Goldstar). Entrambe le esperienze ottennero risultati modesti. Nel 1994 The 3DO Company cercò di tenere botta all’arrivo di PlayStation (Sony) e Saturn (Sega) annunciando il progetto M2, un nuovo set di specifiche hardware per una nuova famiglia di console, che non si materializzò mai.
Nella primavera del 1995 The 3DO Company inizia a perdere i pezzi: AT&T, il colosso statunitense delle comunicazioni, annuncia di aver venduto le sue quote nella società, dopo aver già rinunciato a produrre una sua versione della console. Da Zeta (Editore Studio Vit) di giugno/luglio 1995: “Questa nostra decisione non deve essere vista come una dichiarazione di sfiducia nei confronti del 3DO, […] è semplicemente una decisione finanziaria”, diceva sibillina (o paracula) AT&T.
Nello stesso numero di Zeta c’è un editoriale di chiusura del caporedattore Andrea Minini Saldini che ci torna utile. Il titolo è “PC, una macchina per giocare?” e l’introduzione parla subito della “continua e faticosa ricerca di uno standard” da parte dell’industria del videogioco, che “dà l’impressione di voler affidare al PC il compito di portare nelle case di tutti l’intrattenimento multimediale”. Minini si avvicina velocemente al cuore del problema.
Il punto è che nel corso degli ultimi anni, per una serie di circostanze, l’unica macchina che abbia saputo garantire una certa stabilità agli sviluppatori è stato proprio il PC, una piattaforma che per sua stessa natura è davvero difficile definire standard.
Esattamente alla metà degli anni Novanta il personal computer, inteso in particolare come una macchina con installato il sistema operativo MS DOS, ha conosciuto un evoluzione rapidissima delle sue capacità di ospitare videogiochi. Nel giro di poche stagioni si è passati dai primi timidi tentativi di rincorrere le console nel campo dei giochi d’azione, alle conversioni perfette di Super Street Fighter II Turbo e a esaltanti riproposte del modello dei più famosi giochi da sala di Sega con Screamer (Virgin, 1995). In mezzo c’era spazio per tutta la gamma di sparatutto in prima persona di id Software, 3D Realms e mille altri, ma per anche le “solite” avventure, i classici giochi di ruolo, i potenti simulatori (da quelli delle quattro ruote di Geoff Crammond a quelli nei cieli di Jane’s).
Ancora dall’editoriale pubblicato da Zeta, questa volta sul controsenso di affidarsi agli inaffidabili computer:
Ogni giorno decine di nuovi utenti PC impazziscono nel tentativo di far partire l’ultimo gioco su CD che hanno acquistato, e per quanto la Microsoft insista nel pubblicizzare Windows ‘95 come il sistema operativo che porrà fine a tutti questi problemi, l’esperienza ci suggerisce di adottare una certa cautela nell’accettare simili dichiarazioni.
Alla fine i sistemi operativi di Windows, e non solo loro, riuscirono a stabilizzare la situazione. La diffusione dei middleware, software di sviluppo standard e condivisi, ha poi contribuito in maniera decisiva a rendere il computer la pietra angolare dei videogiochi: tutto viene sviluppato direttamente su PC, in ambienti di sviluppo ormai conosciuti e che non richiedono stazioni specifiche da decine di migliaia di euro e, di norma, quasi tutto viene anche messo a disposizione di chi usa un PC anche per giocare. PlayStation 5 e Xbox Series X|S (e Xbox One e PlayStation 4 prima di loro) sono a loro volta dei quasi-computer rinchiusi in strambe scatolette.
Lo standard nel mondo dei videogiochi è stato quasi raggiunto. A mantenere qualche distanza ci pensano sempre loro: i giochi realizzati in esclusiva per questo o quel formato. Anche qui ci sarebbe spazio per analisi aggiuntive, con titoli prodotti da Sony o da Microsoft già disponibili per le console della concorrenza (come Minecraft e MLB The Show) o che lo saranno (Call of Duty, quando verrà formalizzata l’acquisizione di Activision da parte di Microsoft). Eppure nemmeno questa è una storia nuova e di Psygnosis che portava su Saturn WipEout, il gioco simbolo di PlayStation, si scriveva già quasi trent’anni fa.
BONUS!
Gli involtini di Xbox
Microsoft ha annunciato Xbox Wrap, delle coperture “in materiale tecnico” (?) per Xbox Series X che si allacciano con del caro, vecchio velcro. Se le console da salotto in edizione speciale sono sempre più argomento del passato, non è detto che tocchi abituarsi per forza di cose alle versioni standard (vaniglia? Margherita?!4).
Sony propone da tempo delle plance di plastica di colori alternativi per PlayStation 5 e ora anche Microsoft ha pensato a qualcosa di simile (ma non ha ancora preso una decisione finale sul nome: decidetevi, o sono “wrap”5 o “rivestimenti”6).
NEXT-GEN
Nella prossima puntata
Nelle migliori edicole vostre caselle email lunedì 11 settembre!
SEMIRETRO
Nelle puntate precedenti
Una gran bella recensione di Starfield (1° settembre)
Da PlayStation Portal a PSP (28 agosto)
Addio “retrogaming” (21 agosto)
Giocabile e alla vaniglia (14 agosto)
La “super console” di Sega (7 agosto)
Grazie a Floriana Grasso per la rilettura e le correzioni.
Consiglia al mondo di leggere e iscriversi alle Parole dei videogiochi, potrai ottenere anche un piccolo premio. Per saperne di più clicca qui.
Questa puntata è lunga quasi 15.000 caratteri, che corrispondono a oltre 4 pagine su una qualsiasi rivista di videogiochi da edicola. Nel 1996 mi sarebbe stata pagata circa 100 euro da Studio Vit (calcolato su 140.000 lire con InflationHistory.com). Nel 2003 oltre 250 euro da Future Publishing.
I dischi che ho ascoltato questa settimana:
Fleet Foxes - Shore
C.S.I. - Tabula Rasa Elettrificata
Idles - Brutalism
Nelle parole di Digital Foundry:
Dal 2004 Digital Foundry è specializzato nel raccontare la tecnologia che sta alla base dei videogiochi, dalle console al PC e oltre. Attraverso analisi in video e articoli di approfondimento, ci occupiamo di tutto: confronti sulla grafica, recensioni hardware, benchmark dei PC e interviste agli sviluppatori responsabili dei giochi stessi.
Per leggere Digital Foundry (clicca qui).
Nota personale: ho giocato moltissimo con MSX, più che con C64 e molto, molto più che con Amiga. Quando avevo tra i sei e i dodici anni, circa, i miei migliori amici avevano una soffitta, un MSX e un abbonamento a una rivista che, a cadenza che ora non ricordo, portava a casa loro una nuova cassetta con una manciata di giochi. Ciao soffitta vimodronese, ciao Matteo e Francesco.