Giocabile e alla vaniglia
Una parola che forse non avete mai associato ai videogiochi e un'altra a cui siamo fin troppo abituati (questa puntata include tracce di pizza).
Ciao,
questa è la nuova puntata delle Parole dei videogiochi, la newsletter che si occupa di fare delle lunghe (e forse barbose) riflessioni sui termini utilizzati nei videogiochi e da chi scrive di videogiochi. Prima di passare all’argomento della settimana mi prendo due righe per ringraziare chi si è iscritto alla newsletter: sono passati sei mesi dalla prima “uscita” e oggi siete in 500 a chiedervi perché diavolo ogni lunedì vi arrivi questa roba. Nelle prossime settimane proverò a capire se e come far evolvere (o comunque modificare) la formula adottata finora, vedremo. E ora sotto con “vanilla” e “playable”.
Buona lettura!
Al tradizionale sapore di vaniglia
“Si stava meglio quando si stava peggio” è tra i ritornelli più apprezzati da una certa parte di umanità e viene ripetuto e applicato in varie forme a ogni contesto. Figurarsi se anche tra appassionati di videogiochi ci si fa scappare l’occasione di ridipingere di rosa tutto ciò che ha qualche anno sulle spalle. Di discorsi incentrati sul “ai miei tempi” se ne leggono da sempre, credo di essermi dovuto sorbire le prime illuminate verità dei nostalgici, nelle rubriche della posta dei vari mensili, già trent’anni fa quando le novità si chiamavano Super Nintendo, Mega Drive o Neo Geo.
Tra le chimere inseguite dai nostalgici ci sono i videogiochi fatti e finiti, per così dire. L’idea che oggi qualsiasi gioco riceva degli aggiornamenti, come minimo, o modifiche sostanziali e continue espansioni dei contenuti, in altri casi, può evocare un commento sentito dozzine di volte: “una volta i giochi uscivano completi”. Si potrebbe obiettare che, per la maggior parte dei casi, “una volta i giochi non potevano essere aggiornati”. Che è diverso. Ma non è questo il punto, il punto è che può succedere di dover identificare in qualche modo le versioni originali dei giochi, quelle che poi possono essere state ritoccate in maniera evidente, tanto da cambiare di fatto alcuni equilibri nei sistemi di quel gioco o anche solo nella tipologia e nella quantità dei suoi contenuti. Quelle versioni sono chiamate “vanilla”.
Ho iniziato a giocare con la versione Vanilla al day one, scegliendo con gli altri GM italiani Crushridge come server di partenza, regalando al titolo targato Blizzard giornate (e nottate) intere.
Tommaso Valentini - Everyeye1
Nelle righe qua sopra, Tommaso Valentini si riferisce alla versione originale del gioco di ruolo di massa online (MMORPG2) World of Warcraft, quella pubblicata da Blizzard nel 2004 e quindi precedente a ogni aggiunta o modifica. Potrei sbagliarmi, ma credo che sia stato proprio World of Warcraft a presentare al settore dei videogiochi il termine “vanilla”. Come minimo ne ha favorito la diffusione. A oggi l’utilizzo di “vanilla” nel campo dei videogiochi è comunque molto ridotto in Italia e di certo non lo si ritrova con la stessa frequenza con cui lo si può incontrare leggendo siti e riviste scritti in inglese.
Il riferimento a “vanilla” per indicare le versioni “lisce” di un software non è una novità di questi anni e, anzi, nel campo è già stato studiato e consegnato ai registri, con tanto di una voce appositamente dedicata su Wikipedia. Questa è la definizione secondo la pagina in italiano dell’enciclopedia.
Un software Vanilla è un programma per computer (e per altri sistemi informatici come hardware o algoritmi) che non viene alterato rispetto alla propria forma originale il che implica che il software non presenta personalizzazioni o aggiornamenti ad essi applicati. […] Il termine deriva dal tradizionale gusto di gelato, la vaniglia.
La scelta di “vanilla” starebbe nella banalità del gusto del gelato alla vaniglia. Se avessimo dovuto seguire lo stesso criterio qui in Italia, forse saremmo andati su panna o fiordilatte (l’altro gusto per eccellenza del gelato è il cioccolato, ma chi darebbe del banale al cioccolato?). Anzi, ripensandoci si sarebbe potuto puntare alla variante meno variante della pizza, ed ecco la “versione Margherita di World of Warcraft”.
La serie di Street Fighter è quella che per prima ha subito una serie di aggiornamenti a ritmo quasi regolare, solo che ha iniziato a farlo in un periodo storico in cui al posto di “update” si utilizzava l’espressione “gioco completo da pagare a prezzo pieno”
La mia prima volta con “vanilla” è stata qualche anno fa, di fronte a qualcuno che diceva la sua su Street Fighter IV (Capcom, 2008). In effetti ha senso, perché proprio la serie giapponese di picchiaduro a incontri è quella che per prima ha subito una serie di aggiornamenti a ritmo quasi regolare, solo che ha iniziato a farlo in un periodo storico in cui al posto di “update” si utilizzava l’espressione “gioco completo da pagare a prezzo pieno”. Nel caso di Street Fighter II era successo con l’edizione Champion Edition (1992), seguita da quella Hyper Fighting (ancora 1992), poi dalla Super (1993) e infine dalla Super Turbo (1994). Con Street Fighter IV è accaduto qualcosa di simile, perché ha goduto di altre tre versioni successive a quella margherita (ci sto provando!), con l’ultima distribuita nel 2014: Ultra Street Fighter IV.
Mi sono imbattuto di nuovo in “vanilla” in questi giorni, complice la popolarità di Baldur’s Gate III (Larian Studios per PC Windows, di prossima uscita anche per MacOS, PlayStation 5 e Xbox Series X|S). Si tratta del nuovo episodio di una serie creata da Bioware (Mass Effect) alla fine degli anni Novanta e che attende un seguito addirittura dal 2000. Ding Bakaba di Arkane Lyon (Deathloop, 2021) ha commentato il gioco con un tweet3 interessante.
Baldur’s Gate 3 unisce alla perfezione toni oscuri e stravaganti! E ha così tanto carattere che nulla appare vaniglia/banale. Un vero e proprio manuale di come si debba sfruttare il fantasy.
Se state pensando che “banale” non sia la traduzione più adatta dell’idea di “vanilla”, siamo d’accordo. Immagino che, se proprio volessimo, ci toccherebbe davvero abituarci al suono di “vanilla” o, anche, a quello di “margherita”. Qui credo che Bakaba si riferisca alla cura con cui ogni elemento di Baldur’s Gate 3 sia stato rifinito.
Adesso ci riprovo con più convinzione.
Missioni margherita, nemici insipidi e una lunga lista di altri problemi non invogliano ad affondare i denti nel collo di Redfall.
In un tweet di qualche mese fa, IGN utilizza di nuovo “vanilla” con accezione negativa. Qui “vanilla” qualifica le missioni di Redfall (Arkane, guarda un po’, per Xbox Series X|S e PC), accusate di essere banali o povere.
COSE DA SAPERE
Il gigante dei MMORPG torna a un sapore classico
World of Warcraft è tornato alla sua versione vanilla, ma nel farlo Blizzard si è guardata bene dall’utilizzare questo termine. Nel 2019 è stato infatti lanciato World of Warcraft Classic, che riprende il gioco e i contenuti conosciuti prima che The Burning Crusade (2007) desse il via a una serie di espansioni del MMORPG che ha attirato oltre 120 milioni di giocatori4.
World of Warcraft Classic è velocemente diventata un’altra collana all’interno del mondo di World of Warcraft, tanto che nel 2021 è arrivata la riedizione di The Burning Crusade e nel 2022 di The Wrath of the Lich King, entrambe seguite dal suffisso Classic.
Il tuo è giocabile?
Uno dei muri portanti del lessico italiano dei videogiochi è “giocabilità”. Per chi legge di videogiochi alle nostre latitudini, è un termine il cui significato è chiarissimo da decenni e che ritorna con regolarità. Con “giocabilità” si è inizialmente tradotto l’inglese “gameplay”, nel senso della voce che compariva nelle pagelle di valutazione delle riviste anglofone. Entrambe le parole racchiudono un piccolo universo di riferimenti e suggestioni e il voto alla giocabilità era un voto a quanto il gioco fosse divertente.
Tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del decennio successivo, anche tra gli appassionati di videogiochi in Italia si è diffuso l’utilizzo di “gameplay”. Succede un po’ perché era diventato molto più facile leggere le riviste online americane e inglesi, ma molto lo si doveva anche all’adozione di “gameplay” all’interno delle riviste italiane. Credo che sia stata Super Console (editore Futura) a virare più velocemente e con più convinzione verso “gameplay”. Il “gameplay” indica generalmente l’architettura di gioco, l’impalcatura dell’esperienza che si affronta con il controller tra le mani. Volendo, il “gameplay” è un dato di fatto: si può “fotografare” nei suoi aspetti essenziali che dovrebbero essere oggettivi, per poi passare all’analisi degli stessi. Dal canto suo, la “giocabilità” è già la fase della valutazione.
HoYoverse, marchio che opera nel settore dell'intrattenimento interattivo a livello globale, oggi conferma che la versione 4.0 di Genshin Impact "Come una pioggia inaspettata" sarà disponibile il 16 agosto insieme al grande lancio della quinta nazione, Fontaine. Conosciuta come la Nazione della Giustizia, Fontaine è anche la culla della cultura, dell'arte e della tecnologia, che farà da palcoscenico a una serie di nuove avventure, modalità di gioco e storie e ai primi tre personaggi giocabili di Fontaine.
(Da un comunicato stampa di HoYoverse dedicato a Genshin Impact5)
Tutto questo non toglie che ci sia rimasto in mezzo ai piedi “giocabile”, un termine che viene utilizzato per trasportare in italiano l’inglese “playable”. Nella recensione in italiano di un videogioco, capita sempre meno spesso di leggere riguardo alla giocabilità più o meno convincente, ma avviene regolarmente di imbattersi in formule come: “tre nuovi personaggi giocabili”. Per rendersi conto di quanto la parola “giocabile” suoni aliena alla gente per bene, è sufficiente chiedere a un amico o famigliare che non ne sa molto di videogiochi. Ci sono delle ottime probabilità di ricevere sguardi attoniti o disgustati, perché “giocabile” è una parola davvero brutta. Sembra sbagliata fin dal suono.
“Giocabilità” compare con difficoltà nei vocabolari italiani, ma c’è in quello di Garzanti e sul contesto non ci sono tanti dubbi.
Caratteristica di un videogioco che esprime il grado di velocità di risposta ai comandi, la fluidità e il grado di difficoltà delle azioni di gioco6.
Da quando le pubblicazioni specializzate hanno abbandonato le pagelle con le singole sottovoci (tradizionalmente: grafica, sonoro, giocabilità e longevità), anche l’utilizzo di “giocabilità” si è ridotto enormemente. Come stavamo già vedendo, però, “giocabile” è rimasto e in particolare quando c’è da indicare la natura di alcuni elementi, più probabilmente dei personaggi. La caratteristica per eccellenza dei videogiochi è l’interazione e la possibilità di interpretare qualcuno, quindi ha senso che si sia cercato un modo per evidenziare la differenza tra chi può essere controllato direttamente dal giocatore, rispetto alle figure di contorno gestite dall’intelligenza artificiale, che infatti diventano Non-Playable Character (NPC). Curioso che per la versione italiana si sia scelto Personaggi Non Giocanti (PNG), sarebbe stato lecito aspettarsi Personaggi Non Giocabili.
A me “giocabile” continua a non piacere per nulla e mi è capitato di usare altre soluzioni in qualche caso, anche lavorando su dei comunicati stampa. Per esempio: “tre nuovi personaggi da utilizzare”. Se comunicare bene è farsi capire, usare un lessico adeguato al contesto non è una scelta sbagliata, ma mi pare che si possa anche tentare di liberarsi da alcune abitudini un po’ polverose. Soprattutto se non si corre il rischio di risultare meno comprensibili, anzi.
ASCOLTATE LA RÉCLAME
Fotografando i videogiochi
Marco Citro goes by the name of Retrobigini, come avrebbero detto i Beastie Boys (e molti altri). Come i Beastie Boys (e molti altri), anche Marco fa ampio uso di sample dal passato per mettere assieme qualcosa di nuovo. Nel suo caso si tratta principalmente di videogiochi di un’altra epoca, quella degli schermi a tubo catodico e delle linee di scansione che disegnavano degli interi mondi su quegli schermi dal vetro bombato. L’idea di Retrobigini è di immortalare i giochi per come ce li ricordiamo e, a prescindere dalle memorie personali, glorificarne i pixel che furono. Per farlo si è messo in casa una certa quantità di schermi dell’altro ieri e in testa una conoscenza enciclopedica della materia (i videogiochi e i modi in cui li sparavamo su quei pannelli).
L’immagine di apertura di questa puntata della newsletter è proprio una delle foto di Marco, nello specifico un fermo immagine della breve introduzione di Street Fighter II: The World Warrior (Capcom, 1991).
Le foto di Retrobigini sono in vendita e vengono solitamente realizzate su commissione, ma a disposizione ci sono anche tutte quelle già realizzate. Per scoprirle e/o per contattare Retrobigini, è sufficiente “sfogliare” il suo profilo su Instagram (clicca qui). Quindi avanti, affezionatissimi di Greenndog (Interactive Design per Mega Drive, 1992), è il vostro momento!
Consiglia al mondo di leggere e iscriversi alle Parole dei videogiochi, potrai ottenere anche un piccolo premio. Per saperne di più clicca qui.
NEXT-GEN
Nella prossima puntata
Nelle migliori edicole vostre caselle email lunedì 21 agosto!
SEMIRETRO
Nelle puntate precedenti
La “super console” di Sega (7 agosto)
Pikmin 4 e l’epoca dei non-giochi (31 luglio)
EA Sports FC 24: il calcio cambia nome (24 luglio)
Ufficiale: la console war sulle riviste (17 luglio)
Grazie a Floriana Grasso per la rilettura e le correzioni.
I dischi che ho ascoltato questa settimana:
Massive Attack - 100th Window
Soundgarden - Live from the Artists Den
Questa puntata è lunga oltre 15.000 caratteri, che corrispondono a circa 4 pagine su una qualsiasi rivista di videogiochi da edicola. Nel 1996 mi sarebbe stata pagata circa 100 euro da Studio Vit (calcolato su 140.000 lire con InflationHistory.com). Nel 2003 oltre 250 euro da Future Publishing.
Che mal di testa.
Sai che forse "vanilla" è un termine che viene dal mondo BDSM, kink ecc? Di solito si usa per chi fa cose, diciamo, normali. Quindi potremmo definire i giochi vanilla i giochi missionario.
Ottimo articolo, la crescente preoccupazione verso giochi che nascono incompleti ormai sta diventando anche un discorso di preservazione, mi fa piacere si sia riaperto questo discorso. Che succede a quella miriade di contenuti digitali se i server chiudono? Fino a che punto si può modificare un gioco con patch ed espansioni? Personalmente sono vecchia scuola, viva i giochi fatti e finiti che hanno una visione chiara di ciò che vogliono essere.