Pikmin 4 e l'epoca dei non-giochi
Il nuovo gioco di Nintendo cambia pelle: come è stata raccontata la trasformazione in USA e da noi. Una suggestione per tornare agli anni dei non-giochi di inizio 2000.
Ciao,
i videogiochi sono per gente che ne sa, che dedica il suo tempo ai giochi veri e non a certa robaccia per casual gamer. Ecco, di frasi sceme come questa, una decina d’anni fa se ne leggevano tante. In questa puntata delle Parole dei videogiochi mi occupo di come viene percepito un videogioco a seconda della sua difficoltà, delle sfide che propone e di quel periodo in cui sono esistiti i “non-giochi” (e hanno venduto decine di milioni di copie).
Buona lettura!
I Pikmin vengono dalla Norvegia
Non serve la palla di cristallo per prevedere che anche Pikmin 4 godrà dell’effetto Switch. Il gioco realizzato e pubblicato da Nintendo, disponibile dal 21 luglio, appartiene a una serie che non si è mai distinta per le vendite stellari. Proprio per questo dovrebbe seguire l’esempio di Metroid Dread (2021) e Kirby e la Terra Perduta (2022), diventando il capitolo più venduto grazie agli oltre centoventi milioni di Switch sparsi per il mondo.
Per me Pikmin è una serie unica, nel panorama di quelle proposte da Nintendo. Ha qualcosa di inafferrabile e di malinconico, di decadente e di insalvabile ma irresistibile al tempo stesso. È la storia di un commesso viaggiatore rimasto schiacciato dal destino mentre faceva il suo lavoro e costretto, da solo, ad affrontare un mondo che non è il suo. Ogni sera risale su quel che resta della sua astronavina anni ‘70 e detta un messaggio alle stelle. Ripensa a casa sua, mentre racconta le assurdità incontrate nella sua quotidiana battaglia per la sopravvivenza. Quelle sere sono buie e solitarie. Sotto la sua astronave, sospesa in aria, bestie fameliche pattugliano ogni metro quadrato e una musichetta elettronica delicata accompagna fin verso gli astri le sue speranze.
Per me Pikmin è una serie unica, nel panorama di quelle proposte da Nintendo. Ha qualcosa di inafferrabile e di malinconico, di decadente e di insalvabile ma irresistibile al tempo stesso.
Ho stretto amicizia con Pikmin oltre vent’anni fa (2001, GameCube). Le occasioni per frequentarsi sono state poche: ancora nel 2004 su GameCube (Pikmin 2), poi nel 2013 su WiiU (Pikmin 3), con un rilancio di quest’ultimo anche su Switch nel 2020. Credo che la colonna sonora perfetta per tutti questi giochi avrebbero potuto firmarla i Röyksopp, in particolar modo quelli di The Understanding (2004): la loro elettronica mi ha spesso lasciato in testa delle immagini che mi ricordano quelle di Pikmin, in un certo senso. È musica che incornicia l’inquadratura allargata di una metropoli al crepuscolo di una giornata autunnale, fissata dallo svincolo di una tangenziale. C’è qualcosa di confortante nel potersene tornare a casa, una volta finita la giornata, ma sembra tutto così adorabilmente insalvabile e condannato a un placido oblio…
I viaggiatori di Pikmin tornavano a casa dopo ore (virtuali) di lotta contro i nemici, contro le condizioni a loro ostili di questo pianeta assurdo, contro il tempo che ne divorava inesorabilmente ogni ottimistica programmazione. Pikmin è un caso unico nella storia di Nintendo anche perché vuole davvero ricordare un mondo che esiste, il nostro, e per farlo sceglie un registro visivo realistico. C’è qualcosa che toglie il fiato, a mano a mano che si procede e si guadano ruscelli o si scalano tronchi adagiati a terra. Sono quasi convinto che i Pikmin vengano dalla Norvegia, dallo stesso immaginario che ha partorito i Röyksopp.
Pikmin, intesa come serie di videogiochi, è lentamente cambiata. I suoi tempi si sono dilatati, le regole si sono fatte sempre più accomodanti e le punizioni per chi le sfora meno preoccupanti. Alla fine Pikmin 4 è un gioco apparentemente simile al capitolo che vent’anni fa debuttò assieme al GameCube, ma in sostanza piuttosto diverso. In generale verrebbe da dire che “è più facile”.
ASCOLTATE LA RÉCLAME
Le origini di Pikmin sono su Switch
È piuttosto recente la pubblicazione dei primi due giochi della serie Pikmin per Switch. Nintendo li ha messi a disposizione in formato digitale, adeguandoli alla risoluzione dell’immagine di Switch, più definita rispetto a quella di GameCube per cui vennero realizzati Pikmin 1 e Pikmin 2. Sono ancora oggi un’esperienza consigliata e ne ho scritto per IGN.
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Pikmin 4 non è solo la sua difficoltà
Le recensioni di Pikmin 4 hanno premiato il gioco di Nintendo, che al momento si gode una media di 89/100 su Metacritic1 e di 88/100 su Opencritic2, i due punti di riferimento per l’aggregazione delle valutazioni di videogiochi. Sono medie eccellenti, ma che non si discostano da quelle dei giochi precedenti di Pikmin: Nintendo vuole migliorare la storia della serie con il grande pubblico, non con pochi giornalisti.
The first game was hardcore: You had to direct your Pikmin to complete collecting missions before Olimar, your space explorer, expends his 30 days of oxygen on a foreign planet. Each new game followed the same formula, though each iteration less tensely, and with less time pressure.
Emily Price - Polygon
Il primo gioco era hardcore: bisognava guidare i Pikmin in missioni di recupero e raccolta prima che Olimar, l’esploratore spaziale, finisse i 30 giorni di ossigeno a sua disposizione su di un pianeta sconosciuto. Ogni gioco successivo ha adottato la stessa formula, ma ciascuno con meno intensità e allentando la pressione.
Quello che dice Price nella sua recensione per Polygon racchiude il sentimento espresso più generalmente dalla stampa specializzata negli Stati Uniti. Nel suo articolo Steve Watts di Gamespot arriva a mettere tra i punti positivi più importanti del gioco il fatto che “gli enigmi del suo mondo e la raccolta dei tesori sono un rilassante tran-tran” (“Environmental puzzles and gathering treasures is a relaxing, chore-like activity”3). Che si sia arrivati non solo ad avvicinare il termine “relax” alla serie di Pikmin, ma che addirittura si possa definire una delle sue parole chiave, è significativo.
Gli enigmi del mondo e la raccolta dei tesori di Pikmin 4 sono un rilassante tran-tran
Curiosamente le recensioni delle più importanti pubblicazioni specializzate in Italia non sottolineano con molta enfasi come gli obiettivi del gioco si siano modificati e preferiscono, eventualmente, parlare di come il livello di difficoltà si sia abbassato.
La presenza di un'intera squadra di esploratori pronti a coadiuvare il nostro alter ego non appena rinvenuti nelle mappe, di una serie di tutorial chiari ed efficaci (ma mai troppo invadenti) e dell'ulteriore abbassamento del livello di sfida sono chiari indizi di come questo quarto capitolo punti non solo a coloro che apprezzano il franchise da tempo, ma anche, se non soprattutto, alle nuove leve – che, complice la scarsa importanza della trama, potranno iniziare da qui il loro percorso.
Gianluca Arena - Spaziogames4
Calcolare quanto un gioco possa essere facile o difficile è complicatissimo. Quando è toccato a me farlo, ho di solito misurato la cosa sulla mia esperienza, credendo generalmente che le abilità del pubblico di appassionati di videogiochi non si discostassero troppo dalle mie. In quasi trent’anni di recensioni, quel pubblico è cambiato moltissimo e a cambiare sono stati anche i videogiochi. Oggi ha più senso provare a calibrare la valutazione della sfida, su quello che si può ipotizzare essere più nello specifico il pubblico della testata per cui si scrive.
[…] si tratta di novità che non hanno reso Pikmin 4 un gioco casual
Francesco Destri - IGN5
Nella chiusura della recensione di Destri, c’è un termine che non ritrovavo da un bel pezzo: casual. Per un certo periodo un pezzetto del mondo dei giocatori più appassionati ha eretto una sorta di muro tra sé e tutti gli altri. Gli altri erano i giocatori meno appassionati, quelli occasionali: i casual gamer. Di muri e di categorie abbiamo sempre meno bisogno, ma questa sembrava già avvilente dieci o quindici anni fa.
L’era dei non-giochi
Questa catastrofe del noi contro voi, dei casual gamer che arrivano a rovinare il giocattolo con le loro esigenze da non-iniziati, mi pare che sia diventata molto evidente all’epoca di Nintendo DS e di Wii. Le due console di Nintendo, arrivate al grandissimo successo tra il 2005 e il 2007, hanno provato a sgretolare alcune delle barriere che rendevano i videogiochi sempre più ostici per chi non ha una certa dimestichezza. Il merito è stato soprattutto del touch screen di Nintendo DS, proposto con quasi tre anni di anticipo sul primo iPhone e, quindi, contribuendo con oltre cento milioni di console vendute a renderla un’interfaccia con cui avere a che fare quotidianamente.
Questa catastrofe del noi contro voi, dei casual gamer che arrivano a rovinare il giocattolo con le loro esigenze da non-iniziati, mi pare che sia diventata molto evidente all’epoca di Nintendo DS e di Wii.
In quel momento storico in cui le app ancora non esistevano, Nintendo ha remato contro l’istinto del settore dei videogiochi. Piuttosto che continuare ad andare in profondità a perfezionare le formule esistenti, ha provato a tornare in superficie e a trovarne di nuove. Nel 2005 ha lanciato Brain Training del Dr. Kawashima: Quanti anni ha il tuo cervello?, un software pensato per “allenare la mente” e il cui sviluppo è stato ispirato dai lavori del neuroscienziato giapponese Ryuta Kawashima e da questi supervisionato. Dentro Brain Training del Dr. Kawashima non c’erano livelli, boss, armi o potenziamenti, ma solo esercizi di logica che potessero “allenare la mente”, nei termini scelti da Nintendo. La serie di Brain Training ha avuto un grandissimo successo che ha portato a ulteriori giochi (le prime due uscite hanno venduto circa 34 milioni di copie6) ed è disponibile anche per Switch7.
Sapevo che sarebbe stato un prodotto divertente, ma non avevo idea dell'effetto che avrebbe avuto sulla gente con poca esperienza nei videogiochi. L'unica cosa da fare era pubblicare il software e stare a vedere. Inoltre, dopo aver riscosso molto successo in Giappone, abbiamo deciso di esportare Brain Training oltre oceano. Circa nell'autunno del 2005 ho avuto l'impressione che in Giappone stesse accadendo qualcosa di incredibile. È stato allora che mi sono detto: "Dobbiamo venderlo in tutto il mondo!" Mi sentivo come in missione, così ho portato personalmente il software ai nostri agenti di vendita in America e in Europa, per fornire una spiegazione e costruire un apposito mercato!
Satoru Iwata - Presidente di Nintendo tra il 2002 e il 20158
Il visionario presidente di Nintendo che ha voluto Brain Training, lo chiama software. Io ho appena definito quelli di Brain Training dei giochi. Ma per un po’ di tempo c’è stato chi ha preferito chiamarli non-giochi.
[…] like Electroplankton and Nintendogs, Brain Age isn't really a game in the traditional Nintendo sense. This is another one of those projects that Nintendo hopes will appeal to an audience that's generally stayed away from the videogame market. Even with its "non-game" status, the Brain Age production is still fun with its own form of entertainment and challenge […]
Craig Harris - IGN9
[…] come Electroplankton e Nintendogs, Brain Age10 non è un gioco come tradizionalmente inteso da Nintendo. Si tratta di un altro di quei progetti che Nintendo spera che riesca ad attirare un pubblico che di solito si tiene bene a distanza dai videogiochi. Anche se è un “non-gioco”, Brain Age offre una serie di sfide piuttosto divertenti […]
Ai tempi di Nintendo la Rivista Ufficiale mi pare che non avessimo mai utilizzato la formula non-gioco. Per quel che mi riguarda, non ne so abbastanza su cosa sia un gioco per poter dire cosa non lo sia. Ma soprattutto mi sembra un’informazione vuota: quale utilità avrebbe dovuto avere scrivere non-gioco? Si sarebbe evitato il rischio che qualche appassionato di Zelda comprasse uno dei Brain Training pensando che fosse una grande avventura in un mondo fantastico? Con le immagini e il testo che spiegavano cosa fosse lì, in bella mostra?
Nintendo ha proseguito imperterrita con i suoi esperimenti lontani dalle regole più classiche dei videogiochi, nel tentativo (realizzato) di allargare a dismisura il potenziale bacino in cui pescare nuovi clienti. C’è stata la guida per imparare l’inglese (Practise English! Per l’Inglese di Ogni Giorno, 2007), quella per il disegno (Art Academy: Impara a disegnare e dipingere passo dopo passo, 2009), un aiuto ad “analizzare la propria routine quotidiana” con tanto di pedometro (Walk with me! - Scopri il tuo ritmo passo dopo passo, 2009) e gli esercizi per i muscoli del volto (Face Training: Allena e rilassa i muscoli del viso con gli esercizi di Fumiko Inudo, 2010), solo per citarne alcuni. Tra questi non rientrano gli esperimenti rimasti in Giappone, tra cui giochi per imparare a scrivere i kanji (Ds美文字トレーニング - 任天堂ホームページ11) o “semplici” dizionari (漢字そのままDS楽引辞典12).
Nintendo faceva rientrare questi esperimenti nella collana che in occidente ha chiamato Touch! Generations. La spinta si è affievolita, fino a interrompersi, con il proliferare degli smartphone e delle loro applicazioni, che di fatto mettevano questo e molto altro nelle mani di tutti e a prezzi molto più convenienti. Certo, il livello produttivo seguiva di pari passo quello dei pochi centesimi o euro chiesti per il download, ma non è questo il punto.
Oggi siamo più abituati a parlare dei problemi creati da chi cerca di alzare muri che mantengano quanto più isolato possibile il proprio campo d’interesse. Spesso ci si riferisce a chi lo fa con il termine gatekeeper, letteralmente il guardiano, quello che piantona l’ingresso e decide chi entra e chi resta fuori. Il mondo dei videogiochi non è diverso e così, per un po’, ci sono stati i giochi e i non-giochi, i videogiocatori e i casual gamer.
La buona, buonissima, notizia è che quel momento è passato e che oggi i videogiochi o la loro influenza (di gamification scriverò tra quindici anni, ricordatemelo) sono ovunque e nelle mani di chiunque. E per arrivare fino a questo punto della newsletter non ho dovuto neanche citare il mio preferito di quegli anni di DS: La guida in cucina: Che si mangia oggi? (2008). Un ricettario elettronico prima dei tablet, che su Nintendo la Rivista Ufficiale trattammo organizzando una serata a base di tonno rosso e gazpacho a casa di Ugo Laviano, il miglior cuoco del gruppo (che quella sera seguì le istruzioni di Nintendo).
VERBA MANENT
Clicker e Idle: forse sei un congegno che si gioca da sé
Qualche giorno fa mi è capitato di lavorare su un gioco che, secondo il suo stesso editore, è un idle action RPG. Ho iniziato a cercare qualche articolo che potesse aiutarmi a capire meglio cosa fossero i giochi idle e mi è stato spiegato che un altro modo per chiamarli è clicker o incrementali. Dei giochi clicker sono già a conoscenza da un po’, da quando sono incappato nella definizione un po’ di anni fa, scoprendo che quei mini-giochi che vedevo sui telefoni di gente in giacca e cravatta in metropolitana avevano un loro nome.
L’idea era di continuare il discorso dei giochi “facili”, per un pubblico occasionale o addirittura dei non-giochi, proprio con una panoramica sui giochi clicker o idle. Ma la materia è piuttosto complessa o comunque merita più spazio di quello che mi è rimasto. Allora vi consiglio la lettura di un articolo breve ma molto efficace, quello di Zoya Street: An early history of games designed for inactivity.
Per leggere l’articolo clicca qui.
NEXT-GEN
Nella prossima puntata
Nelle migliori edicole vostre caselle email lunedì 7 agosto!
SEMIRETRO
Nelle puntate precedenti
EA Sports FC 24: il calcio cambia nome (24 luglio)
Ufficiale: la console war sulle riviste (17 luglio)
Scrivere di videogiochi senza spoilerare (10 luglio)
Day One: chi non c’è, non ci sarà (3 luglio)
Grazie a Floriana Grasso per la rilettura e le correzioni.
I dischi che ho ascoltato questa settimana:
Röyksopp - Profound Mysteries
Röyksopp - Profound Mysteries II
Röyksopp - Profound Mysteries III
Questa puntata è lunga circa 18.000 caratteri, che corrispondono a oltre 4 pagine su una qualsiasi rivista di videogiochi da edicola. Nel 1996 mi sarebbe stata pagata circa 100 euro da Studio Vit (calcolato su 140.000 lire con InflationHistory.com). Nel 2003 oltre 250 euro da Future Publishing.
In Nord America la serie è conosciuta con il nome di Brain Age.
Ciao Mattia, come al solito pezzo molto interessante. Ti segnalo un potenziale refuso. Nella parte finale immagino intendessi circa 18000 caratteri, non parole.
Menomale per le sfide dandori che, sopratutto nel post game, diventano al quanto impegnative e bilanciano un’esperienza altrimenti un po’ blanda dal punto di vista della difficoltà; Carina anche l’aggiunta della sfida di Olimar che da quel tocco classico anche se per poco.