Scrivere di videogiochi senza spoilerare
I limiti imposti dagli NDA o dal buonsenso nel recensire un videogioco.
Ciao,
questa settimana Le parole dei videogiochi è in formato salotto. Ho invitato alcuni tra amici e rispettati (semi-ex) colleghi per parlare di come si scrive di videogiochi, in tempi di NDA da una parte, terrore degli spoiler dall’altra e, nel mezzo, la voglia di sapere tutto prima di subito di una parte del pubblico.
Ho affrontato l’argomento con Stefania Sperandio di Spaziogames, Giovanni Marrelli di IGN, Marco Mottura di Round Two e Francesco Serino di Multiplayer.
Buona lettura!
Non Disclosure Agreement
Trent’anni fa usciva The Incredible Machine (1993, Sierra), uno stralunato puzzle game in cui assemblare marchingegni assurdi quasi solo per il gusto di farlo, ma con l’obiettivo dichiarato di assolvere a un compito molto semplice. Tipo una biglia che cade in un imbuto, venendo poi adagiata su un binario, che quindi la spinge a una corsa che attiva una ventola che muove delle pale che… In due decenni di YouTube, e in stagioni di TikTok, dovremmo averne viste a dozzilliardi di queste costruzioni. Scopro oggi che si chiamano “macchine di Rube Goldberg1” e, secondo Wikipedia, si tratta di “meccanismi progettati in maniera deliberatamente complessa per eseguire operazioni semplici o trascurabili2”.
Pensando alle recensioni dei videogiochi e alla giungla che gli è cresciuta attorno dopo il giro di boa del secolo, mi è tornato in mente The Incredible Machine (per la cronaca: ci avevo giocato, era fantastico). Se si parla di videogiochi, per un periodo molto lungo di tempo le recensioni sono state il prodotto più importante del lavoro di una redazione. Per l’editore della rivista è un’importanza valutata attraverso l’interesse generato e i numeri raccolti (le vendite in edicola o i click online), per l’editore del gioco l’importanza viene misurata dal potere delle recensioni di determinarne il successo o il fallimento.
A un certo punto i secondi, gli editori dei giochi, hanno pensato che dovessero in qualche modo tutelarsi rispetto alle recensioni o, comunque, averne maggiore controllo. La prima mossa è stata dotarsi dei Non Disclosure Agreement (NDA, accordi di riservatezza dalle nostre parti) a cui vincolare la disponibilità del gioco stesso per le redazioni, ed è un discorso che nasce proprio con le recensioni ma che poi ha incluso le prove in anteprima o gli eventi dal vivo o anche solo la comunicazione in anticipo di alcune notizie. Nella stampa specializzata dei videogiochi, gli accordi di riservatezza sono serviti inizialmente per regolare la data di pubblicazione di un articolo, che è un modo per mettere le mani sulla programmazione dei contenuti delle pubblicazioni, imponendo una tempistica che faccia particolarmente comodo (al piano marketing, alle vendite del gioco stesso, etc.). Quegli stessi accordi, firmati dal responsabile che ne accetta i vincoli e le eventuali penali, si sono poi allargati fino a comprendere ciò di cui si può o non può parlare nei propri articoli. In questo caso l’obiettivo è quello di evitare che il pubblico venga a conoscenza di alcuni snodi narrativi, gli spoiler insomma. Fintanto che mi sono passati davanti agli occhi decine di NDA, era più raro che i divieti si concentrassero su elementi di gioco, al di là di contenuti segreti legati al raggiungimento di fasi molto avanzate del gioco (se non della sua fine).
Quella per gli spoiler è un’attenzione che nei videogiochi è cresciuta abbastanza rapidamente, ma “solo” negli ultimi vent’anni. Fino a quando i videogiochi sono stati ancorati alle loro origini da sala giochi e cioè quando l’elemento narrativo era totalmente secondario, o addirittura assente, non c’era questa grande preoccupazione. Negli anni ‘80 e ‘90, che io sappia, anche l’idea più generale di spoiler era molto meno diffusa e di certo non si usava quel termine, non alle nostre latitudini perlomeno. Poi le cose sono cambiate, anche per i videogiochi.
E con le storie, arrivarono gli spoiler
“Il videogioco è un mezzo proiettivo e questo permette di vivere delle storie come non si fa con nessun altro medium”, dice Stefania Sperandio, Editor in Chief di Spaziogames, e ancora “oggi si sono trovati molti modi di arricchire la narrativa in un videogioco e penso che abbiamo solo scalfito la superficie”. Per Giovanni Marrelli, Editor di IGN, “la narrazione un elemento portante dei videogiochi”. Per come la vedo io, le “storie” dei videogiochi sono ancora inadatte, ma non me ne preoccupo perché è raro che cerchi delle storie, quando gioco. Le definisco inadatte perché faticano a trovare modi e tempi per farsi strada, con soluzioni approssimative che sono diventate la norma da troppi anni: le registrazioni audio da trovare in giro e con cui ammorbarsi mentre si preferirebbe fare altro o i quintali di lettere, letterine, diari e appunti di varia natura di cui sono infarciti i mondi virtuali di gioco. Nessuno scrive così tanto a penna, come la gente dentro ai videogiochi. E poi sono inadatte perché credo che la profondità delle vicende e dei personaggi sia, in media, molto demoralizzante.
A questo riguardo Marco Mottura, 50% di Round Two, dice: “fatte le debite e mirabilissime eccezioni (che però si contano sulle dita di una mano o poco più), per me ad oggi i videogiochi sono e rimangono ancora un medium di un’immaturità narrativa sconcertante. Basti pensare a come vengano trattati sommariamente – o peggio a come siano spesso del tutto bypassati – temi cruciali come la morte, la religione o il sesso: il raffronto col cinema e la letteratura è quantomai impietoso in questo senso, come se ancora si fosse intimamente legati all’idea di prodotti pensati in primis per ragazzini (rigorosamente maschi e per lo più infoiati da un paio di tette o una clip di proiettili) in cui certe tematiche restano dei tabù”.
Certo, la narrazione dentro ai videogiochi può essere fatta in tanti modi e non solo emulando film e serie televisive. La storia, in qualche modo, può essere portata avanti da elementi più specifici dei videogiochi, da ciò che viene suggerito o da quello che i protagonisti vengono chiamati a fare. “La narrativa è importante ma questa non dovrebbe prevaricare il gameplay, anzi dovrebbe essere dinamicamente in grado di sfruttare il gameplay”, mi spiega Francesco Serino di Multiplayer, “I prodotti che fanno questo, sono già a un livello superiore. I filmoni interattivi sono gustosi, ma come nessun film viene definito un grosso videogioco per fargli un complimento, lo stesso dovrebbe valere al contrario”.
Il problema di scrivere di videogiochi dovendo tenere in conto gli spoiler e le richieste degli NDA, però, rimane. Anche perché c’è un pubblico più attento e sensibile (a volte terrorizzato) dalla questione ed è un pubblico figlio dei suoi tempi. Con il mutare dei videogiochi e il gonfiarsi della narrazione al loro interno, si è sviluppato anche un senso di autoprotezione dei lettori dalle anticipazioni. Personalmente me ne sono accorto all’inizio della storia di Nintendo la Rivista Ufficiale (primavera 2002), quando su un newsgroup qualcuno si lamentò della leggerezza con cui nel primo numero avevamo mostrato tutti i contenuti del primo livello di Luigi’s Mansion, incluso il boss. Serino ha iniziato a scrivere di videogiochi all’incirca quando l’ho fatto io (alla fine degli anni ‘90) ed è convinto: “La sensibilità dei lettori, da quando faccio questo lavoro, penso sia cambiata radicalmente almeno tre volte”. “Ci sono eccessi per cui alcuni non vogliono neppure sapere quanto duri un’avventura single player o quanti livelli ci siano in un platform…”, riflette Mottura. Anche Sperandio crede che la cosa sia un po’ sfuggita di mano: “c'è una psicosi da spoiler che trovo insensata. Da poco abbiamo discusso con dei lettori perché, citando il combat system di un gioco, abbiamo fatto l'esempio di un'arma e ci è stato detto che ‘non sapevo che quell'arma fosse presente, è spoiler’".
Misurare i limiti
Per molti anni ho scritto recensioni di videogiochi senza dovermi preoccupare di nulla: non della giornata di pubblicazione, a quella ci pensavano i limiti imposti dai tempi di stampa e distribuzione delle riviste, e non di rivelare qualcosa che non potessi rivelare, dato che nessuno aveva firmato alcun tipo di accordo. Cosa succede quando ti ritrovi a scrivere dovendo pensare a tutto questo, in particolar modo a quello che ti viene espressamente “chiesto” di non rivelare?
“Mi piace pensare che i limiti imposti dalle aziende siano utili a mantenere una certa ‘sorpresa’ nel momento in cui l'utente si troverà a vivere l'esperienza di gioco in prima persona”, dice Marrelli, ma… “ci sono (stati) casi in cui queste limitazioni, ovviamente, si sono rivelate probabilmente senza senso”. Gli fa eco Sperandio: “mi sono capitati NDA che chiedevano di non parlare di un milione di aspetti della storia, in un gioco dove la vicenda era del tutto marginale, e altri che lasciavano totale discrezione al critico, dove invece la narrazione era preponderante per l'esperienza”. A questo punto l’Editor in Chief di Spaziogames si prende del tempo per specificare una cosa, che credo possa tornare utile e quindi la riporto: “Non vorrei che qualcuno ci leggesse un sottotesto in cui si immagina un NDA che ti chiede di non parlare delle problematiche del gioco o cose del genere. Non stiamo parlando di fantomatici NDA con scritte cose come ‘non dire che il gioco gira a 10 fps’ o ‘non dire che il gameplay era vecchio già trent'anni fa’, ecco – ma cose come ‘non citare avvenimenti significativi dopo il capitolo x’”.
Torniamo a noi. Poco più in alto, Mottura ha confinato le sceneggiature dei videogiochi a un livello generalmente piuttosto basso, forse anche per questo non ha grossi problemi con le limitazioni imposte dagli NDA, come mi spiega: “in un settore sempre più strutturato, organizzato e con tendenze di controllo alle volte puntigliose, gli embarghi [relativi ai contenuti] sono sì un elemento con cui si ha a che fare ma anche una sfumatura che di solito non mi provoca particolari grattacapi”.
Gli obblighi collegati agli accordi di non riservatezza, sono allora un cappio così soffocante al collo di chi scrive di videogiochi? Verrebbe da rispondere di no e mi sento anche di confermarlo da parte mia. Mi è capitato molto più spesso di sorridere di fronte alle imposizioni degli NDA, piuttosto che a infastidirmi, ma d’altronde anche per me l’elemento narrativo nei videogiochi è ancora talmente poco importante che non ho questa grande voglia di scriverne e parlarne approfonditamente con il pubblico. E detto questo, come cambia la gestione degli spoiler quando non ci sono NDA di mezzo o quando gli NDA si dimostrano generosi? O per meglio dire: come ci si autoregolamenta in questo caso?
Comincia Marrelli, con un percorso riguardo agli spoiler che conosco bene: “Il mio rapporto con gli spoiler è... particolare, ed è certamente cambiato nel corso degli anni. Sono passato dal cercare qualsiasi anticipazione possibile sulle serie TV che mi piacevano, così da discuterne nei forum con altre persone, a evitare ogni rivelazione indesiderata, a tutti i costi. Di conseguenza, anche in assenza di particolari restrizioni imposte da NDA, cerco sempre di non rovinare l'esperienza altrui e di limitarmi ad analizzare il comparto narrativo senza entrare nei dettagli”. Da quando non lavoro più quotidianamente con la critica dei videogiochi, ho riscoperto il gusto di iniziare uno Zelda senza aver visto alcun trailer per mesi, ma per quello che mi riguarda gli elementi da evitare sono i dettagli sulle meccaniche di gioco e non certo il fatto che Ganondorf sia il cattivone finale (credo che lo sia, non lo so, lo immagino, lo fa da quasi quarant’anni).
“Solitamente concedo pochissimo spazio alla trama, di cui accenno l’incipit spiegandone la sinossi. Più segreti rimangono, meglio è per l’utente. Al punto che solitamente quel che mi viene detto di non dire, è molto più di quel che poi direi io senza limitazioni”, riflette un po’ divertito Serino. Si muove sulla stessa onda anche Sperandio: “Quando qualche tempo fa ho recensito Horizon: Forbidden West, ho deciso di non citare specificamente un aspetto di gameplay che invece Sony stessa ha finito con il mettere negli asset di accompagnamento al lancio. Eppure, quando l'ho scoperto in-game ho provato un momento di pura gioia e speravo che potesse essere lo stesso anche per chi avrebbe giocato dal day-one in poi”. D’altronde, sempre secondo Sperandio, “puoi parlare di come sono strutturati i tempi di una narrazione, i suoi personaggi, i suoi beat senza dover citare necessariamente quello che accade”.
“Per me è sacrosanto permettere a chi sta dall’altra parte di vivere la migliore esperienza possibile, fatta di sorprese, sviluppi e magari colpi scena (fermo restando che in questo senso i trailer fanno ormai da anni più danni della grandine, rivelando la qualunque per spingere ai preordini…). Il tutto ovviamente informando a dovere e approfondendo quando e dove serve”, taglia abbastanza corto Mottura. Sui trailer siamo tutti d’accordo: dopo aver finito di scrivere la recensione di Death Stranding3 (Kojima Productions, 2019), mi sono rivisto i trailer più recenti e dentro c’erano addirittura delle parti della sequenza finale.
Voglio sperare che Kojima abbia punito a dovere quel Kojima.
VERBA MANENT
Blob videoludico
Qualche settimana ho conosciuto per puro caso “Blob videoludico”, una collana di video pubblicati su YouTube che riprendono l’idea e lo stile dello storico programma di Ghezzi e Giusti. Per capire cosa sia, si fa molto prima a guardarne anche solo qualche minuto (trovate il video qua sotto). Sostanzialmente è un montaggio ragionato di spezzoni tratti da video di content creator e redazioni di riviste online. L’ultima uscita disponibile è dedicata a The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom.
Dopo averlo visto, sono andato a cercare qualche informazione sull’autore… scoprendo che è addirittura il fondatore di Unseen64, un’istituzione nel campo delle indagini videogiocose. Niente da fare, quando uno ci sa fare, ci sa fare.
NEXT-GEN
Nella prossima puntata
Nelle migliori edicole vostre caselle email lunedì 10 luglio!
SEMIRETRO
Nelle puntate precedenti
Day One: chi non c’è, non ci sarà (3 luglio)
Il titolo del nuovo gioco di Mario (26 giugno)
Console: una questione di genere (19 giugno)
Qualità o performance? Pigrizia al potere (12 giugno)
I dischi che ho ascoltato questa settimana:
A Place to Bury Strangers - Exploding Head
Grian Chatten - Chaos for the Fly
Alzi la mano chi ritiene che la sua intera esistenza si una macchina di Rube Goldberg. \o
Blob videoludico è un format fantastico, grazie per avermelo fatto conoscere