Cross-gen: lo spauracchio dell'early adopter
Quando andare avanti fa troppa paura e allora si rimane con un piede di qua e uno di là (fino a quando le generazioni di videogiochi non smetteranno di esistere).
Ciao,
anche questa settimana non sono riuscito a scrivere una puntata breve (o almeno non-lunga). Tra sette giorni andrà molto meglio, promesso. Inizio anche a promettere che ad agosto questa newsletter si prenderà una pausa per tirare il fiato. È probabile che arriveranno comunque delle puntate con dei testi che ho scritto un sacco di anni fa, come nel caso dell’articolo sul GameCube di qualche settimana fa. Devo solo trovarne di interessanti! Segnalo anche che il mio progetto Day One, l’almanacco dei videogiochi, ha pubblicato ieri una breve newsletter dedicata a… un quaderno con un autografo. Se pensate che possa interessarvi, potete leggerlo qua.
Buona lettura!
Una trilogia sulle generazioni
Anche i videogiochi parlano spesso di generazioni, pur senza le stesse ossessioni dei discorsi pubblici e social riguardo nomi e caratteristiche che accomunerebbero gli appartenenti a questa o quella. Da queste parti qualcuno ha iniziato a un certo punto a distribuire delle etichette, limitandosi però a mettere in ordine cronologico le varie epoche dei sistemi da gioco, identificate solo da un numero. L’ottava generazione viene appena prima della nona, per capirci. Rimane comunque un modo poco utilizzato per frequentare l’argomento: è molto più facile sentir parlare di “current gen”, qualche volta, “next-gen”1, molto più spesso, e “old gen”, in qualche caso. Di next gen ho scritto in questa puntata, come suggerisce l’intuito si riferisce alla generazione prossima ventura di console da gioco. Di current gen e old gen si sente parlare e se ne legge più facilmente in collegamento con il lancio di una nuova generazione: i giochi annunciati pochi mesi prima possono specificare se sono destinati alla generazione corrente, di quel momento (la current gen, appunto), o se sono anche o esclusivamente per la generazione che verrà. Quando poi si è già tecnicamente nel post-lancio di almeno una nuova console next gen, ci si può riferire a quella precedente con la formula old gen. Tutto molto logico.
Le cose si fanno meno lineari quando si includono nei discorsi anche i concetti portati da “mid-gen” e “cross-gen”. Anche per mid gen c’è già stata una puntata, potete leggerla qua. Con la puntata di oggi, che è dedicata proprio al termine cross-gen, arriviamo quindi a una qualche forma di trilogia sulle generazioni.
Che cosa si indica con “cross-gen”
Di fatto le generazioni riguardano solo le console. Volendo si può estendere il concetto anche gli strumenti di sviluppo (principalmente software) che, a loro volta, si muovono seguendo una strana sincronia con gli hardware elaborati e messi in vendita da Sony/PlayStation e Microsoft/Xbox, in un circolo vizioso in cui individuare l’ordine di arrivo tra uovo e gallina diventa molto complicato. A partire da Xbox 360 (2005) e con la conferma definitiva di Xbox One e PlayStation 4 (2013), la progettazione degli hardware delle console dei tre platform holder, qui si include anche Nintendo, si è appiattita su interpretazioni standard della materia. Quello che si trova dentro una console e un computer pensato per il gioco, insomma, è molto simile ed è il punto di arrivo del processo di espansione dei tempi di sviluppo dei videogiochi e dell’allargamento del mercato a dismisura, sperimentato nella prima parte del secolo.
Fare videogiochi è complicato, costoso e rischioso, tanto più (ma non solo) se i videogiochi sono quelli di alto profilo di grandi editori. Diventa essenziale un panorama che consente di trasportare il proprio progetto su quante più piattaforme sia possibile, così da consentirgli di raggranellare soldi un po’ dappertutto e in ogni momento. I guizzi capricciosi della PlayStation 2 e della PlayStation 3, voluti dal team del visionario ingegnere Ken Kutaragi, sono stati piallati quando quest’ultimo è stato salutato e sostituito in Sony da Mark Cerny, che ha elaborato hardware perfettamente ancorati a pratiche comuni e standard condivisi (pur con le ovvie personalizzazioni ed eccezioni, tipiche di ogni console - anche se sempre meno decisive).
Non è affatto un caso se l’idea di cross-gen inizia a farsi strada alla fine del 2005, con l’arrivo dell’Xbox 360, la seconda console nella storia di Microsoft, che fin dal 2001, con il progetto Xbox, dichiarò i suoi intenti dicendo di voler piazzare le “Direct X2 in a box”. Cioè ha voluto mettere un computer con una configurazione fissa e standardizzata dentro un “esoscheletro” da console. Al passaggio di consegne dalla vecchia alla nuova generazione, cioè da Xbox a Xbox 360, una serie di videogiochi vennero pubblicati sia per la prima che per la seconda. In una buona parte dei casi i giochi erano gli stessi, a cambiare era l’aspetto grafico (livello di dettaglio e fluidità del movimento delle immagini). Questa fu la sorte toccata a Gun di Activision o a King Kong di Ubisoft. Ma ad appoggiarsi in particolar modo alla comodità dello sviluppo per più generazioni nello stesso momento, così da incrociare o attraversare due generazioni, furono soprattutto i giochi sportivi, da quelli più tradizionali come NHL 2K6 e NBA 2K6 di Take Two o NBA Live 06, Madden NFL 06 e Tiger Woods PGA Tour 06 di Electronic Arts, a quelli più alternativi come Tony Hawk’s American Wasteland di Activision e finendo con un gioco di guida come Need for Speed: Most Wanted, di nuovo di Electronic Arts.
I giochi sportivi sono tradizionalmente quelli che vengono spalmati lungo più generazioni: FIFA venne pubblicato fino all’edizione 2005 anche sulla prima PlayStation, quasi cinque anni dopo il debutto della PlayStation 2. Succede perché l’appeal delle licenze dei grandi campionati è universale e deve essere messa a frutto ovunque e comunque. Quando gli anni passano e la qualità delle versioni per le console meno dotate cala vertiginosamente, c’è comunque un mercato che si fa andare bene il solo aggiornamento delle rose delle squadre e delle compagini che partecipano alle varie competizioni. Quando si iniziò a parlare di giochi cross-gen era perché si andò ben oltre i giochi sportivi.
Nel caso del lancio di Xbox 360, comunque, i titoli pubblicati direttamente da Microsoft vennero riservati solo alla nuova console: Perfect Dark Zero, Project Gotham Racing 3, Amped 3, Kameo Elements of Power potevano essere giocati solo sull’ultima arrivata. Microsoft non aveva poi un grande parco di Xbox installate nel mondo e tutto sommato aveva interesse più a promuovere la nuova console, che a sfruttare il pubblico che aveva già in casa l’Xbox del 2000.
Cross-gen è lo stato di un gioco che viene proposto in un lasso di tempo ravvicinato (se non addirittura fin dal giorno di lancio) per console di differenti generazioni, allo scopo di allargare quanto più possibile il bacino di potenziali acquirenti. Anche a costo di non riuscire a sfruttare in maniera soddisfacente le risorse garantire dai nuovi hardware, perché appesantite dai limiti imposti da quelle della generazione precedente.
La generazione della PlayStation 5 e di Xbox Series X|S, che è nata nell’autunno del 2020 con il lancio di entrambe le console a distanza di pochi giorni, è stata quella più segnata da produzioni cross-gen, che volendo possiamo tradurre come “intergenerazionale”. Microsoft annunciò fin da subito che i giochi dei suoi Microsoft Studios avrebbero continuato ad apparire anche su Xbox One, la console della generazione precedente, per almeno due anni3. Fino alla fine del 2022 anche Sony Interactive Entertainment, l’etichetta di Sony che pubblica videogiochi, ha proposto la maggioranza delle sue produzioni sia per PlayStation 4 che per PlayStation 5, fino a God of War Ragnarök del novembre 2022. La differenza rispetto alla situazione di Xbox 360 è quindi evidentissima: tutti i giochi possono essere cross-gen, da quelli delle terze parti a quelle che fino a due generazioni prima sarebbero state le esclusive next-gen dei team interni a Sony e Microsoft.
Per PlayStation 5 e Xbox Series X|S uno dei motivi fu anche da ricercare nell’iniziale lentezza della diffusione delle nuove console, da addebitare alla scarsa disponibilità delle stesse (le cui linee produttive lavorarono a lungo a rilento a seguito della scarsità dei processori e di altri elementi essenziali, dovuti ai lockdown per la pandemia da Covid-19). Ma è indubbio che quella fosse solo una delle cause e che la voglia di non tagliare i ponti con decine e decine di milioni di utenti, quelli dell’ormai vecchia generazione, spingesse altrettanto forte verso una lunghissima fase di transizione all’insegna della cross-gen.
Nelle ultime settimane gli appassionati di Metroid, un’apprezzatissima serie di Nintendo, hanno discusso un po’ ovunque in rete della possibilità che il prossimo Metroid Prime 4: Beyond possa essere un gioco cross-gen. Questo perché l’uscita è generalmente prevista nel 2025, lo stesso anno in cui Nintendo dovrebbe finalmente presentare e poi mettere in vendita la console che succederà allo Switch. Ho scritto un lungo commento per Final Round, in cui cerco di capire e spiegare perché Metroid Prime 4 potrebbe e probabilmente dovrebbe essere un gioco cross-gen. Il link è qua sotto.
Risorse: Metroid Prime 4, Switch 2 e premesse di Cross-Gen - Final Round
Altre parole e altre generazioni
Con Xbox Series X|S Microsoft ha provato a personalizzare l’idea del gioco intergenerazionale, adottando l’espressione “Dual Generation” (tradotto ufficialmente con “doppia generazione”), che però ha avuto vita breve e confusa. Nelle stesse pagine ufficiali in cui Microsoft utilizzava Dual Generation, compariva anche il più universale cross-gen. A proposito, in italiano Microsoft ha tradotto cross-gen con “multigenerazionale”, che mi pare funzioni comunque bene.
Un gioco di doppia generazione è un gioco che viene rilasciato per le generazioni di console Xbox One e Xbox Series X|S. Ogni versione può essere venduta separatamente o acquistata come bundle multigenerazionale che include entrambe le versioni.4
Richard Leadbetter, il Technology Editor di Digital Foundry, una pubblicazione dedicata all’analisi tecnica dei videogiochi, un anno prima del passaggio da PlayStation 3 e Xbox 360 a PlayStation 4 e Xbox One, scrisse un articolo interessante sullo sviluppo intergenerazionale. È ancora oggi utile leggerlo per capire perché si stesse andando verso quella direzione e come veniva avvertita la cosa solo (?) dieci anni fa.
Qualche riga anche per “early adopter”, così almeno giustifico il titolo di questa puntata. Gli early adopter sono ovviamente i primissimi clienti, quelli che adottano una nuova tecnologia appena si rende disponibile, in barba alla possibilità che il periodo di debutto porti con sé tutti i classici problemi di un prodotto poco rodato. Nel nostro settore sono pure gli stessi clienti che, poi, si devono sorbire manciate di videogiochi che ancora non vogliono affondare sull’acceleratore per sfruttare le potenzialità delle nuove console, impegnate come sono a far girare giochi cross-gen. Che per forza di cose non sono propriamente ben visti dagli early adopter.
Chiudo citando tempi molto più impolverati dalla memoria, quando i videogiochi cross-gen erano la norma, senza però essere davvero tali. Mi spiego. Dopo aver sviluppato un certo attaccamento al gioco da bar di Golden Axe (Sega, 1989), riuscì a farmelo regalare nella sua edizione per il Master System, la console a 8 bit di Sega. Quando vidi le prime immagini di Golden Axe per il Mega Drive, la console a 16 bit di Sega, capì che era il caso di tornare a tampinare i miei genitori chiedendo di passare di generazione (non erano questi i termini che utilizzai, figurarsi). Golden Axe, come altri mille videogiochi, non era un gioco cross-gen: erano semplicemente due conversioni derivate da un gioco originale, quello distribuito nelle sale giochi e nei bar. Oggi l’idea dei giochi cross-gen si avvicina in qualche modo alle conversioni degli anni ‘80 e della prima parte degli anni ‘90, ma rimangono comunque molto differenti. Quelli erano videogiochi riprogrammati sostanzialmente da zero rispetto alla materia sorgente e ogni versione veniva ripensata per adattarsi a linguaggi e progettazioni hardware molto differenti tra di loro. Quelle di oggi sono versioni basate sullo stesso codice e da una all’altra cambia molto poco, anche nella sostanza.
Perché forse qualcuno non lo sa, ma il colosso da bar Final Fight (Capcom, 1989) venne pubblicato anche per il Commodore 64, un microcomputer che non aveva davvero nulla a che vedere con la scheda CPS 1 su cui venne sviluppato il gioco. E infatti si vedeva. Solo dei disperati avrebbero potuto comprare la cassetta di Final Fight per Commodore 64, come infatti facemmo io e il mio amico Daniele.
EXTRA!
Il quaderno di Day One
THE MAN MACHINE
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Per motivi che non mi sono chiari, “next-gen” e “cross-gen” sono più spesso scritti in questo modo, con il trattino in mezzo.
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