Knowledgevania e una cosa quasi successa
Qualcuno propone un nuovo termine per un nuovo genere. Ma anche un accordo nell'epoca del multimedia e dell'edutainment.
Ciao,
prima di passare all’argomento della settimana, una segnalazione: tra meno di un mese partirà Day One, che è una newsletter quotidiana con cui immagino di avervi già fracassato i cosiddetti a modino. Cercherò di essere brev: ho annunciato la presenza di un gran numero di amati/rispettati ospiti, che renderanno Day One una lettura meno prevedibile, aggiungendo i loro punti di vista. Sono tutti amici e colleghi che si sono occupati di critica dei videogiochi e, in qualche caso, lo fanno ancora. Se volete saperne di più potete cliccare qui. Ogni iscrizione o promessa di abbonamento aiuterà a sostenere il progetto e a sfruttare i contributi degli ospiti appena citati.
Buona lettura!
Knowledgevania: indagini esplorative
Non ricordo più come ci siamo conosciuti, io e questa strana bestia. Qualche mese fa ne ho incrociato lo sguardo e dopo essermi assicurato che la porta di casa fosse ben chiusa, mi sono appuntato il nome: “knowledgevania”. Ora sono pronto a dire quel poco che so, nella speranza che questa breve incursione nelle sue terre di orrore e dolori risulti inutile, perché mai il grande pubblico dovrà avere a che farci.
Da quanto mi è stato dato di capire, con knowledgevania si vorrebbe inquadrare un genere di videogiochi in cui la progressione non è collegata all’acquisizione di nuovi poteri, da ottenere a loro volta dimostrandosi abili nei movimenti e/o negli scontri con qualche nemico, come invece avviene nei classici metroidvania (ne ho parlato in questa puntata). In un gioco knowledgevania la risorse sono tutte lì, quella che manca inizialmente è la capacità di elaborarle per tradurle in soluzioni. Sono giochi costruiti sugli enigmi, in cui la conoscenza degli elementi di gioco (che poi potrebbero essere anche parte del suo intreccio narrativo) è l’unica chiave, figurata, a qualsiasi barriera che impedisce al giocatore di procedere.
Mentre preparavo questa puntata mi sono come sempre messo a cercare maggiori testimonianze del suo utilizzo, trovandone pochissime, per non dire nessuna. Quello che ho trovato è, però, un articolo scritto da Kate Grey e pubblicato da NintendoLife nel 2022. Quell’articolo è fatto molto bene e dentro potete trovarci tutto quello che vi serve per capire i knowledgevania. Prima, però, un colpo di scena: qualcuno ha provato inizialmente a proporre il termine “metroidbrania”.
In un episodio del podcast ufficiale di PlayStation1 del 2015 (!), Nick Suttner di Sony utilizzò il termine metroidbrania. L’intento era di inquadrare The Witness, un videogioco che sarebbe stato pubblicato all’inizio del 2016, realizzato da Jonathan Blow (già celebrato autore di Braid, 2008).
È sorprendente e un po’ demoralizzante accorgersi di come entrambe le proposte girino attorno al cadavere ormai spolpatissimo di quella formula di così grande successo che è stata (ed è) metroidvania. Come se non ci possano essere altre fonti a cui attingere, nel caso si voglia partecipare al soporifero campionato dei nomi dei generi. Io, peraltro, sono sempre per le tag vere e proprie, quelle che parlano di contenuti e non di contenitori: ne avevo scritto qua.
Per mettere un po’ di carne al fuoco mi faccio aiutare da Gray:
Il problema [con il nome dei generi dei videogiochi] è particolarmente evidente quando si parla di giochi basati sulla loro storia, perché vengono tutti accomunati dall’utilizzo di “narrativo” o “visual novel”, sia che si tratti di simulatori di appuntamenti a tema horror come Doki Doki Literature Club, sia che siano giochi sulla crescita verso la fase adulta come Night in the Woods, che in comune hanno davvero poco. Per il solo fatto che mi piacciono Ace Attorney e Danganronpa, allora dovrebbero piacermi tutti i giochi basati su una storia?
Gray ha discusso della cosa con il suo compagno, che lavora nello sviluppo dei videogiochi, e hanno quindi scelto un loro nome per riunire i giochi la cui progressione è basata sulle informazioni accumulate e interpretate: “knowledge node puzzles”, enigmi a nodi di conoscenza. Questo, ovviamente, prima di accorgersi del metroidbrania di Suttner e cadere dalla sedia.
Alcuni esempi di videogiochi relativamente popolari che è sensato far rientrare nella categoria appena descritta: Her Story e The Witness (2015), ma anche Return of the Obra Dinn (2018). Di se stesso The Witness dice, attraverso la sua pagina su Steam2:
Ogni enigma contribuisce all'esperienza apportando una nuova idea. In sostanza, è un gioco colmo di idee.
Questa invece l’autodefinizione di Return of the Obra Dinn3:
Return of the Obra Dinn è un avventura del mistero in prima persona, basata sull'esplorazione e la deduzione logica.
Chiudiamo con Her Story4:
Un gioco che ti chiede di ascoltare.
Riusciranno knowledgevania o metroidbrania a guadagnarsi una qualche forma di riconoscimento che possa in un certo senso ufficializzare la validità del termine? Credo di no, spero di no, ma non ne sarei troppo sorpreso (a meno che non sia già successo e che io non sia diventato parte dell’ingranaggio).
Electronic Arts punta Brøderbund
In che punto del mondo si nasconde Carmen Sandiego? Dagli anni Ottanta la domanda divenne il titolo di una serie di videogiochi di grande successo negli Stati Uniti. Where in the World is Carmen Sandiego? apparteneva, in effetti, alla categoria dei videogiochi educativi, etichetta che ne annacquava i trionfi agli occhi della critica specializzata.
Assieme a una manciata di altri giochi, Where in the World is Carmen Sandiego? mi si fissò in testa in uno dei tanti momenti che ho passato a succhiare ogni possibile informazione da chissà quale numero di Electronic Gaming Monthly, lo storico mensile statunitense dedicato ai videogiochi. Avrò avuto circa dodici anni e quello che vedevo su “EGM” arrivava solo qualche mese più tardi sulle pagine delle riviste italiane. Nel caso in cui ci arrivasse, perché giochi come Where in the World is Carmen Sandiego? si fermavano al di là dell’oceano. Sia per quanto riguarda la distribuzione ufficiale, sia per l’informazione di settore. Peraltro l’edizione per l’Europa di Where in the World is Carmen Sandiego per il Mega Drive di Sega fu uno dei rari casi di videogioco tradotto in italiano su console dell’epoca a 16 bit.
La più grande fusione nell’emergente settore del software per home multimedia
Le avventure della ladra Carmen Sandiego, inizialmente pensate per aiutare i bambini a conoscere la geografia, furono realizzate da Brøderbund Software, una software house che a quel punto si era già fatta ampiamente notare anche tra gli appassionati di videogiochi con dentro pochissime lezioni di geografia. Fu Brøderbund Software a pubblicare Prince of Persia del giovane Jordan Mechner nel 1989, tanto per mettere in chiaro l’intuito che guidava i fratelli Carlston, fondatori dell’etichetta.
Arrivata al 1994 Brøderbund Software si era comunque affermata sul mercato soprattutto in virtù dei suoi tanti programmi educativi o, comunque, che nulla hanno a che fare con i videogiochi. Tra gli altri successi c’erano infatti proposte come The Print Shop, un programma che forniva risorse grafiche per allestire e poi stampare biglietti, piccoli cartelli, annunci e quanto altro. The Print Shop è tuttora in vendita5.
Il 10 febbraio 1994 un articolo del Los Angeles Times presentò “la più grande fusione nell’emergente settore del software per home multimedia”, riferendosi all’accordo trovato tra Electronic Arts e Brøderbund Software che, per 400 milioni di dollari, avrebbe visto la seconda passare nelle scuderie della prima. È inutile e un po’ stupido ripescare comunicati stampa e articoli di una vita fa solo per mettere all’indice una terminologia che oggi risulta incomprensibile o, ben che vada, anacronistica. In questo caso, però, mi pare che il pezzo del Los Angeles Times aiuti a cogliere la prospettiva di un momento storico di svolta per il mondo dei videogiochi (e anche di quello che allora si definiva “home multimedia software”).
Ancora dallo stesso articolo:
L’accordo riflette il consolidamento già in atto nel settore del multimedia software, promosso dai progressi tecnologici e dalla potenziale crescita del mercato, con l’ingresso recente di nuovi e importanti attori come Sony, Time Warner e Microsoft, oggi attivi in un settore precedentemente ad appannaggio di sviluppatori di giochi più piccoli e meno conosciuti.
Nel 1993 si era parlato molto e spesso con grandi aspettative del sistema da gioco 3DO, elaborato dalla 3DO Company di Trip Hawkins (già in Apple e poi fondatore di Electronic Arts, per rimanere in tema). 3DO puntava a rivoluzionare letteralmente il mercato dei videogiochi con uno standard tecnologico condiviso, l’apertura a qualsiasi velleità multimediale che andasse oltre ai semplici videogiochi e il supporto economico nei confronti degli sviluppatori di videogiochi per questo formato. Esattamente l’opposto di quanto era successo fino a quel momento, con hardware da gioco chiusi e totalmente incompatibili tra di loro e royalty richieste alle software house interessate a pubblicare giochi. Il 1993 era stato anche l’anno della definitiva esplosione del CD-ROM come strumento di stoccaggio dei videogiochi, con le sue (apparentemente) infinite suggestioni verso un futuro fatto di “multimedialità”. Entro la fine del 1994, poi, ci sarebbe stato il debutto della PlayStation di Sony, che di fatto avrebbe velocemente dato un’accelerata alla popolarizzazione estrema dei videogiochi.
L’interesse di Electronic Arts per Brøderbund Software nasce dalla convinzione che stia per arrivare quel futuro in cui tutti avremmo infilato dei CD-ROM in giro per casa. Per farci aiutare a cucinare, per guardare un film, per avere un po’ di supporto con lo studio… e poi anche per giocare sul televisore. Come dice Amy Harmon nel già citato articolo del Los Angeles Times:
Secondo gli analisti i punti di forza delle due società sono complementari. Electronic Arts, che ha pubblicato oltre 200 titoli nello scorso anni per macchine da gioco e personal computer6, è carente nel settore dell’edutainment, quel software sia educativo che di intrattenimento.
Se anche a voi non capitava di imbattervi in termini come “multimedia” e “edutainment” da decenni, vi capisco benissimo.
La storia ebbe comunque una fine sorprendente. Pochi mesi più tardi, il 3 maggio, Brøderbund Software annunciò7 di essersi chiamata fuori dall’accordo stipulato con Electronic Arts, lasciando sul piatto dieci milioni di dollari di penale. La fusione, insomma, non si fece mai e questo perché gli azionisti di Brøderbund Software ritennero che le condizioni economiche proposte (e già approvate, in realtà) stavano sottostimando la compagnia.
Brøderbund Software venne acquisita nel 1998 da The Learning Company8 per 420 milioni di dollari.
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“Zooropa, better by design” (U2)
Non sono riuscito a risalire alla fonte di questo dato, che sembra poco credibile. Secondo semplici calcoli basati sugli elenchi dei giochi pubblicati da Electronic Arts disponibili su Wikipedia, nel 1993 l’editore californiano pubblicò 50 versioni dei suoi vari giochi. Un numero di tutto rispetto, ma molto lontano da quello sbandierato in questo articolo. Ci si può avvicinare iniziando a moltiplicare ogni gioco per le tre edizioni destinate al mercato europeo, a quello statunitense e a quello giapponese. Ma una parte consistente dei giochi di Electronic Arts non veniva messa in commercio in Giappone, quindi non saprei che dire.
Il nome è orrendo, ma i giochi che ne fanno parte iniziano ad essere un certo numero e, oltre che dalla conoscenza come componente di design, sono accomunati da una qualità media piuttosto alta.
Quindi un nome ci vuole, per quanto brutto, per renderne più facile la diffusione tra il pubblico, specie ora che i mastodonti collassano.
E quindi, a conti fatti, anche quella ciofeca di Mario is Missing, che era in bundle col mio primo pc nel 1994, è un esponente del genere. Ci ho messo una infinità a finirlo all’epoca, ma avevo solo 11 anni…