Post game: quello che viene dopo
C'è vita digitale, oltre la morte narrativa. Ma non sempre è una buona notizia.
Ciao, prima di passare all’argomento della settimana, una segnalazione. La sera del primo maggio (il giorno in cui viene inviata questa puntata), sarò ospite del canale Twitch di Ualone, per parlare di questa newsletter e, ho paura, anche molto altro. Ualone ha scritto di videogiochi per un sacco di tempo (è stato l’Editor in Chief di PSM, tra le altre cose) e da un po’ si è concentrato sul parlare di videogiochi. Se vi interessa, si parte questa sera dalle 20:30 a questo indirizzo (clicca qui), che mi sembra un orario barbaro per chi deve mangiare, ma così mi è stato imposto.
Questa settimana la newsletter arriva dall’archivio. È una puntata che ho scritto un po’ di tempo fa e che non ho mai pubblicato, ma che somiglia molto alle primissime uscite: provo a spiegare il senso e l’utilizzo di un termine molto specifico del settore dei videogiochi. Se siete degli appassionati di musica, potete considerarla una b-side. Se, poi, ascoltate anche la gente giusta, sapete che le b-side possono essere migliori delle a-side. E se non sapete di cosa stia parlando… un giorno anche voi invecchierete. È anche una puntata un po’ più breve, ma chi lo sa: potrebbe essere una buona notizia.
Infine: negli ultimi giorni ho pubblicato una puntata extra di questa newsletter, dedicata ai titoli che sono stati usati dalla stampa nelle anteprime del nuovo The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom. Potete leggerla passando dal riquadro qua sotto.
Grazie per l’attenzione e sotto col post game! Buona lettura!
Prima si finisce, poi si completa (forse)
Più che ricchi e articolati, alcuni giochi sembrano gonfi e stanchi. Succede alle mega-produzioni e più facilmente alle avventure in un mondo aperto. Mi pare evidente che siamo entrati in un circolo vizioso e non ci siamo entrati oggi: pachidermi in codice binario che si muovono a fatica, obbligati da qualche regola non scritta a non poter essere da meno dell’altro bestione di cui parlano tutti. Regole che non sono poi tanto misteriose e che forse sono il risultato di un timore illogico: quello di poter sfigurare agli occhi dei giocatori più accaniti, quelli che possono e vogliono mettersi a misurare i giochi, molto prima che a viverli. Sono tanti e fanno rumore, quindi meglio assecondarli assicurando il prima possibile che “Lord of Crampi 2 durerà 80 ore!” e che, ça va sans dire, sarà infarcito di quest secondarie e di deliziosi elementi collezionabili.
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Chi lo sa, forse tra i fomentatori di questa corsa alla bulimia dei giochi AAA ci sono gli stessi sviluppatori, che dopotutto sono anche loro videogiocatori accaniti (si suppone). Poi tocca pure sommare tutti i contenuti extra post-lancio, le “stagioni” di DLC ed eventi, e via che il buffet è completo.
Per loro stessa natura, i giochi a mondo aperto sono tra quelli che più di tutti si prestano a una doppia interpretazione del concetto di “fine”. C’è una prima fine, che è quella legata alla narrazione principale e che può essere scollegata dall’aver effettivamente affrontato tutto quello che il gioco ha da offrire. Poi c’è l’altra fine, quella di chi ha completato proprio tutto. I numeri, però, non mentono: da quasi dieci anni si discute sulle deprimenti percentuali di chi finisce i giochi AAA1. Chi arriva pure a completarli rientra in una nicchia di una nicchia.
Nonostante questo, c’è grande attenzione per il “post game” (o “end game”). Il termine è curioso e credo di essermi pienamente reso conto della sua adozione solo in occasione di un qualche doppio episodio di Pokémon, alcuni anni fa, quando il pubblico si chiedeva cosa riservasse il post game. Non ho mai avuto un grande rapporto con la serie dei mostriciattoli (che furono) tascabili e sono per natura portato a rifiutare ogni neologismo o categorizzazione (non me ne vanto), finché proprio non sono costretto a farci i conti. Quindi sì, ci ho messo un po’ ad accorgermi che nel mondo (dei videogiochi) si stava ormai abitualmente usando “post game”. E lo si faceva per riferirsi a ciò che succede dopo che hai finito il gioco, prima però di averlo completato.
Non c’è un’unica filosofia e un unico approccio alla materia del post game. In qualche caso si può limitare a lasciare aperta l’esplorazione del suo mondo, così da affrontare ciò che già si era reso disponibile e anche quanto si renderà disponibile, a prescindere dalla linea narrativa principale (che a quel punto è stata portata a termine). Altri ancora tirano una riga e propongono nuove fasi di gioco, che sono successive a quelle della linea principale già arrivata alla conclusione. Non mi pare ci siano molti casi, oggi come oggi, in cui un gioco che prevede un’ampia fase di esplorazione, impedisca di continuare a fare cose dopo che si è finita la storia e ci si è sucati mezz’ora di riconoscimenti. Nella peggiore delle ipotesi, un messaggio avvisa chiaramente che, procedendo in una certa direzione, non si potrà tornare indietro. In Death Stranding (Kojima Productions, 2019), proprio per citarne uno su cento, Mr. Porter può continuare a consegnare pacchi e ad approfondire la conoscenza delle storie che si celano dietro alla merce, prima di godersi la cerimonia che porta alla sequenza finale vera e propria.
Qualcuno ha parlato di Death Stranding?
ASCOLTATE LA RÉCLAME
Death Stranding, una recensione
Non sono un frequentatore assiduo dei giochi “aperti”, ma potrebbe essere solo un problema dei singoli giochi e non dell’approccio tipico del genere (o meglio: dell’interpretazione “a mondo aperto”). Lo dico perché tre dei miei giochi preferiti degli ultimi dieci anni, come minimo, rientrano proprio nella categoria: Metal Gear Solid V, The Legend of Zelda: Breath of the Wild, Death Stranding. Di quest’ultimo ho curato la recensione per IGN.
Questo il riassunto che accompagna il voto:
Un mondo opprimente e terrorizzante, un gioco coraggioso come pochi e dalla personalità strabordante, un'esperienza complessa e pericolosamente borderline, un capolavoro di tecnica.
Per leggere l’intera recensione (clicca qui).
Dove ero rimasto?
Questa attenzione per il post game diventa più complicata da assecondare quando si parla di pezzi di gioco che si sbloccano, come se davvero servisse ancora altro, in una gara all’ingrasso di cui parlavamo nelle prime righe. In particolar modo se sono un riprendere quanto già ampiamente visto nel gioco "principale". Quando succede in giochi di estensione tutto sommato limitata, come nel recentissimo Hi-Fi Rush (Tango Gameworks, 2023), il senso è molto più facile da trovare.
Hi-Fi Rush inserisce delle nuove sfide, differenti da quelle dell’avventura principale, che di per sé porta via una decina di ore molto scarse. Mi sembra un buon punto di equilibrio. Diversamente si rischia di scavare sempre più in profondità, verso la tomba del modello AAA, di cui in molti tornano a parlare con una certa costanza. Discorsi che generalmente finiscono col naso contro i numeri, che ancora tengono. A eventuali deformità e gigantismi produttivi si può replicare alzando il prezzo del gioco, come si è iniziato a fare all’inizio dell’attuale generazione, che sta abbracciando con eccitazione gli 80 Euro. Anche Nintendo si muove e The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom2 sarà il primo gioco first party per Switch a toccare la soglia dei 70 Euro. Si torna quasi all'epoca del Super Nintendo e del Nintendo 64, quando la console di Kyoto costava poco e i giochi tanto.
Quando la suddivisione tra fine della storia e completamento del gioco serve a renderlo più appetibile a un pubblico differente, e credo avvenga con una certa frequenza per fortuna, allora mi pare molto più logico. Chi ha quindici o venti ore da investire, può arrivare al “The End” e passare ad altro. Chi ne ha molte di più, può imbarcarsi nel completamento, anche dopo aver goduto di quel “The End” a sua volta. Così si sono tenuti buoni entrambi. Anche se, a essere sincero, sono fin troppe le situazioni in cui la storia dura, comunque, decine di ore e poi c’è ancora un quintale di roba ad attenderti. Ouff…
Tra i casi più interessanti di post game capace di aggiungere qualcosa, c’è quello di NieR: Automata (Square Enix, 2017), che aggiungo qui in chiusura perché non mi sono mai veramente dedicato al gioco e quindi parlo per sentito dire. Nel gioco di PlatinumGames e Square Enix il classico New Game+3 propone non la stessa pappa rifritta con doppia panatura, ma ricette differenti: fasi di gioco e avventure con altri personaggi e situazioni. Per una velocissima panoramica su alcuni post game degni di nota, potete rivolgervi a TheGamer.
Intanto mi rimane la curiosità sul termine in sé, “post game”. Come se quello che venisse dopo fosse, in effetti, successivo al gioco e quasi non fosse più gioco. Mentre mi torturo con pensieri così inutili, mi viene in mente il concetto del “post rock”4 e mi ricordo che le categorie non le digerisco proprio.
BONUS!
It’s-a me, Mario post game!
Da una vita c’è un caso esemplare, quando si parla di contenuti post game, in effetti da molto, molto prima che si arrivasse a discutere di post game: Super Mario 64. Affondando le sue radici in un’epoca lontana (il gioco è del 1996), non può rappresentare con precisione millimetrica quella che è mediamente la funzione odierna dei contenuti post game (anzi), ma può fare da portabandiera per una certa interpretazione della cosa.
Super Mario 64 prevedeva ben 120 stelle da recuperare, quale premio per aver completato un livello (o, per meglio dire, raggiunto un obiettivo). Per arrivare a scontrarsi con Bowser e dimostrare che i dinosauri volano (vedi sotto), bastava mettersene in tasca 70. Quasi metà delle “missioni” erano quindi totalmente opzionali. Una cosa simile succedeva già in Super Mario World con le sue tante “uscite segrete” (bivi nascosti nei livelli), anche se la mancanza dell’elemento da raccogliere, le stelle, rendeva più sfumato il concetto.
Nei capitoli successivi la faccenda venne scandita con più rigore, andando più spesso a introdurre i contenuti direttamente dopo aver completato la storia (Super Mario Galaxy, 2007). Chiunque si cimenti in un gioco di piattaforme di Mario, da oltre vent’anni sa che la fine è soltanto una sorta di check point di metà livello.
Beh, siamo arrivati alla fine, vogliamo dire che questa newsletter potrebbe addirittura essere condivisa? Vogliamo?
Grazie a Floriana Grasso per la rilettura e le correzioni.
Con “New Game+” si intende la versione più difficile di un gioco, a cui solitamente si può accedere dopo aver completato quella “standard”. Spesso si possono mantenere alcuni se non tutti dei progressi legati al personaggio ottenuti durante la prima partita (abilità, potenza, etc.).
Penso che nel mainstream il postgame sia arrivato - in maniera molto più diffusa - con Destiny (che a sua volta riprendeva altri titoli del passato). Il primo Game as a Service passato alla gloria in cui la storia era - de facto - il passaggio per il gioco vero. Tant'è che andando avanti la struttura non solo si è preservata, con la campagna che quindi faceva da tutorial più che da contenuto, ma addirittura si è arrivato a inserire metodi per "saltare" tutto il contenuto narrativo e arrivare direttamente alla fine. Se non sbaglio lo farà anche Diablo 4. Siamo lontani dai tempi in cui il postgame o endgame erano i Raid più difficili in un MMORPG