Live service e suoi derivati
Cosa sono i giochi live, come vengono percepiti e perché le regole che valgono per loro non valgono per gli altri.
Il videogioco del momento non è Concord. Forse è Black Myth: Wukong, la rilettura del classico della tradizione cinese “Il viaggio in occidente” realizzata da Game Science che ha venduto dieci milioni di copie in pochi giorni ed è stato giocato nello stesso periodo da tantissime persone (ci arrivo tra poco). Oppure potrebbe essere Star Wars: Outlaws di Ubisoft, in uscita il 31 agosto nei formati PlayStation 5, Xbox Series X|S e PC, in cima all’elenco delle recensioni che contano negli ultimi giorni. La sua media dei voti, accumulati e calcolati da Metacritic, è discreta ma non esaltante, eppure l’appeal ormai universale di Star Wars trasforma qualsiasi prodotto a tema in un argomento di discussione e mette a disposizione un bacino molto ampio di possibili acquirenti. Star Wars: Outlaws oggi è molto chiacchierato e domani potrebbe essere molto venduto.
Con live service game si intende non un genere di videogioco, ma un modello economico collegato allo stesso e, allo stesso tempo, si fa riferimento al suo status
Concord (Sony per PlayStation 5) non è ancora nessuna di queste due cose. Si parla di questo gioco online di squadra1 realizzato da Firewalk Studios, solo per sottolinearne le disastrose performance, secondo la stessa misurazione già accennata per Black Myth: Wukong, o per presentarlo come l’esempio evidente di quanto fosse strampalata l’idea di Sony di buttarsi a capofitto nel mondo dei “live service game2”.
Con live service game si intende non un genere di videogioco, ma un modello economico e, allo stesso tempo, si fa riferimento al suo status. Al contrario di un videogioco come inteso in un’accezione tradizionale, un gioco live service (qualcuno usa anche solo “live game”) è in continuo divenire, perché i suoi contenuti vengono costantemente modificati dall’editore. Per questo motivo ci sono delle testate che assegnano un premio annuale al “best ongoing game”, il miglior videogioco in attività (o in divenire, volendo). Potrebbe essere un videogioco pubblicato anni prima, ma i cui contenuti pubblicato nell’anno solare lo rendono meritevole di un riconoscimento.
Il punto dei giochi live è proprio questo: continuare a esistere e, così, continuare ad avere la possibilità di incamerare soldi vendendo qualcosa al proprio pubblico. Direttamente collegati ai giochi live ci sono gli strumenti come i “pass”, di cui questa newsletter si è già occupata un po’ di tempo fa. Per farla molto breve: i pass sono dei cataloghi di premi sotto forma di elementi di gioco, da ottenere giocando con la maggior frequenza possibile. Anche se ne esistono di gratuiti, i cataloghi a pagamento mettono sul piatto elementi di maggior prestigio.
Un live game ha un impatto anche sullo studio che lo sviluppa, che può trovarsi a continuare a occuparsene per anni proprio per mantenerlo attivo, funzionante e in grado di proporre sempre qualcosa di nuovo. È una condizione che l’editore ritiene ideale, ma che dal punto di vista creativo può essere complicata da sostenere sul lungo periodo.
Tra i live game di maggior successo ancora attivi ci sono Fortnite (Epic), Apex Legends (Electronic Arts), Destiny (Sony), la porzione per il gioco online di Call of Duty e Overwatch 2 (Microsoft), Grand Theft Auto: Online (Take 2), Rainbow Six Siege (Ubisoft).
Di base i live game sono trappole psicologiche progettate per continuare a tenere i giocatori dentro al gioco, anche se ormai hanno smesso di divertirsi, e al tempo stesso provare a convincerli a spenderci altri soldi oltre a quelli che hanno già speso per il gioco in sé.
Da Reddit3
Un live game non ha alcun senso senza un pubblico di ragguardevoli dimensioni. Sono giochi pensati per funzionare grazie alla presenza di molti giocatori che pagano e che continuano a sfidarsi. Steam, la piattaforma di vendita, di gioco e di discussione più utilizzata nell’ambito dei videogiochi per personal computer, consente anche di sapere quante persone siano collegate ai server di un gioco o quante lo stiano comunque utilizzando. Quello delle persone contemporaneamente attive sullo stesso videogioco è un dato che può raccontare qualcosa, a seconda del titolo a cui si riferisce. Per un live game avere decine di migliaia di giocatori attivi nello stesso momento è la prova che sta funzionando.
Concord è un live game che, finora, ha richiamato l’attenzione di poche centinaia di persone su Steam4, nella sua versione per computer. Sony non rende pubblici i numeri registrati dai giochi sulla rete PlayStation Network per le console, quindi, al momento, dell’hero shooter appena lanciato si parla solo facendo perno sulle cifre disastrose di Steam e sulle recensioni piuttosto fredde che lo hanno accolto.
Al contrario, ha fatto subito notizia il picco toccato da Black Myth: Wukong, che su Steam ha oltrepassato i due milioni di giocatori nello stesso momento5. È successo nei giorni del suo lancio e il risultato lo ha spedito in seconda posizione in questa particolare classifica della storia di Steam. È preceduto solo da Player Unknown’s Battleground, un live game che ha fermato il conteggio a più di tre milioni di giocatori. Ma Black Myth: Wukong è un classico gioco d’azione che non prevede fasi di gioco online e tantomeno cataloghi a pagamento. Quindi, per dirla come l’ha detta il giornalista di Aftermath Luke Plunkett:
“A nessuno deve importare di quante persone stiano giocando a un gioco single player. A nessuno!”, il titolo. Che è arricchito dall’efficace sottotitolo: “Vi hanno fatto il live-aggio del cervello, fatevi aiutare da qualcuno”, dice con un sagace gioco di parole che tira in ballo i live game.
Torniamo al povero Concord, che secondo uno dei suoi responsabili è stato in sviluppo per la bellezza di otto anni! A dirlo è Jon Weisnewski, il lead character designer, che su Twitter spiega che ha preso parte a cinque di questi otto anni di ciclo di progettazione e produzione. Otto anni fa la generazione di PlayStation 4 e Xbox One stava ancora cercando di dare il suo meglio e Switch non era nemmeno stato svelato. Otto anni sono davvero tanti, comunque la si voglia mettere. Diventano tantissimi se il gioco su cui stai lavorando sta inseguendo quello che sul mercato sta ottenendo un certo successo in quel dato momento. Quante certezze si possono avere sulla tenuta di quel modello a quasi un decennio di distanza?
Secondo Rob Fahey di GamesIndustry:
Nel 2024 etichettare il proprio gioco come “live service” è come promettere alla gente che gli entrerai in casa di notte per ammazzargli il cane. Quando viene presentato un nuovo gioco, all’apparenza promettente, durante una qualche diretta o un evento, l’interesse crolla all’istante appena si capisce che è un live game. I gusti sono cambiati drasticamente e tanti, tra editori e sviluppatori, non si sono fatti trovare pronti.6
L’esempio che porta Fahey è quello che torna con costanza da mesi, cioè da quando Suicide Squad: Kill the Justice League (Warner Bros. per PlayStation, Xbox e PC) è stato lanciato. Come sta dimostrando con i numeri Concorde, quello di Suicide Squad non è un caso isolato, ma è comunque un caso da manuale di gioco che ha sbagliato tutti i tempi e forse non solo quelli. Il live game basato sull’ormai onnipresente squadra di cattivi dell’universo DC Comics non ha trovato un suo pubblico, perché forse non c’era. O semplicemente perché era impegnato a giocare ad altri live game, ché una persona alla fine ha solo un certo numero di ore da bruciare facendo cose diverse da mangiare, dormire, lavorare e stare in fila per i biglietti degli Oasis.
La lettura di Fahey è più radicale:
L’intero modello di business di Suicide Squad avrebbe potuto funzionare due anni fa. Ma oggi si ritrova circondato da un pubblico che non ha interesse in questo modello e non vuole accettare la strategia di monetizzazione che sta alla base del gioco, il che lo porta a condannare senza mezze misure tutti i compromessi fatti dal gioco per sorreggere quella strategia.
Siamo alla vigilia di nuove stagioni? Stanno per affermarsi differenti tipologie di videogiochi e dei modi che propongono per sostenere i loro (apparentemente insostenibili) costi di sviluppo? Nella mia lettura della situazione, che è banale, rientra per forza di cose anche la limitatezza del tempo a disposizione e la possibilità che il grande pubblico abbia già abbastanza pass/cataloghi a cui dare retta, che forse ha pure pagato. Lo stesso sistema viene ormai sfruttato intensamente anche in giochi di guida (la serie di Forza Horizon di Microsoft o di The Crew di Ubisoft) e nei picchiaduro (vedi Street Fighter 6 di Capcom). Non ho in mano dati per capire quale sia il successo riscosso dai cataloghi a pagamento degli esempi appena fatti, ma il fatto che siano ancora disponibili e che vengano costantemente aggiornati mi fa pensare che stiano funzionando.
Accettata la sbornia delle microtransazioni e sepolto dalla storia il caso dell’armatura per il cavallo di The Elder Scrolls IV: Oblivion (ve lo ricordate?), si sono studiati altri modi per… per fare cosa? Per inseguire il miraggio di fare sempre più soldi sperando di essere portati in trionfo nell’assemblea degli azionisti? O semplicemente per sostenere progetti, strutture e configurazioni dei grandi studi che hanno sbracato?
Lo sanno tutti, i videogiochi valgono più del prezzo a cui vengono venduti e il modello economico del settore è tutto fuori equilibrio. Forse aveva capito tutto SNK nei giorni del Neo Geo, quando vendeva i giochi a 250 dollari.
Ivan Hernandez - Polygon7
In questo panorama rientra anche l’altro gioco citato in apertura: Star Wars: Outlaws, ultimo arrivato di una genìa di giochi a mondo aperto che pare aver detto tutto quello che aveva da dire. E che ha drogato l’idea stessa che ci si è fatti per alcuni lustri dei videogiochi ad alto budget, che si sono impegnati in una corsa suicida a offrire sempre di più. Sull’argomento c’è da registrare, tra le tante, l’opinione di Tymon Smektała, responsabile della serie di Dying Light di Techland, pubblicato dalla stessa Warner Bros. di Suicide Squad!
Dal punto di vista di chi deve fare i videogiochi, uno dei problemi più importanti che il settore deve affrontare oggi è che i videogiochi sono sempre più grandi. Richiedono più soldi e più tempo per lo sviluppo. Finisci con avere 500 persone al lavoro sullo stesso gioco per cinque anni e alla fine potrebbe anche non avere tutto questo successo.
Credo che per gli sviluppatori sia in qualche modo affascinante l’idea di spendere meno tempo, meno soldi e meno persone nel tentativo di creare qualcosa che al pubblico piacerà. Si creano così dei cicli di sviluppo più brevi e si ha la possibilità di sperimentare di più.8
Quella sui giochi a mondo aperto potrebbe essere una questione da tenersi per una prossima puntata delle Parole dei videogiochi, tanto più che in questi giorni sto mettendo alla prova proprio Star Wars: Outlaws (spoiler: mi sta piacendo, nonostante quanto appena detto). A proposito: tenete sott’occhio FinalRound.it, la recensione potrebbe essere imminente.
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Potete tranquillamente definirlo uno hero shooter, di cui ho scritto in questa puntata.
In questa newsletter ne ho parlato anche come “Games as a service” nella primissima puntata, come si stava bene allora! Comunque è la stessa cosa, detta in due modi differenti.
Mi è sembrato di vedere una citazione dai Prophilax…
Forse suona meglio "live-aggio del cervello", per far funzionare meglio il gioco di parole (ben trasposto !).
Sta cosa dei costi di sviluppo fuori controllo a me non convince. Secondo me sprecano un sacco di soldi tra marketing e altro. Ci sono i framework di sviluppo, motori già fatti, intere librerie di asset. Sembra che reinventino la ruota ogni volta, dovendo poi anche reinventare tutte le correzioni dei bug. Ma per essere ancora più provocatori, com'è che "Manor Lords" lo sta facendo una persona da sola ? Ovvio che sarà corto qua e la. Ma ci sarà pure un punto di equilibrio tra 1 e 200 (o chissà quanti) sviluppatori, o no !?
E comunque la AI non è una soluzione. Se io sento puzza di AI bollo il gioco/opera come prodotto di serie C (manco B).