Le console debug, risorse di una stampa più libera
Una PlayStation blu, un GameCube verde e la comodità di poter giocare quanto si voleva a quasi tutto quel che si voleva. Con un solo obiettivo: parlarne ai lettori.
Ciao,
ben ritrovati, questa settimana l’argomento è facile e interessante. Anzi, se è interessante lo decidete voi, a me però è piaciuto un sacco tornare con la mente a tutte le console “debug” con cui ho avuto a che fare. E quindi parliamo di loro. Prima, però, una comunicazione di servizio: all’inizio della settimana ho pubblicato una sorta di recensione di un videogioco, accessibile solo agli abbonati a pagamento. Quell’articolo non sostituisce le uscite settimanali ed essendo una recensione non è neanche comparabile. È proprio una cosa extra che volevo fare perché mi è piaciuto molto il gioco e in qualche modo poteva servire anche come ringraziamento a chi ha già sostenuto questa newsletter. Qui, ogni venerdì, per ora si continua con il nuovo corso: puntate brevi e puntate lunghe, alternate. Questa volta è bella lunga.
Buona lettura,
Mattia
Cos’erano le console debug
Nella redazione in cui ho lavorato più a lungo giravano voci incontrollate sulla quantità di fogli che fossero stati firmati prima di poter avere a disposizione una “debug” di PlayStation 2. Un lungo accordo, un contratto pieno di vincoli, pronto per essere consultato da una squadra di avvocati degna di un legal thriller degli anni Novanta. Tra questi vincoli c’era quello di non fotografare quella console, forse addirittura di non farne cenno ad anima viva. Di certo di non spostare quella console, che sarebbe dovuta rimanere all’indirizzo specificato su uno di quei fogli.
E tanto per mettere in chiaro le cose: nessuna delle foto che compaiono in questo articolo sono state scattate dal sottoscritto. Beh, forse una o due.
Per la stampa ottenere una console debug era complicato e a poche testate veniva concesso il privilegio
Con debug si identificava una versione non commerciale di una console, per questo destinata agli sviluppatori o alla stampa o a chiunque avesse necessità di dover provare delle versioni preliminari dei videogiochi. A patto che la necessità fosse giustificata agli occhi dei produttori delle console (Sony, Microsoft, Nintendo), caso mai servisse specificarlo. Per la stampa ottenere una console debug era complicato e a poche testate veniva concesso il privilegio. Bisognava dimostrare di avere una struttura solida e affidabile e delle ambizioni credibili.
Averne una garantiva la possibilità di poter ricevere dagli editori le versioni non definitive dei giochi, utilissime per poter realizzare prove in anteprima o recensioni sul pezzo, cioè con l’articolo disponibile prima o in contemporanea con l’uscita del gioco. Per poter avere la recensione di un gioco sul numero della rivista in edicola quando quel gioco arrivava nei negozi, occorreva avere il cosiddetto “codice review” anche un mese prima del giorno di lancio. Questo perché i tempi tecnici di stampa e distribuzione in edicola portavano via tra i 10 e 15 giorni, a cui si sommavano quelli utili a provare il gioco, a scrivere l’articolo e a impaginarlo. Su uno dei dischi che componevano il codice review di Gran Turismo 3: A-Spec, che ho ancora qui con me, c’è la data del 19 giugno 2001. L’uscita nei negozi avvenne il 20 luglio dello stesso anno.
Le debug erano delle versioni delle rispettive console che non prevedevano alcun blocco regionale e che non richiedevano nessun controllo prima di riprodurre il gioco. Questo vuol dire che erano, di fatto, delle console “universali”: potevano masticare e digerire qualsiasi edizione e versione di qualsiasi gioco. Una gran bella comodità.
Cosa voleva dire avere le console debug
Tra il 1996 e il 2014 (circa) ho visto o utilizzato le versioni debug di quasi tutte le console commercializzate nel frattempo. Da PlayStation a PlayStation 4, da Xbox a Xbox One, da GameCube a Wii U, da Nintendo DS a Nintendo 3DS, inclusa PlayStation Portable. Se è esistito un modello debug di Saturn distribuito alla stampa, io non l’ho mai visto. E nella redazione di Nintendo la Rivista Ufficiale non è mai arrivato quello di Game Boy Advance, perché perfettamente inutile ai nostri scopi (la console commerciale “leggeva” già tutto quanto le si desse in pasto).
Avere una console debug voleva dire poter fare meglio quel lavoro ed era inconcepibile l’idea di farne a meno
Parlando di redazione, si arriva a un punto delicato della faccenda. Per avere accesso alle console debug e poter così realizzare gli articoli basati sui codici preliminari, toccava poter frequentare effettivamente le redazioni che avevano a disposizione quegli hardware. Questo escludeva i collaboratori di quelle testate che abitavano lontano, quindi tendenzialmente tutti quelli che non potevano raggiungere Milano (Studio Vit, Future Media Italy, Xenia, Futura), Roma (Play Press) o, a un certo punto, Rende (Edizioni Master) e Terni (Net Addiction). La presenza di un certo numero di redattori interni limava il problema, che però obbligava comunque a fare delle scelte che prescindevano dalla capacità e conoscenza della materia delle persone. Anche in quelle redazioni che di fatto erano distribuite e non avevano un ufficio centrale, come nel caso di Nextgame o di IGN, le console debug rimanevano a disposizione di chi abitava attorno a chi aveva ricevuto le console (e firmato i contratti). Molte volte, insomma, mi sono ritrovato a pensare che le console debug e i vincoli che ne limitavano l’utilizzo, fossero una comodità molto scomoda.
Però averle voleva dire poter fare meglio quel lavoro ed era insopportabile l’idea di farne a meno (o almeno per me lo era). Per molti anni ho visto arrivare nelle redazioni di Future Media Italy delle versioni d’anteprima dei giochi (codici preview) a cadenza pressoché quotidiana. C’era quasi sempre qualcosa da provare e di cui raccontare, poi, ai lettori. Spesso le versioni incomplete dei giochi avevano dei limiti, includevano solo alcuni livelli o porzioni di gioco. Ma non erano poi così rare quelle che invece ti mettevano di fronte tutto quanto, probabilmente in una condizione ancora un po’ grezza.
Qui però mi fermo un attimo e butto lì due badilate veloci di contesto. Il mercato dei primi anni duemila, che è quello a cui mi riferisco parlando dei miei anni in Future Media Italy (tra il 2000 e il 2008), era ancora piagato da pubblicazioni dei giochi in momenti anche molto distanti tra di loro a seconda della regione. Questo vuol dire che la versione preliminare di God of War arrivata alla redazione di PlayStation 2 Magazine Ufficiale, includeva probabilmente l’intero gioco. Secondo il disco, che ho qua sotto mano, venne realizzata a marzo 2005, proprio lo stesso mese dell’uscita negli USA. In Europa si dovette aspettare fino a luglio. Era molto probabile che quel codice preview fosse, più semplicemente, il gioco americano fatto e finito: una vera anteprima per il pubblico europeo.
Le versioni preliminari venivano giocate per ore, senza che qualcuno facesse il countdown alla fine della sessione da una, due o tre ore, come in una puntata di Masterchef
L’importanza dell’esistenza delle console debug per una stampa più libera non va comunque sottovalutata. Come abbiamo già visto era grazie a queste se si poteva scrivere con una certa frequenza di un sacco di giochi, prima che uscissero nei negozi. Il che poteva aiutare i lettori più impazienti a farsi un’idea prima della recensione (e alle riviste ad avere qualcosa di succoso da strillare in copertina).
I giochi venivano testati senza dover sottostare alle regole dell’editore, che raramente accompagnava quei codici a delle istruzioni precise su cosa si potesse fare o non fare, di cosa si potesse riportare ai lettori e cosa invece andasse taciuto. Quelle versioni preliminari venivano giocate per ore, senza che qualcuno facesse il countdown alla fine della sessione da una, due o tre ore, come in una puntata di Masterchef: “su le mani dai controller! Bravi loro, bravi, fatevi l’applauso!”. Qualche anno fa mi è capitato di essere invitato a provare in anteprima Sonic Team Racing alla sede fuori Londra di Sega. L’evento consisteva in mezz’ora di corsa su un singolo tracciato e la durata della gara non andava oltre i tre minuti. Viaggio di andata e ritorno e hotel pagato per poter giocare per mezz’ora, facendo per dieci volte la stessa gara. Che senso ha?
Ai tempi delle console debug i rapporti di forza con gli editori erano probabilmente differenti, perché a loro la stampa serviva ancora. Un contatto diretto e costante con il pubblico, come quello permesso dagli strumenti e dalle abitudini disponibili negli ultimi dieci anni, non era neanche stato ipotizzato.
I press tour esistevano di già e, anzi, erano anni di grandi viaggi e di omaggi che si muovevano sul confine dell’etica di questa professione1, ma non erano affatto l’unica occasione per poter conoscere da vicino i giochi prima di una recensione. Quando ho lasciato la redazione di IGN, nel 2020, le versioni d’anteprima dei giochi erano delle eccezioni rarissime e non rimaneva altro da fare che farsi andare bene le prove organizzate a “casa” dell’editore, spesso brevi per il tempo concesso e altrettanto limitate nella libertà di esplorazione del gioco. Anche perché, a quel punto, le console debug avevano smesso di esistere per la stampa già da alcuni anni.
L’ultima console debug che ho visto consegnare e lasciare a una redazione è quella di Xbox One nel 2013. Fin da subito, invece, Sony Italia ci avvertì che per PlayStation 4 non sarebbero state distribuite versioni debug (al contrario di quanto stava avvenendo come minimo nel Regno Unito e negli Stati Uniti, come scoprimmo parlando con dei colleghi e altri editori). L’unica volta che ci venne assegnata una console debug di PlayStation 4 fu per la recensione di The Witcher 3, al termine della quale l’hardware venne giustamente riconsegnato. Per quanto riguarda Xbox One, invece, fu sufficiente un aggiornamento firmware promosso da remoto da Microsoft, per rendere la nostra console debug una normalissima console “retail” nel giro di una notte. Venimmo avvertiti a cose fatte (non che altrimenti avremmo potuto farci qualcosa).
La mia prima reazione al dissolversi delle console debug come strumento per la stampa, fu di sollievo. Essendo un insospettabile ottimista, nella mia testa ero convinto che il mercato digitale avrebbe semplicemente facilitato la distribuzione di codici da utilizzare con qualsiasi tipologia di console. “Se non c’è un disco masterizzato da far leggere a una console speciale, avremo semplicemente dei download da effettuare su qualsiasi console e così anche il problema di chi ha accesso alla debug si risolve, urrà!”, pensavo. Sono stato davvero ingenuo: i codici preview sarebbero solo scomparsi. Così come una parte importante di questo lavoro.
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BONUS!
Se poi rimanevano solo anteprime
Era molto raro, ma poteva succedere, che qualche versione preview di un videogioco non venisse seguita da una per la recensione. Ci sono stati dei giochi la cui commercializzazione in una data regione, quindi l’Europa per quella che è la mia esperienza, venisse sospesa o cancellata. Anche dopo che era stata realizzata una versione preliminare per la stampa.
I miei due esempi preferiti sono gli stessi da un sacco di tempo: Thrill Kill per PlayStation (1998) e Wario Ware Twisted! per Game Boy Advance (2005). Il primo era un picchiaduro violentissimo in mano a Virgin Interactive, che finì per non essere mai pubblicato: un po’ per le discussioni riguardo alla sua brutalità, un po’ perché Virgin Interactive stava tirando gli ultimi e il progetto passò a Electronic Arts, che lo cestinò. Il secondo è uno splendido episodio di Wario Ware per Game Boy Advance, che in Europa non è mai stato distribuito per via di alcune lungaggini da imputare alla presenza di un sensore giroscopico nella cartuccia (le regole del mercato europeo avevano imposto controlli specifici su quella tecnologia). A Nintendo la Rivista Ufficiale venne inviata la versione recensibile e in effetti realizzammo anche quella recensione, prima di scoprire che il gioco era stato rimandato all’ultimo. Per venire poi cancellato.
Mega cartucce e console ganasciate
I dischi da far fagocitare alle console debug non erano poi così strani, anzi. Erano dischi senza una serigrafia specifica, perché spesso masterizzati per l’occasione dall’editore e spediti alle redazioni. Altre volte, come nel caso di quelli dei giochi di Sony per PlayStation 2, avevano tutti lo stesso aspetto (molto spesso erano di colore arancione o magenta). I piccolo dischi per GameCube avevano uno spazio su cui scrivere il nome del gioco e la data del codice incluso.
Già che c’ero ho anche chiesto a Marco Auletta, uno che c’era ai tempi degli 8 e dei 16-bit, se qualcosa di simile avvenisse anche con Mega Drive e Super Nintendo
Erano più interessanti certe sberle di cartucce per Game Boy, Game Boy Advance o Nintendo 64. Erano cartucce programmabili e i cui contenuti potevano quindi essere cancellati e riscritti, che è poi anche il motivo per cui spesso venivano richieste dagli editori, una volta finito il lavoro. Già che c’ero ho anche chiesto a Marco Auletta, uno che c’era ai tempi degli 8 e dei 16-bit, se qualcosa di simile avvenisse anche con Mega Drive e Super Nintendo. Mi ha confermato che non esistevano console debug, solo cartucce riprogrammabili (non per forza di dimensioni ridicole).
Le situazioni più bizzarre erano, però, quelle che riguardavano certi giochi inviati da Nintendo. Non parlo di quando ci vennero consegnate le due console debug di GameCube, accompagnate da un man in black ammanettato alla valigetta che le conteneva (e noi lì a guardarlo stupefatti, probabilmente in ciabattoni e canotta). Mi riferisco invece alle elegantissime console-con-ganascia. Si trattava di console che venivano inviate per provare un singolo gioco, nella maggior parte dei casi. Il supporto del gioco, quindi la cartuccia, il disco o la scheda gioco, non doveva essere accessibile. L’idea è simile a quella dei totem, che alle fiere specializzate ospitavano appunto dei codici non definitivi dei giochi.
Ma sono piuttosto certo che in nessuna fiera si siano visti i GameCube con delle grosse fasce di metallo che “abbracciavano” la console e impedivano di aprire il vano per accedere al disco. Erano scomode e pesanti e nella redazione di Nintendo la Rivista Ufficiale ce ne hanno fatte arrivare un bel po’. Lo stesso succedeva con Game Boy Advance e Nintendo DS.
Cito velocemente anche alcuni giochi per PlayStation e PlayStation 2 che prevedevano non solo l’utilizzo di una console debug, ma anche di “dongle”, cioè delle chiavi di protezione fisiche necessarie per poter utilizzare un software. In quei casi i dongle erano delle memory card particolari che includevano dei dati senza i quali il gioco non poteva essere riprodotto.
Da screenshot a bullshot
C’è un ultimo risvolto collegato all’esistenza delle console debug e dei codici di anteprima liberamente accessibili dalla stampa. Prima di PlayStation 4 e Xbox One (e Switch se facciamo riferimento a Nintendo), non esisteva alcun modo per immortalare delle immagini dei giochi attraverso la console. Per farlo erano richieste delle schede video dedicate, con interfacce che accoglievano i segnali compositi o S-Video (quando andava bene) sui PC a cui erano collegate le schede. Si giocava guardando il monitor del computer, con l’immagine che poteva avere dei ritardi piuttosto fastidiosi, ma era comunque l’unico modo per “catturare” delle schermate di gioco da inserire negli articoli. Ed era anche l’unico modo per dare ai lettori delle immagini che fossero diverse da quelle distribuite ufficialmente dall’editore del gioco: che di solito erano poche e spesso erano di qualità piuttosto sospetta. Non per nulla di fronte a “screenshot” dalla risoluzione impossibile e dal livello di dettaglio improbabile, si parlava di “bullshot” (un gioco di parole che include “bullshit”, stronzata).
In Future Media Italy potevamo contare su un hardware e un software che arrivavano direttamente dai nostri colleghi della casa madre inglese e le immagini venivano catturate partendo dal segnale RGB (con un classico cavo SCART), il migliore esistente negli anni prima dell’arrivo dell’alta risoluzione su console e degli ingressi video HDMI (ancora oggi lo standard per il passaggio di dati audio/video principalmente verso il televisore). La prima volta che ho visto quell’accrocchio mi sono commosso. Per le sessioni di grab più intense succedeva anche di chiedere a qualcuno di stare al proprio fianco, pronto a premere il pulsante della tastiera per catturare l’immagine nel momento giusto. Ché, se devo farlo io mentre cerco allo stesso tempo di spolpettare Ridley in Metroid Prime, muoio di nuovo e finisce che lancio il controller giù dalla finestra.
Se ricordo bene, con la debug di Xbox 360 venne consegnato anche un software che apriva un dialogo tra un PC e la console, così da catturare immagini direttamente dalla console e senza passare da cavi video e compressioni varie (come succede con le console di oggi).
E così il rischio di fare sempre e solo ciò che fa comodo al venditore, diventa una certezza
Tutto questo per dire che oggi siamo arrivati al punto in cui fino all’uscita dei giochi tocca farsi andare bene le immagini e i video realizzati e concessi da chi il videogioco deve venderlo. E che molte volte, anche in fase di recensione, le limitazioni sono tali per cui semplicemente non si possono pubblicare immagini o video differenti da quelli ufficiali o senza che vadano prima approvati dall’editore, con il rischio di dover bloccare l’articolo in attesa di un via libera. A questo aggiungo anche quella che a me pare come un’evidente perdita di interesse dei giornalisti di videogiochi verso la sacra arte del “grab” delle immagini. Forse anche perché l’idea è che si venga pagati troppo poco, per preoccuparsi pure delle immagini e dei video e allora i bullshot e i trailer andranno benone lo stesso. Così il rischio di fare sempre e solo ciò che fa comodo al venditore, diventa una certezza.
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Questa puntata è lunga oltre 17.000 caratteri, che corrispondono a circa 5 pagine su una qualsiasi rivista di videogiochi da edicola. Nel 1996 mi sarebbe stata pagata circa 127 euro da Studio Vit (calcolato su 175.000 lire con InflationHistory.com). Nel 2003 oltre 300 euro da Future Publishing.
“Just let the engine run / Till there's nothing left / Except the damage done” (Beck)
Verrà il giorno in cui recupererò il testo redatto da un luminare in cui dettaglia le varie tipologie di press tour di quegli anni, su cui svettava prepotente “il press tour Siffredi”.
Strabella questa puntata, mi ha fatto immaginare un mondo che non ho vissuto perché ero troppo giovane - ma che mi sarebbe piaciuto vivere, non fossi stata 13enne e donna :DD (<- questo è sarcasmo).
E finalmente ho una risposta alla mia domanda "ma come si facevano gli screenshot tanto tempo fa?" :)
In effetti anche io salutai con favore l'idea della sparizione delle debug (anche perchè facevo parte di quelli che scrivevano senza aver mai visto una redazione da vicino) perché tutto sommato le vedevo già come qualcosa di "privilegiato" per i pochi eletti a cui era permesso usarle. Come è andata a finire poi l'hai già detto te.