Extraction shooter: Arc Raiders corre contro Marathon
Un grande editore e uno che vorrebbe diventarlo scommettono sulla stessa interpretazione degli sparatutto competitivi.
Nella precedente puntata delle Parole dei videogiochi ho scritto della fine del Game Over. Se è difficile trovare una vera fine a una partita, a meno che non si tratti del lieto fine che mette assieme i riconoscimenti degli autori ai complimenti fatti al giocatore, è più facile avere a che fare con il “post game”. Del post game ho già scritto in questa puntata e, per riassumere all’estremo, si tratta di tutto ciò che può succedere dopo che tecnicamente si è arrivati alla fine di un videogioco, senza che questo corrisponda all’averlo in effetti completato.
Il post game (a cui ci si riferisce anche con “end game”) può essere un argomento di un certo interesse per una parte di chi videogioca e ha anche a che fare più con alcuni generi che con altri. Qualche giorno fa la stampa specializzata è stata invitata a provare una versione preliminare di Arc Raiders, uno sparatutto realizzato dallo studio Embark. Ecco come Multiplayer ha titolato1 il resoconto della prova:
Nonostante il complicatissimo rapporto di alcune persone con il concetto di spoiler, evidenziato nell’ambito dei videogiochi forse addirittura prima che altrove, qua è successo che il test in anteprima di un gioco ancora non disponibile fosse incentrato su… quello che accade dopo la fine del gioco stesso. Se però si mette in conto che Arc Raiders è uno sparatutto competitivo e che, pur avendo un punto di arrivo, non ha (o spera di non avere) una fine vera e propria, allora tutto ha più senso.
Ti devi far fare un’esfiltrazione
Annunciato da Embark Studios nel 2020 e rinviato già più volte, Arc Raiders non è solo uno sparatutto, ma è un “extraction shooter”, una variante del genere degli sparatutto competitivi. In questa specifica interpretazione del genere, l’obiettivo di ogni sessione non è sconfiggere più avversari, ma ottenere delle risorse e poi uscire vivi dal campo di battaglia: chiamando i soccorsi e facendosi portare via, cioè completando quella che nel gergo militare è l’esfiltrazione (“extraction” in inglese). Quest’ultima fase è quella che caratterizza questo modo di costruire uno sparatutto, perché dal momento in cui si richiede l’esfiltrazione a quando questa si completa, se si completa, tutti gli altri partecipanti sanno che qualcuno sta provando a filarsela. E se lo sta facendo, è perché ha trovato qualcosa di prezioso e che ora vuole mettere al sicuro (può essere una dotazione particolarmente vantaggiosa, come armi o armature, o dei crediti da spendere per arrivare a migliorare le proprie possibilità nella sessione successiva). Chi ha richiesto l’esfiltrazione si ritrova, insomma, con un enorme bersaglio disegnato sulla schiena.
Ho chiesto a Francesco Fossetti di RoundTwo, cosa gli piaccia degli extraction shooter, che purtroppo non possiamo chiamare “sparatutto di esfiltrazione” perché pare una pratica medica invasiva. Ecco come mi ha risposto:
[Quello che mi piace è] l’onnipresente sensazione di rischio che percepisci a ogni partita, e il fatto che sia il giocatore a regolare questo rischio senza però mai eliminarlo del tutto. Decidi di uscire con un equipaggiamento migliore? Da una parte rischi di meno perché reagirai meglio ai pericoli, dall’altra se muori perderai armi costose e oggetti sudatissimi. Anche quando sei in ricognizione devi decidere se accontentarti degli oggetti che hai trovato fino a un certo punto e quindi tornare indietro, oppure se spingerti un po’ oltre cercando loot migliore. Alla fine persino ingaggiare un avversario umano è una questione legata a dinamiche risk & reward. Tutto questo crea una tensione percepibile e costante, e alle volte anche una narrativa emergente molto interessante. Le partite sono piacevoli anche da guardare e non solo da giocare soprattutto per questo motivo.
Che gli extraction shooter possano essere molto interessanti anche da guardare (e quindi da vendere nelle trasmissioni), oltre che da giocare, è una parte importante dei motivi che li stanno rendendo appetibili agli editori. gli extraction shooter, insomma, funzionano bene anche con streamer e content creator. Ma torno a concentrarmi su Arc Raiders.
Mi è sembrata interessante la scelta dell’editore di Arc Raiders di promuovere il suo gioco proprio ora. Perché solo pochissimi giorni prima che succedesse, lo studio statunitense Bungie (Halo, Destiny), ormai parte dell’universo PlayStation, ha presentato nel dettaglio il suo prossimo gioco: Marathon, un extraction shooter. Marathon è il primo videogioco originale di Bungie dal 2014, quando venne lanciato Destiny, uno sparatutto collaborativo e competitivo di grande successo, che viene regolarmente aggiornato. A voler essere precisi, Marathon sarà il rilancio della prima serie di sparatutto creata da Bungie a metà degli anni Novanta, ma i punti di contatto e l’appeal dei giochi originali sono talmente esili, che si può parlare di uno sparatutto inedito.
Clamoroso al Bentegodi
Mentre di Marathon si è parlato molto, Arc Raiders si è accontentato di assumere il ruolo dello sfavorito che, però, potrebbe fregare tutti. Quello di Bungie è un videogioco che deve per forza di cose risollevare le sorti delle produzioni di Sony/PlayStation nel campo dei giochi a sviluppo continuo (quelli che sperano di non finire mai, appunto) e con una condizione araldica tanto nobile, è naturale che le aspettative siano altissime. Arc Raiders è in sviluppo presso Embark Studios, che ha già realizzato The Finals: un altro sparatutto competitivo che nel 2024 è stato nominato come “miglior gioco online” ai rispettatissimi D.I.C.E. Awards. Il peso specifico dei due progetti è comunque molto differente.
Eppure sembra che, al momento, la stampa specializzata si sia divertita di più con Arc Raiders. O che, perlomeno, sia rimasta più piacevolmente sorpresa rispetto a quanto visto e provato di Marathon. Alcuni titoli di testate internazionali:
“Mi sono divertito più di quanto non mi succedesse da un po’, con gli extraction shooter2”, dice Harry Alston di The Gamer.
Per Jared Petty di IGN, Arc Raiders è “il più grande gioco ‘in cui non ci si può lamentare di nulla’ dell’ultimo periodo3”.
Morgan Park di PC Gamer è “scioccato”: “Arc Raiders è un extraction shooter molto più esaltante di Marathon4”.
Per capire se sia arrivato il momento degli extraction shooter anche su console, dopo che su PC si è già fatto notare da tempo Escape From Tarkov (di fatto il regnante in carica nel genere), e se questo porterà a un allargamento della loro presenza sul mercato, ho continuato a parlare con Francesco Fossetti.
“Su console, al momento, non esistono extraction shooter di rilievo e il lancio di Marathon darà agli utenti PlayStation e Xbox la possibilità di provare quella tensione apparentemente molto coinvolgente intrinseca alla struttura dei ‘Tarkov-like’”, dice Fossetti, che prosegue sostenendo che se, con Destiny, Bungie è riuscita a rielaborare per l’utenza console gli schemi dei giochi di massa online (accoppiandoli all’immediatezza degli sparatutto), non sta facendo lo stesso con Marathon. “Marathon è un extraction shooter puro: comunicato come tale, strutturato come tale. È pur vero che la situazione è cambiata: mi sembra che i giocatori console abbiano più consapevolezza di quello che succede al di fuori del loro mondo. Il successo di Escape from Tarkov ha creato, in chi non può giocarlo su PC perché non frequenta quell’ecosistema, una grande curiosità (soprattutto per merito degli streamer e dei content creator), e probabilmente anche una forte propensione all’acquisto negli appassionati di giochi multiplayer.”
Bungie è universalmente riconosciuta per la sua esperienza nel campo degli sparatutto e la qualità di quello che viene riconosciuto come il “gunplay”, cioè la sensazione, il feeling e il riscontro che si ha quando si esplode un colpo in un gioco che prevede l’utilizzo di armi da fuoco. Ancora Fossetti:
Sono tra i migliori al mondo quando si parla di shooting e di gunplay e secondo me si sente anche in Marathon. Si spara bene come in Destiny, il feeling è riconoscibile, ma gli archetipi delle armi sono diversi a sufficienza per dare un carattere distintivo al gioco.
Lo scontro tra Marathon e Arc Raiders è di fatto impari, nonostante l’ottima accoglienza riservata a quest’ultimo (come testimoniano i titoli che ho riportato più in alto). Questo non esclude in nessun modo un’evoluzione sorprendente della sfida tra i due, sempre che a un certo punto finirà per esserci davvero questa sfida. Per Fossetti il vantaggio è dato non solo dall’esperienza tecnica maturata da Bungie in oltre vent’anni di sparatutto con una forte connotazione online:
È [anche] legato alla potenza comunicativa (il pedigree del team è importante), al rapporto con la community (10 anni di Destiny non sono passati invano), e potenzialmente anche alla vicinanza con Sony (immaginate uno State of Play dedicato a Marathon, l’inserimento in un eventuale showcase PlayStation o addirittura l’inclusione in un servizio in abbonamento).
Se però Marathon e Arc Raiders partono dallo stesso punto e cercano anche di arrivare allo stesso esito, quindi muovendosi sui binari del genere degli extraction shooter, non vuole dire che offrano la stessa esperienza di gioco. A spiegarmelo è ancora Fossetti:
Da una parte, Marathon, c’è una fantascienza sintetica che tratteggia un futuro cibernetico e lontanissimo, dall’altra, Arc Raiders, un retrofuturo un po’ scassato con ambientazioni che ricordano l’Italia dei nostri giorni. Da una parte la visuale in prima persona, dall’altra l’inquadratura dietro le spalle del personaggio. Marathon ha elementi da hero shooter e degli scontri abbastanza fulminei; in ARC Raiders le sparatorie invece sono più faticose, i movimenti più pesanti, il time to kill più esteso, e per come la vedo si percepiscono ancora elementi e sfumature legati alla forma originale del progetto, che doveva essere un MMO cooperativo (e pure free-to-play; invece un’altra cosa che i due giochi probabilmente avranno in comune sarà il prezzo di lancio, fra i 40 e 50 euro)
Per non lasciarci indietro niente e nessuno: con “time to kill” si indica il tempo che serve mentre si viene crivellati di colpi prima di crollare a terra. In un gioco come Call of Duty è molto facile che il time to kill sia di pochi istanti: metti fuori la testa nel momento sbagliato, dal posto sbagliato, e vedi la telecamera virtuale cadere esanime, come il corpo virtuale a cui è collegata. In altri casi i creatori del videogioco possono decidere di rendere meno letale ogni singolo colpo, almeno in linea generale.
Di Marathon si sta parlando in questi giorni anche per via di alcuni elementi grafici realizzati da artisti indipendenti e utilizzati senza averne il diritto da Bungie all’interno del gioco. È difficile riuscire a dribblare ogni possibile merdone di cui sono costellati i marciapiedi di questi tempi, ma qui Bungie è indifendibile. Nello scusarsi per quanto avvenuto, lo studio statunitense ha fatto riferimento al lavoro di una persona che non è più in Bungie da tempo e che ha partecipato alle prime fasi di sviluppo dell’identità estetica di Marathon. Non è la prima volta che Bungie viene accusata di aver utilizzato qualcosa che non gli appartiene all’interno dei suoi giochi, ma in questo caso c’è un risvolto più sottile e complicato da valutare e che riguarda proprio quell’identità estetica, che sta aiutando Marathon ad attirare le attenzioni dei videogiocatori. Ne ha scritto su Forbes il giornalista Paul Tassi e mi pare che sollevi dei dubbi interessanti:
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