Console War: il Blast Processing e la telefonata di Nintendo
Dalla ventilata rivoluzione di Xbox alla battaglia delle console a 16 bit, quando Nintendo si mosse a tutela dei consumatori con un debunk molto interessato.
Ciao,
questa volta si parla di quanto appena successo, per poi riavvolgere il nastro e tornare a qualcosa di vagamente simile e che è accaduto trent’anni fa. Sempre nell’ambito dei videogiochi, per fortuna. Ogni volta che qua dentro scrivo di qualcosa vecchio di decenni mi sembra una sconfitta, ma potrebbe essere solo un segno della più amabile delle crisi di mezza età.
Inoltre: ho iniziato a spulciare i risultati e le vostre risposte al sondaggio che ho inviato una settimana fa (se non sapete di cosa sto parlando, scorrete fino alla fine di questa puntata della newsletter), e ho già iniziato a modificare qualcosa, sperando di fare cosa gradita ai più.
Ultimissima segnalazione: le due recensioni che ho inizialmente riservato agli abbonati a pagamento (quella di Cocoon e quella di Jusant), sono ora disponibili per tutti.
Buona lettura!
La vita in trincea per la console war
Un aggiornamento molto atteso da parte di Microsoft, sulla direzione che intende imprimere alle proprie pubblicazioni nel campo dei videogiochi, ha tenuto tutto il settore sulle spine per alcuni giorni. Fino a quando è stato mandato in onda il video podcast in cui Phil Spencer (CEO Gaming Microsoft), Sarah Bond (President of Xbox) e Matt Booty (Head of Xbox Game Studios) hanno dettagliato il futuro prossimo e remoto per come lo programmano e immaginano oggi.
Le voci che hanno spinto Microsoft ad anticipare queste comunicazioni, secondo quanto ammesso da Microsoft stessa, suggerivano una rivoluzione nella posizione e nel ruolo del marchio Xbox. Ma erano solo voci e, per ora, sono state smentite.
Oggi, in un’edizione speciale del podcast ufficiale di Xbox, abbiamo condiviso la nostra intenzione di continuare a proporre più giochi a più persone in tutto il mondo, e dato l’eccitante notizia che il primo gioco di Activision Blizzard ad arrivare su Xbox Game Pass sarà Diablo IV, a partire dal 28 marzo.
Jeff Rubenstein - Xbox Wire1
L’enfasi posta sulla parte finale è la stessa scelta da Xbox Wire, l’organo di comunicazione ufficiale del mondo Xbox, nel breve documento che riassume quanto annunciato. La grande notizia, quindi, è che Diablo IV sarà presto a disposizione degli abbonati a Xbox Game Pass e non, come avevano suggerito in tanti, che Halo o Starfield o Indiana Jones e l’Antico Cerchio saranno a disposizione del pubblico PlayStation. Per quanto riguarda il “portare più giochi a più persone”, come già avrete letto ovunque da un pezzo, Microsoft si riferisce a quattro titoli già disponibili da molto tempo su Xbox e PC e che proveranno a conquistare le simpatie anche dei clienti di altre console.
Quando, però, nell’aria c’era ancora odore di ribaltone, quando cioè si supponeva che i più importanti o addirittura tutti i giochi prodotti in esclusiva per il formato Xbox avrebbero potuto sbarcare anche su PlayStation, c’è stato un bel rumore di ferraglia in giro. Era quello prodotto dalle spade degli eserciti della console war che si scontravano. Nel nostro ambito ci sono poche espressioni più demoralizzanti di “console war”, che all’inizio degli anni Duemila ha iniziato a riassumere le battaglie dialettiche tra i fanatici di un produttore di hardware da gioco rispetto a un altro.
Poco dopo la diffusione di console war come termine, hanno trovato spazio anche i nomi delle fazioni che vivono nelle trincee. Se non sapete di cosa cavolo stia parlando, spero che possiate comunque trattenere una parte della purezza che scintilla nel vostro cuore. Sarà dura, ma ci spero. Dicevo, le fazioni (*deglutisce nervosamente e si allenta il nodo della cravatta*): pleistescionari, boxari, nintendari e pcisti. A me già il cambio di rotta con “pcisti” manda ai pazzi, ma pure le parole che vengono prima si portano appresso un tasso di sfiga davvero, davvero desolante. Ma davvero. L’idea che qualcuno, su questo pianeta, sia convinto che esistano delle persone accomunate da un modo di pensare riguardo ai videogiochi che è riconducibile a quello che usa per giocare, mi svuota l’anima. C’è chi ha opinioni informate ed equilibrate e chi no, chi sa o ha interesse a esprimerle e chi no, chi è alla ricerca di un pezzetto d’identità attraverso qualsiasi categoria messa a disposizione e chi no, fine.
La console war è un fatto generazionale: si rinnova rimanendo inalterata fin dall’epoca di Commodore 64 e ZX Spectrum di Sinclair. Una delle fasi più spettacolari di questa stucchevole sequela di prese di posizioni inutili si è vissuta negli anni Novanta, con quella che è stata, a oggi, l’unica volta in cui per davvero due “platform holder” si sono giocati il predominio l’uno sull’altro fino all’ultimo momento. Erano Sega con il Mega Drive e Nintendo con il Super Nintendo Entertainment System.
Tutta la potenza del Blast Processing
Il duello tra Mega Drive (conosciuto come Genesis nel Nord America) e Super NES fu portato avanti prima di tutto dalla comunicazione di Sega e Nintendo. Era negli Stati Uniti che la partita si giocava: in Giappone Mega Drive non aveva mai sfondato e l’Europa era un territorio frammentato in tante piccole realtà non solo per quanto riguarda le percentuali di mercato ad appannaggio di una o dell’altra, ma anche per la presenza vera e propria di Sega e Nintendo. Anzi, dell’assenza di Sega e Nintendo, che in più paesi si appoggiavano ancora a chi potesse rappresentarli per tutte le attività legate alla singola nazione.
Negli Stati Uniti, però, la partita era tutta da giocare e le scelte comunicative di Sega e di Nintendo erano precise e univoche da una costa all’altra. Un sistema che favoriva la concorrenza, poi, concedeva il lusso di riferirsi direttamente agli avversari nelle pubblicità, con trovate che oggi, a dire il vero, suonano ingenue in qualche caso e ridicole in altri.
Mega Drive e Super Nintendo dimostrarono di essere due macchine assemblate in maniera soddisfacente, supportate in maniera ammirevole dagli studi di produzione interni di Sega e Nintendo, così come da tutti gli editori indipendenti. Il vantaggio della prima di aver anticipato sul mercato la seconda di un paio di anni, si ritorse contro quando quest’ultima poté fare affidamento su una tecnologia per forza di cose più avanzata. Insomma, non ci sono opinioni che tengano sugli evidenti vantaggi tecnici del Super Nintendo rispetto al Mega Drive, che però poteva contare su una maggiore velocità di trasferimento dati2. Non ci interessa ora se questo fosse effettivamente alla base dei molti problemi di rallentamento di alcuni giochi delle prime annate del Super Nintendo, soprattutto gli sparatutto classici. O se una più ampia conoscenza dell’hardware e delle tecniche di programmazione potesse colmare la lacuna. Quello che conta è che questa disparità era nota tanto quanto il maggior numero di colori o le modalità di rotazione e zoom dei fondali ad appannaggio del Super Nintendo. Non per nulla il videogioco simbolo del Mega Drive, fin dal 1991, divenne Sonic the Hedgehog, il porcospino che corre più veloce di qualsiasi altro animale antropomorfo o idraulico salopettato.
Sega si aggrappò all’idea condivisa che il suo Mega Drive fosse più “veloce” e, tra il 1992 e il 1993, nelle campagne pubblicitarie destinate al Nord America iniziò a spiegare a cosa si dovesse la superiorità del 16 bit nero rispetto alla concorrenza: al Blast Processing3. Che cosa fosse il Blast Processing del Mega Drive, cosa facesse, e cosa garantisse, però, non era dato sapere. Le campagne di Sega in quel periodo storico e in quel mercato erano particolarmente aggressive e se non definirono lo stile sopra le righe degli anni Novanta, di certo lo cavalcarono con convinzione. In televisione gli spot delle console di Sega si chiudevano con il nome del marchio urlato in faccia agli spettatori, dopo montaggi nervosi di sequenze di gioco e improbabili ricostruzioni delle vite dei giocatori, tra colori fluo e distorsioni.
Sega Genesis ha il Blast Processing, il Super Nintendo no.
Da uno degli spot televisivi di Sega del 1993
In decenni più recenti è stato chiarito che, di fatto, il Blast processing come suggerito da Sega non esistesse. L’origine del termine ha forse qualcosa a che vedere con una complessa tecnica che avrebbe potuto espandere la limitata selezione di colori a disposizione (all’epoca non ci si potevano permettere milioni di sfumature), se non fosse stata inapplicabile perché avrebbe richiesto tutte le energie del processore centrale. Nel riquadro “risorse”, qua sotto, ci sono due link che vi consiglio di seguire per approfondire l’argomento.
Risorse: Il leggendario Blast Processing di Sega esisteva davvero (Eurogamer)
L'uomo dietro la leggenda del Blast Processing (Time-Extension)
La verità secondo Nintendo
Se oggi definiamo Nintendo dicendo che è solita soppesare lungamente ogni nuovo passo, tanto da risultare spesso immobile, nessuno si sorprende. Quando a infuriare era la battaglia per aggiudicarsi il trono del mercato nella prima metà degli anni Novanta, non c’erano modelli di riferimento. La stessa Nintendo era alla sua seconda generazione di console da casa e tutti i parametri del settore andavano ancora definiti, complice una crescita vertiginosa del pubblico e dell’avanzamento tecnologico. Così, mentre Sega spingeva nei negozi una periferica basata sulla tecnologia dei CD (il Mega CD) e prometteva un’iniezione di potenza al Mega Drive con il 32X, con vecchi (Atari) e nuovi (The 3DO Company) nomi che si affacciano sul mercato e alcune strane voci su future mosse di Sony e Matsushita… Nintendo non faceva nulla. Rimaneva fedele al Super NES, per scelta o perché obbligata dal collasso della collaborazione con Sony stessa e dai lunghissimi tempi di sviluppo di Project Reality4. Il pubblico sembrava apprezzare l’idea di aggiungere pezzi alla propria console ed era affamato di novità, anche se Mega Drive e Super NES avevano solo alcune primavere alle spalle.
Le campagne pubblicitarie a voce alta di Sega e gli eccellenti risultati in negozio del Mega Drive, alla fine, devono aver convinto Nintendo a fare qualcosa. Anche la sua comunicazione nel Nord America cambiò e nel 1994 lanciò lo slogan “Play it loud” (un “suonala forte” che, in questo contesto, diventò “gioca forte!”, grazie ai tanti significati del verbo “play” in inglese). Allo slogan si accompagnarono paginoni più accattivanti e imbevuti dell’estetica del periodo… proprio come Sega aveva già dimostrato di saper fare.
Non solo. Nintendo decise di prendere di petto la leggenda del Blast processing e acquistò due pagine sui principali mensili di settore degli Stati Uniti. Pubblicò quello che oggi chiameremmo un “pubbliredazionale”, in poche parole una pubblicità che prova a travestirsi da contenuto editoriale super partes. Nintendo parlò di sé in terza persona, in un testo piuttosto esteso che si adagiava sotto a un titolo minaccioso: “Smashing the myth of speed & power” (“Facciamo a pezzi il mito della velocità e della potenza”).
Alcuni passaggi:
Vi siete mai chiesti perché, prima dei jet supersonici, ci siano state le mongolfiere? Ma è semplice, riscaldare l’aria è molto semplice. Se si parla di videogiochi a 16 bit, l’aria fritta del reparto marketing di Sega sarebbe sufficiente per far alzare in cielo il mega-pallone di un porcospino per la parata del giorno del ringraziamento… o quasi. Prima di scegliere il vostro sistema a 16 bit, informatevi con nient’altro che la verità.
Pare che questo “Blast Processing” di cui avete sentito parlare renda i giochi del Genesis più veloci, ma che cos’è il Blast Processing? Quando abbiamo chiamato Sega, ci hanno risposto che è solo una trovata pubblicitaria.
La verità è che potreste mettere Sonic o qualsiasi altro personaggio sul Super NES e si muoverebbe alla stessa velocità.
Secondo gli sviluppatori di videogiochi, le capacità di calcolo non dipendono unicamente dalla velocità della CPU. In effetti la velocità della CPU è solo uno di tanti fattori. Il solo modo per giudicare la velocità è attraverso i giochi. In giochi come F-Zero e Street Fighter II Turbo è molto importante perché aggiunge qualcosa alla sfida.
E quindi cosa sarebbe questo mito del Blast Processing? Semplice, una trovata di marketing di Sega. Se ci siete cascati, non vergognatevi. Siete in buona compagnia.
Quella che Nintendo in quel momento stava provando a vendere come un’inchiesta continuava con un approfondimento sulla filosofia multi-processore del Super NES, un riquadro che elencava gli aspetti che a suo dire rendevano il suo prodotto migliore di quello della concorrenza e, addirittura, con una tragicomica serie di domande e risposte di questo tenore:
Quale console ha 4 volte più colori? Il Super NES.
Quale console è nera? Il Genesis.
Quale console ha il doppio della memoria interna? Il Super NES.
Quale console va a corrente? Entrambe.
Nel testo preparato da Nintendo of America si ricorse spesso all’utilizzo di un lessico molto tecnico, forse nel tentativo di far risaltare il contrasto tra “l’aria fritta” di Sega e i dati riferiti all’hardware del Super NES.
Il rapporto segnale/rumore del Super NES è 2.5 volte migliore
Il Super NES incorpora sei chip realizzati ad hoc e una CPU specializzata, funzioni ad alta velocità di Direct Memory Access e due PPU di livello avanzato.
In molti altri passaggi, che qua non ho riportato, Nintendo fece particolare attenzione a menzionare più volte quello che veniva conosciuto come Mode 7, uno degli otto modi concessi via hardware dal Super NES per gestire i fondali. La particolarità del Mode 7 è che poteva ruotare e scalare elementi considerati del fondale. Venne utilizzato fin dalla prima generazione di giochi e divenne velocemente un marchio inconfondibile del Super NES.
Se siete convinti che oggi esista qualcosa di simile a un confronto diretto tra Sony, Microsoft e Nintendo e vi eravate persi gli eleganti affondi degli anni Novanta, ora avete qualche elemento in più per costruire la vostra scala di misurazione della “console war”. E a proposito, negli ultimi giorni la giornalista inglese Keza McDonald ha scritto queste righe in un suo editoriale per il Guardian:
La console war non è mai stata niente di più che un trucchetto di marketing. Ci sono stati anni in cui può essere parsa divertente, come quando Sega e Nintendo produssero una delle rivalità più accese degli anni Novanta (ricordate lo slogan “Sega does what Nintendon’t”?) e quando i continui passi falsi di Microsoft durante l’annuncio di Xbox One diedero a Sony l’occasione per divertirsi un po’.
Ma oggi che gli scontri culturali (“cultural wars” nel testo originale, ndt) hanno inghiottito ogni aspetto della nostra vita, dalla politica alle corse al parco, tramutando tutto in incubo fatto di nemici in ogni dove, non è più divertente. È assurdo vedere gente che discute di videogiochi come se fosse una questione di vita o di morte.5
Risorse: Game Players, Vol. 7 No. 5, maggio 1994 (Imagine)
BONUS!
Il sondaggione delle Parole dei videogiochi
Chi è iscritto a questa newsletter da almeno un paio di settimane ha già ricevuto nella sua casella una comunicazione molto, molto elegante che invitava a partecipare a un sondaggio. Se non l’hai ricevuta, te la sei scordata, hai voluto far finta di nulla o sei qui da poco (molto piacere!), puoi comunque recuperare cliccando sul link qua sotto. Dentro ci sono quasi unicamente domande utili per capire come viene letta questa newsletter, quali sono le aspettative, cosa va, cosa non va, se è troppo lunga, troppo breve, troppo media, etc.
Clicca qui per partecipare al sondaggio
ARE YOU MADE OF STONE?
Come sostenere questa newsletter
Se questa puntata ti è piaciuta, inoltrala o condividila in giro.
Puoi pagare questa puntata o, più in generale, il lavoro alla base della newsletter attraverso Ko-Fi e PayPal.
Ci sono iscrizioni gratuite ma anche a pagamento, scegli tu.
Cos’è successo l’ultima volta?
Questa newsletter è stata riletta e corretta da Floriana Grasso: se sei alla ricerca di qualcuno che ti corregga le bozze, prova a contattarla!
“This is confusion, am I confusing you?” (Oasis)
Se volete annegare nei numeri, Sega Retro ha uno schema molto ricco in cui confronta tutte le risorse tecniche di Mega Drive e Super Nintendo. Si trova qui.
Comunque il Snes aveva più colori ed effetti, ma il Mega era notevolmente più disinvolto e prestante a dispetto del fatto che girasse ad una risoluzione più alta.
Mamma mia il BLAST PROCESSING che cosa anni '90, anche se all'epoca io ero un bimbo dei pentium e del cambiare pc ogni sei mesi. Sveglio eh?