Di Don’t Nod - PC, PlayStation 5, Xbox Series X|S (Game Pass)
Non c’è proprio niente che non vada in Jusant. La trovata alla base del suo gameplay, cioè quello che si fa, ha la qualità particolarmente rara di essere interessante ed equilibrata: sa cosa vuole fare, sa come farlo e sa dove fermarsi. L’idea narrativa gode della stessa, invidiabile, misura: ce n’è a sufficienza per capire cosa sta succedendo e non a tal punto da prevaricare sulle altre esigenze del gioco. Che sono le solite esigenze di un videogioco: lasciare sufficiente respiro a quello che si fa, mettere nelle mani di chi sta giocando la responsabilità di studiare i problemi e di trovare le soluzioni, coreografare il tutto con ambienti onirici e panorami elegantissimi.
Se voleste ricontrollare il nome dello sviluppatore di Jusant, vi capirei. Perché gli studi franco-canadesi di Don’t Nod non hanno mai espresso qualcosa di lontanamente simile a Jusant. La voglia irrefrenabile di esplorare degli stati d’animo c’era già ed è quella che scorreva tanto in Life is Strange, quanto in Twin Mirror, Gerda o Tell Me Why, che però condividono anche un’impostazione da avventura punta e clicca post-moderna, oltre a una serie di imperfezioni e di limiti (tecnici, spesso) che qua sono scomparsi. A dire il vero mi sono perso Harmony: The Fall of Reverie, pubblicato nell’estate del 2023, ma anche in questo caso mi pare di capire che i testi e i dialoghi siano l’essenza del gioco.
Jusant è prima un gioco d’azione e poi tutto il resto, senza nulla togliere ai plichi di lettere e messaggi che costellano come margherite il campo di gioco. Qualcuno ha scritto molto, nel mondo in perenne e disperata attesa di pioggia di Jusant, e gli scambi sono stati trascinati dalla polvere fino al protagonista (alla protagonista?). Sono righe da cui scivola fuori la vicenda che ha condannato un’intera comunità a cambiare i parametri della propria esistenza, ma si parla di un passato che pare avere solo in parte a che fare con quello che succede nel presente di Jusant. Intanto ne approfitto per dire che tutte quelle parole sono state molto ben tradotte in italiano da Ketty Federico ed Emanuel Riccobene.
Il nucleo di Jusant è il suo sistema di controllo, che è semplice senza che questo tolga qualcosa all’esperienza di gioco. Prima una premessa essenziale: nel gioco di Don’t Nod si passa buona parte del tempo a scalare a mani nude. Ecco, è la facilità con cui si intuisce che i pulsanti dorsali (L e R) gestiscono le braccia e che non ci vuole poi molto altro per lanciarsi nell’arrampicata, che aumenta la voglia di iniziare e di continuare a provarci. Nei videogiochi degli ultimi dieci o quindici anni, di scalate se ne sono viste in grandi quantità . Da quelle di Nathan Drake in Uncharted (2007) a quelle di Link in Zelda: Breath of the Wild (2017) e Tears of the Kingdom (2023). La loro distanza da Jusant è molto evidente: là sono uno strumento tra i tanti, qua sono l’unica sfida proposta dal gioco. Non c’è da fare altro, solo da scalare.
Don’t Nod poteva fare come tanti altri e trasformare Jusant in uno di quei concentrati di pura fisica (e modelli ragdoll), che per quanto mi riguarda scivolano in un nulla nel dimenticatoio. Human Fall Flat, per citare un estremo. Jusant si vuole troppo bene ed è troppo esperto per imboccare una strada così grossolana. I movimenti sono credibili senza diventare fastidiosi e a chi gioca è richiesto un livello di impegno e precisione sensato. C’è da capire dove attaccarsi e in che modo raggiungere l’appiglio, tenendo sotto controllo la resistenza rimasta a disposizione nelle braccia magroline ma determinate. Anche in questo caso trionfa la misura, quasi che Don’t Nod avesse dovuto fare tutta la strada che ha fatto finora, per mettere in cascina abbastanza punti esperienza da capire che un gioco deve rimanere sempre un gioco. Che a differenza di un disco o di un film o di un libro, l’interazione richiesta esige un rispetto per chi deve eseguirla, quell’interazione. Che se gli fai una testa così, che se continui ad aggiungere e aggiungere e aggiungere, perché il team dei designer era in un turbinio creativo, è probabile che qualcosa si spezzi da qualche parte e in qualche momento.
Invece no, Jusant è soddisfacente quanto basta per non sembrare stupido e pretestuoso e non lo è a tal punto da allungare i tempi e allontanare eccessivamente i cambi di ritmo delle fasi in cui la scalata finisce e si contempla il mondo o si legge della sua storia. Tutte e tre sono arterie che portano sangue all’organismo di gioco: scalare, guardare, leggere. Tutte funzionano in maniera impeccabile.
UNA SOLA COSA DI JUSANT
L’illuminazione. Le pareti bruciate da un sole estivo accecante lasciano velocemente il palco ai passaggi bui e freschi all’interno della montagna. La contrapposizione accompagna lo stile di gioco, che passa dall’essere pericoloso e urgente (durante la scalata) a meditativo e rilassato (riavvolta la corda). Quando poi si raggiungono le enormi cavità della pancia della montagna, si stendono delle nottate rese indimenticabili dalla bioluminscenza di funghi e altre creature.
RICONOSCIMENTI
Art Director
Eduard Caplain
(Main Concept Artist – Life is Strange, Lead Concept Artist – Life is Strange 2, Concept Art – Alien Isolation)
Design Lead
Sofiane Saheb
(Level Designer – Vampyr)
Cinematic Lead
Jakob Schmid
(Cinematic Camera Artist - Sifu, Cinematic Artist – Life is Strange 2, Detroid Become Human)
Environmental Lead
Bruno Dosso
Christian Leduc
(Environmental Artist – Vampire: The Masquerade, Environmental Lead – Twin Mirror)