Lore: le altre storie di un videogioco
Cosa si indica con il termine "lore" e perché tutti ne vorrebbero un bel po' nel loro videogioco.
Ciao,
dopo l’enorme buffet del non-E3 si torna alla dieta di tutti i giorni. O, per quel che riguarda questa newsletter, la dieta settimanale a base di parole. Quella di questa puntata è “lore” ed è la portavoce di un’idea che è entrata con una certa prepotenza nei videogiochi più ambiziosi (o sovraprodotti, se preferite) delle ultime stagioni.
Buona lettura!
P.S. Un po’ di auto-promozione: Final Round ha pubblicato questo mio articolo sulla prima edizione dell’E3 (e su altre cose a tema).
CHI È?
Il primo videogioco a cui ha lavorato raggiunse i negozi nel 1984 ed è diventato particolarmente noto e apprezzato per le sue simulazioni di guida. L’ultimo videogioco a suo nome è stato pubblicato oltre vent’anni fa.
(La risposta è in fondo)
Il significato di “lore” nei videogiochi
“We Create Worlds” è stato il motto, o lo slogan (a seconda della dose di cinismo applicato), di Origin Systems, la software house fondata nel 1983 da Richard Garriott. Garriott a quel punto aveva già realizzato due videogiochi, tra cui il gioco di ruolo Ultima. Il primo progetto completato da Origin Systems fu proprio Ultima II. Le intenzioni di Garriott, che poi divenne uno degli autori di videogiochi più conosciuti e di maggior successo dei successivi vent’anni, erano di creare molto più che una singola avventura: Origin Systems avrebbe plasmato interi mondi. Non solo o non tanto in quanto a estensione o complessità dei sistemi, due aspetti in cui comunque le produzioni dello studio di Garriott eccellevano, ma per la ricchezza di ciò che stava attorno alla storia principale raccontata nel gioco.
Quando Garriott creò l’universo di Ultima, non si limitò a scriverne la storia. Mise nero su bianco tutti i dettagli di ciò che era avvenuto prima e la cronologia [degli avvenimenti] di quel mondo. Scrisse sui suoi appunti dove si trovavano gli oggetti magici e altre cose che avrebbero potuto tornargli utili per avere una visione d’insieme.
Dean Takahashi - VentureBeat1
Negli anni Ottanta e Novanta l’approccio di Origin Systems non era normale, nel senso letterale del termine: non era la norma. Le due serie di videogiochi di maggior rilevanza commerciale e critica realizzate dalla software house con sede nel Texas (USA), Ultima e Wing Commander, avevano delineato i contorni dell’idea di “lore”. Non fu un’esclusiva di Origin Systems, ma da quelle parti veniva data un’attenzione rara alla dimensione narrativa non essenziale alla vicenda raccontata nel gioco.
Con “lore” ci si riferisce a una specifica raccolta di conoscenze e tradizioni. È difficile trovare una sola parola che ne riassuma in italiano ogni sfumatura. Ci si può avvicinare con “folclore”, che difatti è l’adattamento in italiano del termine inglese nato dalla collaborazione tra “folk” e “lore”. Accontentarsi di “Storia” rischia di porre dei paletti troppo rigidi, perché si esclude tutto ciò che fa parte della mitologia, della tradizione non per forza verificata dai fatti. Le “storie”, al plurale e con la minuscola, mi sembrano un compromesso decente. Ho comunque chiesto ad Andrea Babich, Narrative Director per Ubisoft Milan (Mario + Rabbids Kingdom Battle, 2017, e Sparks of Hope, 2022), di dirmi la sua: “Il lore è un termine comodo per descrivere quell’insieme di conoscenze che vengono offerte al giocatore e gli danno uno squarcio su una visione di un mondo videoludico, nel nostro caso” e fa il caso specifico di Elden Ring, come portabandiera del concetto di lore: “perché è un gioco estremamente stratificato nel farti conoscere la storia, la cultura, i popoli, le vicende storiche e mitiche del suo mondo”.
Una delle spiegazioni pratiche che ho trovato (su Reddit) riguardo all’utilizzo di lore nell’ambito dei videogiochi e alla sua differenza con la semplice storia, è che lore riguarderebbe la conoscenza passiva, mentre la storia è attiva. La seconda ti viene spalmata addosso mentre intraprendi il percorso principale del gioco2, quello previsto da chi lo ha creato, pur nelle sue sfaccettature. Torniamo a lore e storia, a storie e storia: le prime te le devi andare a trovare, perché loro rimangono lì, in attesa di essere riportate alla luce. Possono essere nascoste tra documenti appoggiati sul tavolo di un ambiente che non era essenziale esplorare, nei monologhi di qualche nota audio o messaggio vocale o nelle testimonianze di personaggi ultra-secondari in un angolo ammuffito della mappa di gioco, per fare qualche esempio banale. Sono informazioni, anzi storie, che servono per convincere che l’universo virtuale in cui ci si trova pre-esisteva a questo specifico gioco, che ci sono stati altri eroi e altri tiranni, prima di questi. Altri popoli e altre leggende.
Bioshock (2K Games - 2007) prende il via quando il protagonista si ritrova casualmente a percorrere le strade di una città costruita sul fondale marino e in cui qualcosa è andato molto storto. Il gioco, realizzato da un team capitanato dal game designer Ken Levine, disseminò gli ambienti di fonti di informazioni prescindibili ai fini del successo della missione di cui era investito l’eroe, ma utilissime per arricchire la conoscenza di ciò che era avvenuto prima del gioco. Ken Levine ha lavorato assieme a Warren Spector in Looking Glass Studios, squadra che tra il 1992 e il 1994 ha collaborato con Richard Garriott e Origin Systems per la serie Ultima Underworld e System Shock. Levine è stato assunto in Looking Glass Studios nel 1995, dopo che questi progetti erano già stati completati, ma ha evidentemente assorbito qualcosa di quell’approccio, anzi molto.
Con certi strumenti del lore puoi dare tanto spendendo poco
I giochi di avventura e combattimento di From Software (la serie di Dark Souls, Bloodborne e il già citato Elden Ring) sono apprezzati anche per la cura riposta nella costruzione del mondo che non si vede, ma di cui si legge e poi si parla negli spazi condivisi dai fan. Poter contare su un lore, su tante storie, può aiutare a trascinare chi gioca sempre più dentro quella dimensione virtuale. È necessaria una certa predisposizione e curiosità, ma anche il tempo per dedicarsi a seguire i mille conigli bianchi fin nei recessi delle loro tane (o anche solo la metà di questi). Non è per tutti ma, quando funziona, ti sei fatto un cliente che passerà molte ore a pensare, a parlare e a fantasticare sul tuo gioco e che avrà la predisposizione a spendere altri soldi. Non solo dentro a quel gioco, ma anche per acquistare merchandising a tema, i biglietti di un concerto sinfonico dedicato alla sua colonna sonora, quelli per la proiezione di un film su licenza, e poi anche un altro videogioco collegato in qualche modo.
C’è poi anche una questione economica, secondo Babich: “[Il ricorso alla costruzione di un lore] è inevitabile, interessante, giusto, comodo, furbo, perché inspessisce il gioco utilizzando degli artifizi meno costosi di altri […] come possono essere cinematiche o dialoghi doppiati, […] perché puoi dare tanto spendendo poco”.
Negli ultimi anni uno dei giochi MOBA (Multiplayer Online Battle Arena) di maggior successo, League of Legends (Riot Games - 2009), è stato diluito in nuovi giochi accompagnati dalla dicitura “A League of Legends Story”. A occuparsene è stata la divisione Riot Forge. Sono sei i giochi realizzati, l’ultimo è stato pubblicato all’inizio del 2024, solo poche settimane dopo che Riot Games ha annunciato la chiusura di Riot Forge a seguito di una ristrutturazione interna. Ma intanto la strada è stata segnata: qualche giorno fa Behaviour Interactive ha presentato nel dettaglio The Casting of Frank Stone, un gioco realizzato da Supermassive Games (Until Dawn) e che viene presentato con il suffisso “From the world of Dead by Daylight”. Dead by Daylight è un gioco di Behaviour Interactive lanciato nel 2016 e che, di recente, ha scoperto di essere pieno di storie da raccontare.
Se non riesci a stabilire un lore abbastanza forte sei fregato e nessuno si calcola i tuoi giochi
Quello che contribuisce a creare il lore può fidelizzare il cliente. E quindi va da sé che un po’ tutti ci provino. Sull’obiettivo ultimo ed evidente del lore, interviene ancora Babich: “tutto questo ci porta comunque al disperato tentativo di consolidare se non creare delle proprietà intellettuali, perché alla fine tu vuoi quello: vuoi che il tuo gioco diventi un trampolino per un altro e un altro e un altro gioco della stessa serie. Se non riesci a stabilire un lore abbastanza forte sei fregato e nessuno si calcola i tuoi giochi”.
Tante storie, troppe storie?
E quindi nutrire il proprio gioco con tante storie può essere un modo per renderlo migliore agli occhi del pubblico e, anche, più efficace come prodotto. Ma se ci sono generi che sono per loro natura propensi a raccontare molto, anche andando al di là dei confini del gioco vero e proprio, in altri casi non è detto che l’aggiunta di storie di contorno, o di una mitologia appena accennata, si amalgami al meglio con il resto. Giochi di ruolo e avventure in mondi fantastici si prestano con naturalezza a diventare contenitori di racconti, ma a volte non va così bene.
In misura minore la voglia un po’ disperata di avere alcune chilate di lore, sperando che possano generare quell’attaccamento che trasforma un giocatore in un fan e un gruppo di persone in un fandom, è simile alla tendenza di troppi giochi di voler essere sempre più grossi. Quando le cose non funzionano, il risultato è che i giochi sembrano muoversi con pesantezza, colpa di una digestione complicata di tutte quelle informazioni e quelle storie di cui, forse, si poteva pure fare a meno.
FIFA ha un lore che trascende il gioco stesso: essendo un gioco ispirato alla realtà attinge alle competenze extra-ludiche del giocatore in maniera violentissima
È un discorso che vale in particolar modo per la parte più ricca del settore, che propone quelli che a volte finiscono per essere dei mappazzoni, come si direbbe dalle parti in cui ha iniziato a cucinare lo Chef Barbieri. Davvero i personaggi di un puzzle game devono avere un nome, una personalità e una storia? Davvero un puzzle game deve avere dei personaggi? In quanti leggeranno fino all’ultima riga di almeno un terzo delle lettere chiuse nei cassetti di quello sparatutto in prima persona? Si può essere dipendenti anche dall’idea del lore e dei tanto agognati effetti positivi che potrebbe avere sul gioco e sulla sua community. Può succedere anche quando questa strada viene intrapresa non perché suggerita o imposta dall’editore e dal marketing, ma semplicemente perché ci si perde dentro il sogno del proprio gioco. Lo ami a tal punto che non smetteresti mai di aggiungere, che credi senza riserve al fatto che anche il grande pubblico si innamorerà delle sue storie, e così facendo perdi lucidità e senso della misura.
Non mi pare del tutto d’accordo Babich, che a una mia battuta sulla possibilità di aggiungere del lore a una simulazione sportiva come FIFA (oggi EA Sports FC di Electronic Arts), ribatte: “Penso che il lore sia uno strumento così versatile e comodo per chi fa videogiochi che proprio FIFA sia un esempio pazzesco. Ha un lore che trascende il gioco stesso: essendo un gioco ispirato alla realtà, attinge alle competenze extra-ludiche del giocatore in maniera violentissima. Basta pensare a chi viene messo in copertina, che ti sta parlando dello zeitgeist calcistico del suo momento. Quindi questo è lore, per quanto meta-testuale”. A me rimane qualche dubbio, soprattutto perché la natura di queste suggestioni, che giustamente Babich definisce “meta-testuale”, mi sembra spostino un po’ troppo fuori dal gioco e dalle sue risorse la questione. Però è uno spunto molto interessante e ci penserò questa sera, di fronte a Germania - Scozia, partita inaugurale del MMORPG dell’estate 2024: gli europei di calcio.
ECCO CHI È!
Geoff Crammond è stato a lungo sinonimo della Formula 1 nel mondo dei videogiochi per personal computer. La serie Grand Prix venne lanciata nel 1991 e proseguì fino al 2002, quando Grand Prix 4 divenne l’ultimo videogioco di Crammond disponibile per l’acquisto. Prima di Grand Prix ci sono stati anche Revs (1984), The Sentinel (1986) e Stunt Car Racer (1989).
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“Maybe we're victims of fate, remember when we'd celebrate?” (Placebo)
Credo che in quel caso si parli di “golden path”, il sentiero preparato e solitamente molto ben indicato dai game designer e dai vari architetti di un videogioco, ma qua non ci si sofferma troppo sui termini tecnici tipici dell’ambiente di sviluppo.
Io adoro la lore, mi piace perdermi in storie inventate e complicatissime, che siano Warhammer o Star Wars, ma credo sia abbastanza evidente che se inizialmente la lore è un ottimo strumento per appassionare il pubblico (penso ad Hazbin hotel) che ci ricama sopra, col tempo rischia di diventare un impalcatura pesantissima che schiaccia tutto.