Emergent Gameplay: cose che possono succedere
Quando tocca prevedere l'imprevedibile (include tracce di Zelda).
Avete sentito parlare del nuovo gioco della serie The Legend of Zelda? Tra prenotazioni e vendite dei primissimi giorni, ha già toccato quota dieci milioni di copie in giro per il mondo. Quindi immagino che ne abbiate sentito parlare. Anche se così non fosse, la premessa di questa puntata si deve proprio a The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom.
Prima di addentrarmi nelle oscure caverne della terminologia che fa annodare la lingua e non piace a nessuno, ci sarebbe un’altra questione… Come leggete questa newsletter? Nella vostra casella email o aprendola nel browser? O magari avete e utilizzate la app di Substack? Me lo chiedo perché in questi ultimi casi, cioè via browser e app, è possibile anche visualizzare le Note che pubblico e che sono sempre a tema (parole dei) videogiochi e che, però, non vi vengono inviate anche alla casella email. Se usate il browser, potete trovarle nella sezione “Notes” nella homepage della newsletter, con la app è ancora più facile, perché c’è una voce nel menu di navigazione sulla sinistra.
Torniamo alle cose più interessanti. E non fate ai Korogu nulla che non vorreste venisse fatto a voi.
Buona lettura!
Quello che emerge giocando a Zelda
I Korogu sono abitanti delle foreste di Hyrule, il regno fantasy elaborato da Nintendo per ambientare la serie di The Legend of Zelda. I Korogu sono apparentemente di legno e il volto è una foglia, con rami sottili a fare da arti. Sono esseri del tutto inoffensivi per il protagonista del gioco e proprio con l’ultimo episodio (Tears of the Kingdoms, disponibile solo per Nintendo Switch) festeggiano i vent’anni di attività. La loro prima apparizione è in The Legend of Zelda: The Wind Waker, tra il 2002 e il 2003. Quello che non potevano immaginarsi era che, per il compleanno, sarebbero stati accolti da torture di ogni tipo.
In Tears of the Kingdom esistono svariati modi per dimostrare la propria creatività. I problemi da risolvere sono tanti, ma gli strumenti a disposizione dell’eroe non mancano. Storicamente The Legend of Zelda si concentra sugli scontri a fil di spada con i nemici e sull’esplorazione sia di complessi labirinti, che di un mondo da fiaba. Con gli episodi Breath of the Wild (Nintendo Switch e Wii U, 2017) e soprattutto Tears of the Kingdom (2023), il team di sviluppo ha voluto aprire nuove strade. Nel capitolo disponibile da pochi giorni, il giocatore può servirsi di quello che trova in giro per Hyrule per costruire oggetti, veicoli e strutture, oltre che improvvisare armi o scudi.
I Korogu entrano nel discorso perché una delle sfide ricorrenti di Tears of the Kingdom chiede di riunire una coppia di Korogu che stava viaggiando assieme e che si è persa di vista. Ci sono tante coppie di Korogu, non è sempre la stessa, sia chiaro. Di solito si incontra uno dei due, che dice di essere stanco morto e di non riuscire a proseguire oltre, anche se il suo amico è a breve distanza e, anzi, ha anche acceso un falò per segnalare la posizione. Al giocatore il compito di capire come portare quello stanco da quello che si sta scaldando di fronte al fuoco. Utilizzando tanta fantasia e una dose ancor più massiccia di crudeltà, svariati tra i dieci milioni di giocatori1 che hanno già acquistato Tears of the Kingdom, stanno facendo passare dei pessimi quarti d’ora ai Korogu2. I social network sono il posto in cui vengono condivise scene insopportabili, tra cui Korogu fissati al centro di una croce ben issata su un carretto, portati in giro come se fossero i protagonisti di una processione religiosa. E forse lo sono.
Tutti i sistemi che permettono di creare ciò che si ha in testa fanno di The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom un gioco dotato di un evidente emergent gameplay. Il termine è in giro da circa una decina di anni e si collega al concetto dei comportamenti emergenti3. All’interno dei videogiochi vuol dire che vengono fornite risorse e strumenti sufficienti a risolvere in maniera libera e creativa le situazioni che ci si trova ad affrontare. Il gioco prevede che quegli strumenti possano portare alla risoluzione dell’enigma o comunque a oltrepassare un ostacolo, ma non prevedono che ci sia un solo modo per farlo (o che ce ne siano dieci o cento).
Per prima cosa, i meccanismi e gli strumenti devono essere sufficientemente malleabili da poter permettere di essere combinati in modo previsto e imprevisto. Se dai al giocatore 100 opzioni differenti per trovare una soluzione, ma queste non sono collegate tra di loro, hai solo creato 100 percorsi singoli e non si può parlare di emergent gameplay
Josh Bycer di Game-Wisdom, in un articolo proposto su Medium4, inizia a fare dei distinguo. In effetti non è facile capire a cosa ci si riferisca con emergent gameplay. Prima di scrivere questa puntata, sono partito nuovamente da zero, cercando definizioni ed esempi di emergent gameplay, nonostante lo avessi già fatto più volte negli ultimi anni. È un concetto di cui tendo a perdere alcune sfumature e finisco con il chiedermi: “ma è questo che intendono, con emergent gameplay?”.
Sempre Josh Bycer propone5 una definizione di emergent gameplay che mi sembra piuttosto adeguata:
Un gioco i cui meccanismi concedono al giocatore di creare nuove strategie e applicazioni, al di là dei loro scopi o utilizzi originari
Le cosiddette immersive sim sono solitamente il trionfo dell’emergent gameplay. Con immersive sim ci si riferisce a giochi come Deus Ex (Ion Storm, 2000) o Dishonored (Arkane Studios, 2012), in cui la libertà di sperimentare è il fulcro del gioco.
Minecraft (Mojang Studios, 2011) è probabilmente il gioco che più di qualsiasi altro ha spinto a riflettere sull’idea di emergent gameplay, ma mi piace ricordare anche Drawn to Life (5th Cell, 2007), che prevedeva di disegnare l’eroe della propria avventura attraverso il touch screen di Nintendo DS, occupandosi poi anche delle sue armi e di parte del mondo di gioco. 5th Cell ha poi realizzato anche Scribllenauts (2009), in cui il touch screen di Nintendo DS veniva usato per scrivere il nome dell’oggetto che si voleva far comparire nel gioco, da usare poi per completare i livelli di quello che era un gioco di piattaforme (e nessuno vietava di usare un pesce a mo’ di ponte, per capirci). Jeremiah Slaczka, co-fondatore e Creative Director di 5th Cell all’epoca, rispose così a una domanda di IGN6 sul genere di appartenenza di Scribblenauts:
Tra di noi lo definiamo “emergent”. Emergent gameplay è presente anche in altri titoli, ma in questo caso abbiamo un gioco che possiamo dire appartenga al genere emergent. Noi mettiamo a disposizione i mondi e le regole, al giocatore il compito di spingere un po’ più in là i confini.
Scegliere di lasciare nelle mani dei giocatori così tanto potere vuol dire fidarsi che tutte quelle dinamiche e quelle possibilità non portano a “rompere” il gioco stesso. Anzi, nella situazione ideale il gioco deve piegarsi e arrotolarsi su se stesso, senza mai spezzarsi. L’idea è quella espressa da Mike Magardy di Polygon, in occasione della sua anteprima di The Legend of Zelda: Tears of Kingdom, di cui ho parlato in una puntata recente della newsletter7.
Quanto ci vorrà prima che, spiando dietro quelle quinte, non vedrò qualcosa che Nintendo non prevedeva che potessi vedere? Tears of the Kingdom pare volersi fare forza sul caos, ma è un atteggiamento pericoloso.
A voler dar retta all’accoglienza trionfale da parte della critica specializzata, le fasi di test di Nintendo sono state approfondite e il gioco ha sopportato le picconate creative di chi lo ha già messo alla prova per decine di ore.
Volete il gameplay spontaneo?
Un discorso a parte si può fare sul modo in cui utilizzare emergent gameplay in italiano. Proprio in questi giorni ho dovuto occuparmi di un comunicato stampa che utilizzava l’espressione emergent gameplay e in ufficio si è innescata una discussione per capire come renderla in italiano, non volendoci limitare a un semplice ma ancora confuso “gameplay emergente”.
Una delle proposte più interessanti è stata “gameplay creativo”, perché sottolinea proprio la parte in cui il giocatore letteralmente crea qualcosa, che sia un oggetto nel mondo di gioco o una soluzione. Il problema è che “creativo” è un aggettivo abusato, anche nei videogiochi, e il rischio è che leggendolo non si colga velocemente il senso specifico dell’emergent gameplay. Tra i candidati è comparso anche “gameplay sperimentale”, che però (di nuovo) non è abbastanza preciso. Dopotutto in tanti giochi si può parlare di un gameplay che porta a sperimentare, anche senza che aderiscano alle definizioni viste sopra. Alla fine ci siamo convinti che una scelta del tutto convincente non ci fosse ancora e, al momento, abbiamo promosso “gameplay spontaneo”. La spontaneità dovrebbe indicare il ruolo principale del giocatore nell’elaborare una sua idea, non per forza di cose prevista dal gioco stesso.
C’è una cosa che però ci tengo a precisare: quando scrivo di videogiochi, cerco di non esagerare nell’utilizzo delle categorie, perché il rischio è quello di “rinchiudere” i giochi in gabbie più limitate del dovuto e di quanto sia utile. Ma anche di utilizzare un lessico poco comprensibile e che può stancare o infastidire chi legge. Nel mio mulino, insomma, “emergent gameplay” o “gameplay spontaneo” non ci dovrebbero proprio essere. Dopotutto è sufficiente far sapere che in quel gioco ci sono tanti modi per mettere alla prova la propria creatività. Se avete opinioni e suggerimenti per l’adattamento di “emergent gameplay”, scrivetemi o lasciate un commento o telefonate in diretta al TG1 e chiedete di me.
BONUS!
Qualcosa Sugli Acronimi
Polygon ha pubblicato un articolo con il titolo e sottotitolo8 che vedete riportati qua sopra. Mi è tornato in mente tutto il periodo delle riviste su carta, quando i nomi dei giochi (ma anche delle console) venivano strizzati nei loro acronimi. TOTK sta per Tears Of The Kingdom e BOTW per Breath Of The Wild, mentre FOMO è Fear Of Missing Out9.
I limiti imposti dalle pagine e dall’impaginazione, portavano all’utilizzo di quelle forme super-compatte, che però rendevano la lettura molto più pesante. Perché continuare a farlo anche ora che di limiti non ce ne sono più e in casi in cui la lettura e la comunicazione non diventa più agile e comprensibile (come invece succede con FOMO)?
VERBA MANENT
Tra immersive e adventure sim
Dinga Bakaba è Studio Director (e Co-Creative Director) di Arkane Lyon, una software house che si è specializzata nelle immersive sim10. Ha co-diretto Deathloop (2022, PlayStation 5, PC e Xbox Series X|S). Su Twitter ha provato a spiegare cosa sia, per lui, una immersive sim e perché The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom non rientra nella categoria.
Il thread è molto interessante. Per approfondire (clicca qui).
Grazie a Floriana Grasso per la rilettura e le correzioni.
I dischi che ho ascoltato questa settimana:
Johnny Marr - Fever Dreams Pt. 1-4
Black Country, New Roads - Ants From Up There
The xx - I See You
Per qualche tragico esempio, consiglio questo articolo di The Verge - https://www.theverge.com/2023/5/16/23725487/tears-of-the-kingdom-koroks-torture-nintendo
Non è il sottotitolo, ma ho conosciuto troppi modi differenti con cui veniva chiamato (tra cui occhiello e catenaccio), per sceglierne solo uno ora. Anche perché poi arriva di sicuro la testimonianza di chi: “no, ora ti dico io il termine giusto!”. Anzi, se lo sai, dimmelo.
Non lo sapevate? Ma dove vivete? Come fate a non sapere di FOMO?!
Non ci sto neanche provando, a immaginare una versione in italiano di “immersive sim”.
Nell'introduzione hai rappresentato il casino delle interazioni su Substack. L'esperienza è ancora molto frammentata, fra email, fruizione browser e fruizione via app.
Ottimo come sempre! Per lo scorso numero della newsletter, dove ho scritto di Emergent Narravtive, mi sono trovato anche io a perderne alcune sfumature e sovrapporre emergent narrative, embedded narrative, emergent gameplay etc...
Argomento comunque che mi interessa sempre molto <3