Una rivista non è per sempre
Racconti di riviste di videogiochi che hanno chiuso. Perché l'amore non muore mai, ma il distacco può essere traumatico.
Che Game Informer abbia chiuso lo sapete già da un pezzo, a meno che non vi siate fatti distrarre dalle Olimpiadi. Una delle riviste di videogiochi più longeve e di maggior rilevanza di sempre, l’americana Game Informer ha cessato le pubblicazioni dopo 33 anni. Lo stop è arrivato in maniera piuttosto brutale e ha coinvolto anche l’intero archivio della versione web (cosa che a qualcuno non è andata giù, comprensibilmente).
Nella mia esperienza ho visto staccare la spina a più di una rivista. Mi accorgo solo ora, scrivendone per la prima volta, che non sono poi così tante. Tolte le prime, negli altri casi si è trattato di eventi che ho vissuto con un certo distacco, avendo smesso da tempo di fare parte delle redazioni che se ne occupavano. Messe da parte le testate che ho visto cadere sul campo ancora in veste di lettore, passo direttamente al primo peso massimo: Game Power, edito dallo Studio Vit tra il 1991 e il 1997.
All’inizio dell’estate Il mio castello apparecchiò tutto per il passaggio di una parte dei lettori di Game Power a PlayStation Magazine Ufficiale e PlayStation Power
Ho fatto solo in tempo ad annusare l’aria di quello che era stato il “vero” Game Power perché, dopo solo qualche mese dal mio arrivo e con la rivista passata nelle mani dell’editore Il mio castello (la realizzazione rimase comunque dello Studio Vit), ci furono le prime avvisaglie che l’aria stava cambiando. All’inizio del 1997 la qualità della carta crollò, ma io ero troppo concentrato sul fatto che dentro Game Power ci stessero finendo i miei primi articoli, per capire cosa volesse dire.
All’inizio dell’estate Il mio castello apparecchiò tutto per il passaggio di una parte dei lettori di Game Power a PlayStation Magazine Ufficiale e PlayStation Power, entrambi mensili di cui deteneva i diritti di pubblicazione per l’Italia e che avevano debuttato nell’autunno del 1996. A Game Power fu prima imposto di non occuparsi più del mercato PlayStation, l’unico di fatto esistente in quel momento in Italia (il Nintendo 64 era stato lanciato solo a marzo e i numeri erano ancora insignificanti), quindi venne ridotta drasticamente la foliazione.
Dentro la redazione, in quei mesi, qualcuno mi disse “ce la stanno mettendo tutta per ucciderla, ma continua a vendere”. Si arrivò alla presa in giro finale: un numero da 64 pagine in cui si susseguivano solo schede di giochi per la PlayStation.
Game Power e lo Studio Vit non avevano una presenza online come possiamo immaginarcela oggi. Il brutale sacrificio di quello che era stato un pilastro dell’informazione specializzata si poteva tutt’al più piangere assieme collegandosi a un newsgroup o a un canale di chat testuale (IRC). In entrambi i casi, a mia memoria, in Italia nel 1997 i frequentatori assidui di quegli spazi non erano più di alcune decine. Quasi tutti i lettori di Game Power se ne saranno andati nei mesi dell’autosabotaggio imposto dal nuovo editore o si saranno accorti della sua chiusura dopo averne chiesto il nuovo numero in edicola per un paio di mesi. Sic transit gloria zia Marisae.
Oggi l’eredità di Game Power, come di qualsiasi altra rivista specializzata a metà degli anni Novanta, può sembrare poca cosa: nemmeno settanta uscite in poco meno di sette anni. Nulla se confrontati ai tre decenni di Game Informer. Ma il peso specifico di quei “pochi” anni (che non erano pochi, in quel contesto) era ben più significativo di quanto non lascerebbero intendere i numeri. Dopotutto Game Power era stata la rivista che, assieme a Console Mania, aveva fondato il mercato dei mensili dedicati ai videogiochi per console in Italia (nel 1991, lo stesso anno in cui anche Game Informer raggiunse le edicole - si fa per dire perché le riviste negli USA non si vendevano nelle stesse edicole che abbiamo in mente noi).
In uno degli ultimi numeri di Game Power, la pagina che annunciava l’uscita del numero successivo venne “sfregiata” da Baratto, che modificò lo slogan: “non perderti anche il prossimo numero”.
Visto in quello stato, Game Power era uno spettacolo desolante e anche per questo non fu così doloroso lasciarlo andare. Nei mesi successivi mi spostai su Zeta, l’altra rivista dello Studio Vit che si occupava di videogiochi per computer e che all’inizio del 1997 aveva subito uno scossone: il caporedattore Andrea Minini Saldini si era accasato proprio a Il mio castello (quindi forse si era accastellato, oh-oh-oh) per diventare il responsabile della nascente Giochi per il Mio Computer. Zeta venne quindi affidata a Giorgio Baratto, rimasto orfano di Game Power (di cui era il responsabile in redazione) e con cui quindi ero già abituato a lavorare. O per meglio dire, dato i miei diciassette anni, di cui ero già abituato a seguire i consigli e a temere battute e scherzi perennemente sopra le righe. Poi però non riuscì più a soffocare sotto alla configurazione di una scheda audio la voglia di scrivere di videogiochi per console e nella primavera del 1998 misi in piedi un’iniziativa amatoriale che si sarebbe occupata proprio di questo: il sito Console Keeper.
Ed è grazie a Console Keeper, ma molto di più all’esplosione del mercato della PlayStation in Italia, che qualcuno da Il faro Editore mi contattò per propormi di occuparmi di una rivista a tema. A giugno del 1999 venne pubblicato il primo numero di PlayStation World, che è la seconda a cadere nella mia frequentazione dall’interno dei mensili di videogiochi. L’editore avrebbe voluto che PlayStation World si occupasse quasi esclusivamente di guide e soluzioni, perché era quello che vendeva meglio in edicola. Noi riuscimmo comunque a contrattare la presenza di un gran bel numero di pagine per notizie, anteprime, recensioni e rubriche. Perché non era poi così stimolante dover passare il tempo dietro alle soluzioni (non per me e non per buona parte del gruppo di PlayStation World, perlomeno).
Dopo tredici mesi e altrettanti numeri, mi chiamano e sento rivolgermi una frase che avevo letto in qualche libro e sentito in più film: “forse faresti meglio a sederti”
Le vendite erano decenti, i dati comunicati dall’editore parlavano di circa 12.000/13.000 copie al mese (oggi con questi numeri ti fanno Papa, ma è un po’ #premioGAC1). L’editore Il faro, però, aveva qualcosa che non andava. Me ne ero accorto la prima volta che ci avevo messo piede, nella periferia sud di Milano: la sede era all’interno di un maneggio, ma l’impressione convincente data dall’eleganza del contesto era stata fiaccata da dei mobili piazzati davanti a una porta, a coprire malamente il nastro della Guardia di Finanza che la sigillava. Dopo tredici mesi e altrettanti numeri, mi chiamano e sento rivolgermi una frase che avevo letto in qualche libro e sentito in più film: “forse faresti meglio a sederti”.
Era stato deciso che PlayStation World avrebbe chiuso. Non per demeriti suoi ma perché trascinata verso l’oblio da ben altri problemi in cui stava navigando l’editore (o almeno così mi venne detto). Non fu una sensazione piacevole. Ho dei ricordi molto romantici collegati a quell’anno abbondante di PlayStation World, perché è stata la prima rivista che ho curato e coccolato come “mia” (naturalmente ero circondato da altre persone che sono state altrettanto essenziali ai discreti risultati, quindi non era “mia”). In tutti questi anni mi è capitato solo un paio di volte che qualcuno mi dicesse di essere stato un lettore di PlayStation World: più che una pietra angolare del giornalismo dei videogiochi, è stata una piastrella con un motivo piacevole nel bagno con la vasca del giornalismo dei videogiochi. E indovinate un po’? Anche in quel caso non ci fu modo di salutare i suoi lettori.
Qualche mese dopo il lutto avrebbe toccato anche la casa di Joypad. Joypad è stato un mensile multiformato, che copriva quindi l’intero mondo dei videogiochi: da quelli per console a quelli per PC (ma anche giochi in sala e una rubrica su quelli in scatola). Non sono mai riuscito a spiegarmi perché Joypad sia esistito. La proposta di realizzarlo arrivò da Edizioni Master nell’estate del 2000. Mi muovo un po’ a memoria e quindi, nel caso, tiratemi delle banane e correggetemi, ma mi pare che in quel momento Edizioni Master non pubblicasse ancora alcun periodico dedicato esclusivamente ai videogiochi. Che senso ha puntare su una rivista multiformato quando tutti si stanno riempiendo le tasche con quelle focalizzate solo sul mercato della PlayStation? E perché farlo fare a gente il cui CV è esiguo e che lavora a mille chilometri di distanza dalla tua sede?
Non mi interessava trovare delle risposte. L’idea di poter lavorare a una rivista multiformato, simile a quelle con cui ero cresciuto e forse addirittura l’erede spirituale della mia adorata Game Power, mi bastava e avanzava. Durò molto poco: già dopo l’uscita del secondo numero Edizioni Master ci chiese di raggiungere la sede a Rende (provincia di Cosenza) per discutere del futuro della rivista. L’amarissima aranciata sorpresa è che non c’era poi molto di che discutere, dato che la scelta era già stata presa: il quarto numero sarebbe stato l’ultimo di Joypad. Per quanto ne sapevo all’epoca, i tempi erano sospetti. Mi era stato insegnato che prima di poter avere dei numeri affidabili sulle vendite grazie a cui fare dei programmi e tirare delle conclusioni, toccava aspettare oltre due mesi dalla distribuzione in edicola. Il tempo che serviva a ritirare tutte le copie invendute. Anche nella migliore delle ipotesi, Edizioni Master stava facendo calare la scure su Joypad dopo i risultati del solo numero di lancio, a fronte di un progetto che non era pensato per essere “pop” e a cui sarebbe servito del tempo per trovare il suo pubblico (che probabilmente non c’era, a onor del vero).
Una chiusura così improvvisa e crudele mi deluse molto di più di quelle di Game Power e PlayStation World
La cosa finì addirittura per avvocati, ma non è questo il punto del discorso. Nei mesi successivi ci lanciammo in interpretazioni più o meno coraggiose di ciò che potesse essere accaduto. All’editore una rivista in più era tornata comoda per contrattare con i distributori posizioni di pregio nelle edicole? O forse la raccolta pubblicitaria per un paio di numeri era bastata per coprire i costi e farsi un bancomat veloce (quest’ultima mi pare poco credibile). Fatto sta che una chiusura così improvvisa e crudele mi deluse molto di più di quelle di Game Power e PlayStation World. Nel suo piccolo, Joypad era stata apprezzata dalla nicchia di appassionatissimi dei newsgroup e dei canali IRC, ma i numeri erano comunque talmente irrilevanti rispetto all’intero mercato, che valevano quello che valevano. Anche in questo caso, però, nessun saluto sulla rivista ai suoi affezionatissimi (posto che ce ne fossero, dopo solo quattro uscite!).
Combo! Nell’estate del 2002 andammo in gruppo a testimoniare nel procedimento legale che contrapponeva Edizioni Master al gruppo editoriale di cui facevo parte. Nella stessa giornata si giocò, poi, l’infame Italia - Corea ai mondiali di calcio. Partita che vedemmo in gruppo appena dopo le deposizioni. Eroina, Frank!
Nintendo la Rivista Ufficiale ha lasciato questo piano dell’esistenza nel 2013, dopo aver completato un rispettabile percorso di oltre dieci anni nelle edicole. Ho frequentato la redazione tra il 2002 e il 2012, dall’estate del 2008 solo come collaboratore. Quando Ugo Laviano mi ha detto che stava per succedere, che NRU avrebbe chiuso, mi è dispiaciuto per i redattori, non troppo per la rivista. Non esiste un ammasso di fogli rilegati a cui abbia dedicato più energie e sentimenti positivi di NRU, ma undici anni sono tanti e per quanto oggi darei un braccio per ritrovarmi in una situazione in cui fosse sensato essere ancora al lavoro su quella rivista, nel 2013 il contesto avevo già lasciato intendere che la fine fosse imminente. Dove con “contesto” mi riferisco all’atteggiamento dell’editore (Sprea Editore) fin dall’acquisizione di tutte le testate dedicate ai videogiochi, e non solo, di Future Media nel 2007. Un atteggiamento tutt’altro che costruttivo, in cui ogni giorno era segnato dalla sensazione che l’editore stesse tentando di cavare quanto più sangue possibile dalle rape. Per poi buttarle nell’umido.
Ci sono state occasioni a sufficienza per mettere in pratica l’idea che avevamo di una rivista dedicata al mondo di Nntendo
L’addio di Nintendo la Rivista Ufficiale è stato lungo e celebrato. La rivista cartacea ha avuto modo di salutare il pubblico e le sue diramazioni digitali, tra cui il gruppo su Facebook, hanno mantenuto vivo un contatto con parte della redazione. Ancora oggi, a oltre dieci anni di distanza, il gruppo è attivo e succede che qualcuno lanci un miagolio disperato, ululando ai “bei tempi che furono”.
Credo che tutte le persone che hanno iniziato a lavorare nel 2002 a NRU si siano tolte gli sfizi che volevano togliersi: ci sono state occasioni a sufficienza per mettere in pratica l’idea che avevamo di una rivista dedicata al mondo di Nntendo e mi pare pure che siamo riusciti a farlo. Al di là della ovvia e dovuta preoccupazione per chi rischia di perdere un posto di lavoro, la chiusura di NRU mi è parsa fisiologica e la (personale) certezza che la rivista avesse già completato almeno un paio di cicli non mi ha lasciato addosso alcuna sensazione di incompiuto.
EXTRA
Shark attack!
Per un periodo, non so più quanto breve o lungo, nelle redazioni dell’area videogiochi di Future Media Publishing in Italia si è aggirato… uno spettro? No, la pinna di uno squalo. Era quella che si vedeva, assieme al resto del rispettabile pescecane, sulla copertina di un DVD: Squali - La verità sul killer dei mari (grazie internet!). Di quel DVD, una documentario sul più maltrattato dei pesci predatori, in Future ne erano rimaste alcune carrettate. Molte carrettate. Doveva essere stato un ordine sbagliato o un reso monumentale o non so che altro affare sbagliato. E per quel periodo dalla durata ormai indefinita, quando ti chiudevano una rivista poi le allegavano anche il DVD degli squali. Per questo serpeggiava una battuta a sfondo traumatico: “occhio che siete a rischio squali”. Che poi, magari, è successo una volta o due e basta, ma intanto la storia era fatta.
NELLA MIA BOLLA
Heavy Meta | scrivere di cultura pop
Questa newsletter è stata riletta e corretta da Floriana Grasso: se sei alla ricerca di qualcuno che ti corregga le bozze, prova a contattarla!
“Voglio la verità che ricordavo” (Afterhours)
Grazie Ar Cazzo.