Photo Mode: oltre il videogioco
Dalle "bullshot" alla Virtual Photography: inganni subiti e cercati dentri ai mondi virtuali.
C’erano una volta le bullshot, immagini realizzate ad arte per far sembrare un videogioco più bello di quanto non fosse poi in realtà. Gli scatti erano realizzati e diffusi dai produttori dei videogiochi, con l’intento di renderli più interessanti e vendibili. Non era una novità assoluta, perché una prima versione delle immagini fraintendibili nel campo dei videogiochi si deve alle confezioni delle conversioni per computer e microcomputer. Sul retro della scatoletta in cartone della versione di Final Fight (Capcom, 1989) per Commodore 64/128, a opera dell’indimenticata US Gold, si legge:
Le immagini di gioco hanno il solo scopo di illustrare il gameplay e non la grafica, che può cambiare anche considerevolmente per qualità ed estetica a seconda dei formati e dipende dalle specifiche del computer.1
In effetti le immagini della versione per Amstrad (ma quale Amstrad?) sono molto meno deprimenti di quelle per Commodore 64/128. Nessuna è neanche lontanamente degna d’odorare i calzini della conversione per Super NES, ma ora non rigiriamo troppo il coltello nella ferita.
Quelle non erano tecnicamente immagini truffone, come piace definirle a noi del comitato di redazione delle Parole dei videogiochi. Di per loro gli screenshot erano probabilmente onesti, ma calati in un contesto che poteva portare a convincersi di qualcosa di sbagliato. E poi a piangere a dirotto abbracciando il lettore di cassette del Commodore 64, per dire.
Le bullshot di cui sopra sono un’altra cosa, sono quelle che nei forum di appassionati venivano analizzate velocemente e derise ampiamente, appena venivano messe a disposizione dello scafatissimo pubblico dell’internet di inizio secolo (questo secolo). Erano screenshot di gioco la cui risoluzione non era sensata, nemmeno di fronte alle esigenze di stampa delle riviste su carta, che ancora esistevano. O immagini che proponevano inquadrature e angolature mai utilizzate nel gioco vero e proprio, così da esaltare i personaggi o altri elementi posizionati in modo da garantire un certo impatto visivo.
Queste pratiche sono state in buona parte dismesse, anche perché lo screenshot di gioco è stato declassato, anzi surclassato, dai filmati. La filosofia è però rimasta e per accorgersene non serve niente di più complicato che andare a leggere qualche commento all’uscita di un videogioco molto atteso: ci sono eccellenti possibilità che ci troviate una qualche accusa di “downgrade” grafico. Pensandoci ora, mentre scrivo questa puntata, l’idea di definire eventuali incoerenze grafiche tra un trailer e il gioco finale come “downgrade”, è interessante. Non si sta dicendo che quanto fatto vedere inizialmente fosse poco credibile o addirittura ingannevole, ma che al termine dello sviluppo l’aspetto di un videogioco sia stato degradato per vari motivi ed esigenze. Non è finto e male intenzionato il trailer, ma incompetente il gioco finale.
Di esempi di trailer montati ad arte anche per quanto riguarda le angolazioni delle riprese, ce ne sono ancora oggi in grandissima quantità. E quindi le bullshot, tutto sommato, sono ancora tra di noi.
Uno studio fotografico virtuale
La modalità foto, o Photo Mode in inglese, è un’altra cosa. Non è uno strumento nelle mani dei reparti marketing, ma un’attrezzatura digitale affidata a videogiocatrici e videogiocatori. Lo scopo della modalità foto è permettere di cristallizzare un momento di gioco e di poterlo modificare più o meno a piacimento, nel tentativo di mettere in piedi un allestimento che poi possa essere a sua volta immortalato dallo scatto di una macchina fotografica virtuale. La funzione della modalità foto non è testimoniare come appaia un gioco, ma lasciare la possibilità di utilizzare i suoi personaggi e i suoi panorami per ottenere qualcosa che di sicuro somiglia molto al videogioco di partenza, che solitamente si vuole mantenere come riconoscibile, ma che non deve essere una sua fedele rappresentazione.
In Gran Turismo 4 (Sony, 2004), che viene generalmente indicato come il papà della modalità foto nei videogiochi, si potevano scegliere un’auto, un tracciato o un’ambientazione entro cui calarla, impostare la posizione e la distanza o l’inclinazione della telecamera, ma poi anche la velocità dell’otturatore e svariate altre impostazioni. Ne venivano fuori immagini stupende, che sfruttavano la maestosità dei modelli poligonali delle vetture realizzati da Poliphony Digital e che probabilmente nessuno ha mai confuso per screenshot delle gare vere e proprie.
[Nel Photo Mode di Gran Turismo 4] qualsiasi auto può essere disposta su qualsiasi tracciato e congelata in un istante da rivedere, in alta risoluzione, tanto sul televisore quanto sullo schermo dei PC (e perché no, anche su quello della PSP) grazie alla possibilità di trasferire i dati su una comune memoria rimovibile USB. […] È possibile armeggiare con una serie di filtri ed effetti grafici, magari mossi dal desiderio perverso di approssimarsi al più ingannevole dei fotorealismi.
Marcello Cangialosi2
Per Gran Turismo l’introduzione di una risorsa simile non fu sorprendente. La serie era (ed è) anche una valvola di sfogo per la passione smodata che il suo creatore, Kazunori Yamauchi, nutre per le automobili come oggetti belli e forse addirittura adorabili. E immagino che di appassionati simili, tra i milioni di frequentatori delle lingue d’asfalto di Città d’Aria (uno dei tracciati fittizi di Gran Turismo), ce ne fossero e ce ne siano molti altri.
Fotografi virtuali
Salvare delle immagini dai propri videogiochi e scattare delle foto con l’apposita modalità non è la stessa cosa. Con la generazione di PlayStation 4 e Xbox One, poi anche di Switch, si è finalmente arrivati a dotare ogni controller di un pulsante che registra un’immagine o un video di quello che si vede a schermo, senza trucco e senza inganno. Mi pare di poter dire che la funzione sia arrivata fuori tempo massimo per quanto riguarda le singole immagini che, come dicevo più in alto sono ormai relegate a uno strano artefatto del passato. Sono un fiero frequentatore degli screenshottatori anonimi, ho ascoltato il verbo del dio grabbatore, conosco il saluto segreto di noi che di immagini di gioco abbiamo pieni gli hard disk… ma non mi fermo quasi mai a trastullarmi con la modalità foto. Intanto perché sono mediamente degli strumenti complicati e poi perché quello che mi danno in cambio non mi interessa.
La Virtual Photography è nata, dentro ai videogiochi, con l’arrivo delle modalità foto. Chi la pratica vuole creare qualcosa che c’entra fino a un certo punto con l’esperienza di gioco originale. La modalità foto e la Virtual Photography riguardano sia l’abilità di intuire quale sia l’istante in cui bloccare lo scorrere dell’azione, sia quella di usare in maniera fruttuosa tutti gli interruttori e gli slider esistenti per trasformarla in qualcosa d’altro. In questo senso va detto che è una pratica perfettamente figlia dei suoi tempi: nasce in mondi virtuali, che continua a modificare senza porsi minimamente il problema di risultare finta o posticcia. E per fortuna almeno lei non è post-verità, perché nei videogiochi di vero non c’è nulla.
Le modalità foto si sono arricchite e sono cambiate negli anni. La possibilità di imporre a un personaggio virtuale un’espressione specifica (allegra, triste, sorpresa, aggressiva, etc.) o una postura, ma anche di eliminarlo direttamente dalla scena, racconta molto del rapporto che si ha con i videogiochi e con i loro inesistenti testimonial.
Dell’atteso Death Stranding 2, il suo ideatore Hideo Kojima ha di recente diffuso immagini e filmati di un photo mode in cui i personaggi si mettono in posa e si lasciano andare a smorfie divertite (qua sopra). Il cast del gioco esce dal gioco, si stacca dalle riprese e nel backstage rimangono solo delle persone di fronte all’obiettivo di uno smartphone, impegnate a spedire qualche scatto su Instagram o TikTok. Che si tratti di persone inesistenti è vero fino a un certo punto, perché Death Stranding 2 è interpretato da svariati attori e attrici di fama internazionale. A questo punto capire dove inizino e dove finiscano Léa Seydoux e il suo personaggio, Fragile, inizia a diventare un po’ complicato. Per me l’effetto è straniante, ma forse è un altro confine che Kojima sta provando a cancellare. E Kojima ha già impiegato molte energie per rendere meno chiara la dimensione di appartenenza dei suoi personaggi. Lo ha fatto almeno da Metal Gear Solid (1998), che già tirava delle brutali picconate alla quarta parete.
A proposito, in Metal Gear Solid Integral, una riedizione lievemente arricchita del gioco pubblicata nel 1999, esiste una modalità “Photoshoots” in cui si possono fotografare alcuni personaggi mentre sono nel loro “habitat naturale”. Tanto migliore è la valutazione ottenuta alla fine del gioco principale, e più sarà il tempo a disposizione per scattare e minore la distanza che separa dai soggetti/modelli 3D. Non era ancora la modalità foto come la intendiamo oggi, ma faceva già intuire che, con il passaggio definitivo alle tre dimensioni e a un fotorealismo sempre più a portata di mano (e di obiettivo), il rapporto con i videogiochi e i loro mondi sarebbe cambiato.
Usa la fotocamera per scattare fotografie alle modelle. Non è necessario aver ottenuto questo oggetto nel gioco principale per giocare.
I comandi sono gli stessi del gioco principale. Scatta fotografie alla modella al centro della scena. Le modelle disponibili (Naomi o Mei Ling), la distanza dalla modella e altre variabili dipendono dai titoli ottenuti al completamento del gioco.Dal sito ufficiale di Metal Gear Solid Integral3
Di fronte all’annuncio e agli esempi della modalità foto di Death Stranding 2, c’è chi si è fatto tornare in mente un momento molto preciso di Metal Gear Solid 4: Guns of the Patriots, in cui uno dei nemici diventa una venere da… beh, venerare (all’incirca).
In queste settimane giochi di enorme successo come Cyberpunk 2077 e lo stesso Death Stranding stanno raccogliendo i frutti di chi ha deciso di partecipare ai loro concorsi basati proprio sulle immagini realizzate con le modalità foto. Per Cyberpunk 2077 c’è in palio una scheda video per personal computer del valore di molte centinaia di euro, una sedia da gioco, controller e gadget a tema.
Quella dei “contest” costruiti sulle modalità foto è ormai un’abitudine di molti editori di videogiochi e non solo stabilisce o a rinsalda un rapporto con la community che si è sviluppata attorno al gioco, ma produce anche una serie di immagini promozionali di grande effetto. Che molto probabilmente non raccontano chissà quanto del videogioco vero e proprio e cioè dell’esperienza che se ne fa giocandoci, ma che riescono comunque a capitalizzare sulla loro parte più suggestiva, l’immagine e l’estetica. Perché non bisogna mai mettere in secondo piano la natura visiva dei video-giochi.
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“Screen shots are only intended to be illustrative of the gameplay and not the screen graphics which vary considerably between different formats in quality and appearance and are subject to computer’s specification”.
Da: Videogiochi, gennaio/febbraio 2005 (#11)
Grazie, sono uno di quelli che avevano richiesto questa puntata :)
Ho ricominciato da poco a giocare dopo una pausa di quasi vent'anni, e il Photo Mode è una delle caratteristiche che più mi hanno colpito rispetto al mondo videoludico che ricordavo. A inizio anni 2000 giocavo su PC e facevo screen con il tasto "stamp" (e comunque divenni un eroe agli occhi dei miei amici quando svelai loro questo trucco); oggi vedo intere suite fotografiche a disposizione dei giocatori, e come sottolinei tu ci sono ulteriori sviluppi all'orizzonte. È un ambito che mi affascina, anche se non so bene perché.