All'inferno: vaporware e development hell
Quando le cose vanno molto per le lunghe (o molto male, o entrambe).
Questa newsletter non vuole essere per forza di cose attenta all’attualità. Però può succedere che qualcosa di molto “nuovo” del mondo là fuori abbia riverberi anche qua dentro. È il caso della puntata di questa settimana, dedicata a due modi per riferirsi a situazioni molto specifiche dello sviluppo di un videogioco. Quando succede, una o più parole che erano in pole position per godere di una puntata tutta loro vengono spinte più in giù. Ma la cosa più bella di scrivere questi articoli, finora, è che per ogni parola scelta, inciampo su altre tre. Spero che gli argomenti continuino a essere interessanti anche per voi che leggete.
Buona lettura!
C’era una volta il vaporware
In questi giorni è uscito Dead Island 2 (Deep Silver - PlayStation, Xbox e PC). Una decina di anni fa c’è stata una sorta di invasione zombi, tanto nei videogiochi quanto al cinema o in televisione, e Dead Island è figlio di quel momento. Il seguito avrebbe dovuto cavalcare quel che rimaneva di quell’onda e i tempi, tutto sommato, ci sarebbero anche stati. Il primo annuncio è dell’estate del 2014, era quindi ipotizzabile aspettarsi che venisse pubblicato entro i due anni successivi. Sfogliare oggi l’archivio dei comunicati stampa dedicati a Dead Island 2 è illuminante: si passa dal 2014 al 2022, con in mezzo un buco di otto anni. Cos’è successo in quegli otto anni in cui le comunicazioni, o meglio la macchina del marketing, si è fermata?
In un altro momento storico, Dead Island 2 sarebbe stato facilmente etichettato come vaporware. Oggi il termine è quasi caduto in disuso nell’ambito dei videogiochi (ci arrivo tra poco), ma è comunque successo che il gioco prodotto da Deep Silver venisse definito vaporware1, giustamente. Quando si usa vaporware si vuole indicare un progetto che è sostanzialmente scomparso nel nulla. L’editore o lo sviluppatore lo hanno presentato, a un certo punto, forse hanno addirittura abbozzato una data per la distribuzione, ma poi non se ne è più saputo niente.
Sono tante e differenti le variabili che possono attentare alla vita di un gioco. A tal punto che è ampiamente condivisa, tra chi lavora negli studi di sviluppo, la considerazione che ogni gioco che riesca ad arrivare nei negozi sia un mezzo miracolo. Di un vaporware si possono essere perse le tracce perché si è messo di mezzo qualche intralcio legale, tra licenze o chissà che altro. Oppure i problemi possono essere di natura tecnica, con il team di sviluppo che non riesce a venire a capo delle proprie ambizioni, per dirne una. O, ancora, può essere un problema di finanziamenti che vengono a mancare. E prima di parlare ufficialmente di cancellazione, si preferisce fare spallucce a tempo indeterminato.
Il termine vaporware non nasce nel mondo dei videogiochi, ma viene usato con una certa frequenza entro i suoi limiti, almeno negli anni Novanta e nei primi Duemila. La mia sensazione è che venga scelto sempre meno, anche quando l’occasione ci sarebbe. Con occasione si intende: incasellare velocemente e condannare pubblicamente quei giochi in lavorazione da una vita. O, comunque, annunciati da un sacco di tempo e di cui si è visto piuttosto poco. Probabilmente perché siamo sempre più abituati a cicli di sviluppo che possono spalmarsi su molti anni, senza fare più notizia e senza che questo denoti un qualche effettivo problema. Non è una novità che i tempi dei giochi di fascia alta e altissima vadano costantemente allungandosi. La condizione imprescindibile per parlare di vaporware, quindi, rimane quella della mancanza di informazioni. Con i suoi otto anni di (quasi) silenzio radio, Dead Island 2 rientra tranquillamente nella fattispecie.
Forse si sceglie di usare sempre meno il termine vaporware anche perché si è accumulata una certa esperienza. Di progetti dal nome altisonante, finiti apparentemente nel nulla, si è fatto un gran parlare in un momento importante della storia dei videogiochi, quando si stava assistendo al definitivo passaggio verso un modello più complesso, esigente, impegnativo sia dal punto di vista economico che di forza lavoro. Prey (annunciato nel 1995 e pubblicato nel 2006) e Duke Nukem Forever (1997 - 2011) sono due esempi tra i più celebri e rappresentativi, di cui a lungo si è parlato come di vaporware. Però, a un certo punto, ce l’hanno fatta e sono diventati dei prodotti acquistabili. Non siamo più così sorpresi all’idea che un videogioco possa rimanere avvolto dal nulla per anni o che, pur non scomparendo, possa tradire svariate volte la data di uscita. E nemmeno siamo presi in contropiede se poi, alla fine, quei giochi vengono completati per davvero.
Se tutto quanto appena detto non fosse vero, dovremmo arrenderci all’idea che anche Metroid Prime 42 (2017 - ???) sia vaporware a tutti gli effetti. Non sono pronto all’eventualità, ho appena finito di digerire il complesso caso di Metroid Dread (2005 - 2021)3.
Le lascio una brochure(ware)
Spigolando in giro alla ricerca di una definizione soddisfacente di vaporware, sono inciampato in una sua variante: brochureware. Non me l’ero mai trovata di fronte prima e quindi direi che non esiste, almeno in riferimento ai videogiochi. Il concetto che vuole esprimere brochureware è interessante, da Free Dictionary:
Planned but non-existent product like vaporware, but with the added implication that marketing is actively selling and promoting it (they've printed brochures). Brochureware is often deployed to con customers into not committing to an existing product of the competition's.
Un prodotto pianificato, ma non esistente proprio come il vaporware, con in più l’aggravante che il marketing lo sta già promuovendo e vendendo (ne sono state stampate delle brochure). Il brochureware viene spesso proposto al pubblico per evitare che si interessi a un prodotto esistente della concorrenza.
Così come la definizione di vaporware nel settore dei videogiochi è differente rispetto a quella del software/hardware in senso più generale, altrettanto potrebbe dirsi del brochureware. Mi vengono in mente alcuni casi in cui la comunicazione di un prodotto sia stata pianificata appositamente per interferire con quella altrui. Quello più esemplare riguarda PlayStation 2. L’annuncio della console che avrebbe dovuto ereditare (e in effetti ereditò) il clamoroso successo di PlayStation avviene nel 1999. Con il senno di poi, i tempi non sono assolutamente sospetti: PlayStation 2 sarà commercializzata tra la primavera e l’autunno del 2000. Le promesse di Sony riguardo alla portata rivoluzionaria di PlayStation 2, fin dal 1999, sono però tese non solo o non tanto a ingolosire il pubblico, quanto anche a soffocare velocemente l’interesse che Dreamcast di Sega (console lanciata tra il 1998 e il 1999) stava suscitando. La tattica non era poi troppo dissimile da quella già elaborata da Nintendo qualche anno prima, quando con una campagna pubblicitaria invitava ad attendere il suo Nintendo 64, piuttosto che dare soldi alla concorrenza (Saturn di Sega e PlayStation di Sony). “Ne vale la pena?”, si chiedeva maliziosamente Nintendo, rispondendo banalmente con “solo se vuoi il meglio!4”.
Già che ci siamo, piccola pausa…
ASCOLTATE LA RÉCLAME
A proposito di PlayStation 2 e Dreamcast…
Chi ha vissuto lo scontro tra PlayStation 2 e Dreamcast non può scordarselo. Io non me lo sono scordato di certo. Qualche anno fa ho provato a rielaborare quanto era successo, dopo aver lasciato che scorresse un sacco di acqua sotto i ponti (e che il mio cuore di giocatore cresciuto con le console di Sega fosse completamente guarito). Potete leggere l’articolo su IGN Italia.
Dreamcast 15 anni dopo: lo shock che ha cambiato tutto - Per approfondire (clicca qui)
E ritorniamo a noi…
Qualcosa dello spirito del brochureware si è comunque diffuso anche nell’universo dei videogiochi. I grandi editori sono ormai molto puntuali nell’aprire le fasi di prenotazione dei loro giochi e in particolar modo delle edizioni limitate (e più costose). Ormai è consuetudine che accada appena viene dichiarato il periodo di lancio, prima ancora della data vera e propria. Ed è altrettanto frequente che le promesse sul momento della disponibilità del gioco vengano disattese, con progetti rimandati di mesi. Questo è palesemente “vendere un prodotto pianificato ma non esistente”.
All’inferno del development hell
Se l’utilizzo di vaporware scende, quello di development hell sale. Anche development hell (“fase infernale dello sviluppo”? Pessimo, meglio lasciarlo com’è) si adatta ai vari contesti in cui viene piazzato e non è raro trovarlo all’interno di articoli e discussioni legate al cinema e alla televisione. Qui è spesso utilizzato per descrivere un progetto che passa di mano in mano, senza che si riesca ad arrivare alla fine delle riprese (o all’inizio).
Un caso esemplare di development hell è quello di L’uomo che uccise Don Chisciotte: sono serviti quasi vent’anni all’ex Monty Python Terry Gilliam per portare a compimento il progetto. Set distrutti dal maltempo, problemi con i finanziamenti e acciacchi degli attori: in due decenni la produzione non si è fatta mancare nulla.
I know I said in an interview a while back we had a table read, got the script to a good place and it kind of entered development hell like these things tend to do. There hasn't been any work done on it in over a year and a half
So che in un’intervista ho detto che avevamo già avuto una lettura [della sceneggiatura], che la sceneggiatura è a buon punto e però ora siamo in development hell, sono cose che tendono a succedere. Nell’ultimo anno e mezzo non ci sono stati passi in avanti concreti
In questa notizia pubblicata nel 2016 da IGN5, Neil Druckmann di Naughty Dog, responsabile creativo di The Last of Us, spiega la situazione del film tratto dal gioco. Qualche anno dopo possiamo dire che è andato tutto molto male per il film, ma molto bene per la serie6. Quello che conta è che se cambiano le condizioni e i processi di sviluppo, cambiano anche i termini utilizzati per inquadrarli. Development hell riesce a descrivere meglio certi labirinti in cui finiscono per perdersi alcuni progetti, come quelli già citati di Dead Island 2 e Metroid Prime 4.
A dire il vero, se venti e passa anni fa avessimo avuto la stessa quantità di testimonianze che abbiamo oggi dalle file degli sviluppatori, avremmo probabilmente già potuto conoscere, capire e quindi parlare di development hell. Un’espressione piuttosto brutale, che trova terreno fertile nell’attenzione che oggi viene riservata a tutto ciò che riguarda le condizioni di lavoro nel settore dei videogiochi (e per fortuna). C’è stata una presa di coscienza, si è capito che è necessario ascoltare le voci delle decine o centinaia di persone che lavorano all’ennesimo potenziale gioco dell’anno. Non solo per farci raccontare quante ore di gioco siano previste, ma anche quante ore di straordinari siano imposte. Alcuni giornalisti hanno indagato a fondo e portato in superficie quello che non va: i periodi di superlavoro (crunch), ma anche il clima tossico, l’aggressività, gli squilibri nei rapporti umani. In questo contesto è facile capire perché development hell sia più attuale di vaporware.
Torna di nuovo utile Dead Island 2:
It definitely concerned us at the start. I remember when we took the project on, I was thinking ‘is this a poisoned chalice’, you know what I mean? I think, though, that once we announced the game, people were interested, because they knew it had been in ‘development hell’ for however long, and I think people were expecting it to be terrible, and so were pleasantly surprised when it wasn’t.
All’inizio la cosa ci preoccupava. Ricordo che quando abbiamo accettato il progetto, ho pensato: “è un calice avvelenato”, mi spiego? Ma quando abbiamo annunciato il gioco, la gente ha dimostrato un certo interesse, anche perché sapeva che era in development hell da una vita e probabilmente pensava che fosse una schifezza, per questo si sono tutti sorpresi che non lo fosse
Video Games Chronichle riporta7 le sensazioni di Dan Evans-Lawes, Technical Art Director di Dead Island 2 presso Dumbuster. Un po’ come L’uomo che uccise Don Chisciotte, anche Dead Island 2 è una rappresentazione ideale dell’inferno in cui può finire a rosolare un gioco. Lo è soprattutto se si prende come riferimento il primo scenario che si voleva descrivere con "development hell", cioè il susseguirsi di vari team di sviluppo sullo stesso progetto, che finiscono a turno per gettare la spugna. Nel 2018 era in mano a Techland, lo stesso gruppo che ha realizzato il primo episodio, poi è stata la volta di Yager (Spec Ops: The Line), quindi di Sumo Digital (Sackboy: A Big Adventure) e infine di Dumbuster (Homefront: The Revolution).
La buona notizia è che, in effetti, la critica ha trattato piuttosto bene il gioco8 e quindi si può uscire vivi anche dal development hell!
UPDATE
Disney Speedstorm è disponibile (in Accesso Anticipato)
Tra i giochi protagonisti dell’appuntamento dedicato ai giochi in Early Access/Accesso Anticipato, c’era anche Disney Speedstorm. Era quello del tweet perfetto e se non sapete di cosa stia parlando, ecco qua:
Disney Speedstorm è disponibile o, almeno, lo è la sua versione in Accesso Anticipato, con vari pacchetti che chiedono di spendere dai 30 ai 70 euro (arrotondo per decenza) per poter giocare. La curiosità è che, a un certo punto, Disney Speedstorm uscirà dalla sua fase ad Accesso Anticipato, per diventare un gioco free to play.
Come gli sono andate le cose finora? La recensione di Luke Reilly per IGN9 commenta in maniera sarcastica e molto efficace l’attuale condizione del gioco.
For those of you curious about how Speedstorm’s Early Access program works – and what you’ll receive for your money beyond simply being able to play it – a 5,000-word FAQ awaits you on its official website. This is roughly 4,950 more words than I generally like to absorb before playing what’s ostensibly a family-friendly kart racer. At any rate, if you come out the other side of that under the impression Speedstorm is a mobile game masquerading as a PC and console game, know that in its current Early Access state that feels like a fairly accurate way to describe it.
Se vi state chiedendo come funzioni il programma Early Access di Speedstorm - e cosa si ottiene pagando, al di là del poter giocare - potete rivolgervi alla FAQ di 5.000 parole sul sito ufficiale. Che sono circa 4.950 in più di quelle che mi aspetto di leggere prima di poter giocare a un gioco di kart per tutta la famiglia. Comunque sia, se la lettura vi lascia addosso la sensazione che Speedstorm sia un gioco mobile mascherato da gioco per PC e console, sappiate anche che, in questa sua fase in Accesso Anticipato, è un modo abbastanza preciso per descriverlo.
Grazie a Floriana Grasso per la rilettura e le correzioni.
I dischi che ho ascoltato questa settimana:
Cold War Kids - Loyalty to Loyalty
Black Rebel Motorcycle Club - Wrong Creatures
Interpol - The Other Side of Make Believe
"Il secondo capitolo della serie [di Dead Island] sembra essersi trasformato in un vero e proprio vaporware” - Leonardo Calamari, Everyeye (https://www.everyeye.it/notizie/dead-island-2-esiste-cancellato-556609.html)
Gioco in sviluppo presso gli studi imparentati con Nintendo di Retro Studios e annunciato nel 2017. Nel 2019 Nintendo stessa ha comunicato che il progetto era stato sostanzialmente riavviato con un differente team di sviluppo (Retro Studios, appunto).
La questione di Metroid Dread (Nintendo) è un po’ più articolata: il gioco non è mai stato annunciato ufficialmente al pubblico, ma svariate fonti (e mi metto tra queste) confermano che la data di uscita iniziale era stata addirittura prevista per il 2005.
Nel 2023 HBO ha realizzato una serie TV molto apprezzata di The Last of Us, presente in Italia grazie a Sky.