Le recensioni di Final Fantasy VII Rebirth
L'annosa questione delle libertà concesse a chi crea un remake (pochissime per qualcuno, molte di più per altri).
Non so dove foste voi nell’estate del 1997, io ho passato un paio di settimane sulla riva di ponente in Liguria e ho fatto tutto quello che facevano i diciassettenni d’estate: sono rimasto spesso chiuso in casa a giocare a Final Fantasy VII. Alternavo le sessioni con la banda di Cloud a quelle di ascolto di The Fat of the Land dei Prodigy, il che ha reso i ricordi delle due cose uno solo. Una palletta romantica di elettrodieselpunk, gente coi capelli a punta di qua e gente coi capelli a punta di là. Sembrava procedere tutto per il meglio, fino a quando non è venuto fuori che il terzo disco di gioco era una copia del secondo. Ah, i privilegi delle versioni preview per la stampa!
Questo per dire che ho un conto aperto con Final Fantasy VII. E visto che la nuova trilogia di remake di Square Enix è, appunto, una trilogia ed è pure bella corposa, ho maturato la convinzione che la mia Midgar rimarrà congelata in quell’estate. Ma la curiosità rimane ed è anche per quella che mi sono letto una manciata di recensioni di Final Fantasy VII Rebirth, la seconda puntata della nuova rilettura del gioco, disponibile da giovedì 29 febbraio per PlayStation 5.
Buona lettura!
Di chi è questo gioco?
All’ora spaccata suona il campanile che segnala la fine dell’embargo e nelle piazze virtuali delle riviste specializzate di tutto il mondo viene esposto il carretto col santo della giornata. Pochi giorni fa è stata la volta di Final Fantasy VII Rebirth, consegnato ai fedeli a ben quattro anni di distanza dalla prima parte. Seguendo questo ritmo, cosa assolutamente ipotizzabile, ci saranno voluti due lustri solo per la pubblicazione effettiva dell’intero progetto. Nello stesso lasso di tempo, in un’altra epoca, si era passati dal debutto del Super Nintendo (1990) a quello di PlayStation 2 (2000). Adesso le cose vanno così e non è il caso di lamentarsi, anche perché i risultati sono di altissimo livello (almeno se lo chiedete a quelli che recensiscono i videogiochi).
Quando si ha tra le mani la riedizione di un gioco, l’atteggiamento che guida l’analisi segue, solitamente, una di queste due convinzioni. La prima è che il gioco sia di chi lo gioca, che il ricordo dell’opera originale appartenga alla comunità e che quella memoria vada rispettata. La seconda è che l’autore della nuova interpretazione di quel materiale, chiunque esso sia e tanto più se coincide con quello dell’opera originale, sia per forza di cose titolato a fare tutto quello che vuole. Ed è in questo modo che la penso anche io. Quanto è stato fatto ed è stato apprezzato esiste e deve continuare a essere accessibile, quanto viene fatto dopo non lo sostituisce e deve rappresentare l’espressione di una filosofia e di una progettazione figlia di altri tempi o di altre persone o che vuole raggiungere altri obiettivi.
Le recensioni di Final Fantasy VII Rebirth che ho letto vanno spesso in contrasto su questa cosa. In linea generale mi pare che in Italia in tanti preferiscano mettersi nel primo gruppo, mentre negli Stati Uniti e in Inghilterra la critica sia più spesso dalle parti del secondo.
[…] la frase con cui si era concluso il famigerato capitolo 18 [di Final Fantasy VII Remake] anticipava letteralmente l'inizio di un viaggio ignoto: una dichiarazione d'intenti assolutamente inequivocabile, che pareva voler conferire una libertà creativa totale - e pericolosa - al team di Kitase, Nomura, Hamaguchi, Toriyama e Nojima.
Antonello Bello - Everyeye1
All’apertura della recensione scritta da Bello per Everyeye, la possibilità che il team di sviluppo di Final Fantasy VII Rebirth possa godere di una “libertà creativa totale” viene considerata “pericolosa”.
I cambiamenti alla trama si manifestano in maniera massiccia solamente verso il finale dell'avventura, dopo oltre settanta ore di contenuti illibati, sporcati solamente dai Numen che svolazzano all'ombra della tempesta in arrivo. Le modifiche apportate alle ultime sequenze sono ruffiane, pretestuose, per certi versi anche inutili: se il racconto fosse rimasto immutato ci troveremmo senza il minimo dubbio al cospetto di uno fra i migliori remake mai realizzati, ma l'assurda volontà di giocare con i fili del destino ha finito per trasformarlo "solamente" in un videogioco fuori dall'ordinario.
Lorenzo Mancosu - Multiplayer2
Per Mancosu, autore dell’articolo pubblicato da Multiplayer, la volontà di cambiare un destino già scritto (nel gioco del 1997) è “assurda”. Viene ribadito che non può quindi esistere altro esito se non uno che porta esattamente dove aveva portato quello dell’edizione di quasi trent’anni fa.
Se da una parte sono dettate dalla volontà di arruffianarsi i vecchi fan, dall'altra dimostrano l'incapacità di lasciare andare le cose così come devono andare, aprendo le porte a congetture e confusioni che non erano affatto necessarie e che non fanno bene a questo e al capitolo che chiuderà la trilogia.
Domenic Musicò - Spaziogames3
Su Spaziogames Musicò esprime in modo molto efficace il suo punto di vista sulla faccenda: la strada era già segnata, la storia già scritta, c’è un ordine naturale delle cose da cui non ci si sarebbe dovuti allontanare.
Va in direzione contraria Final Round.
Prima di prendere in mano il Dual Sense, però, fatemi e fatevi un favore: mettete i preconcetti in una scatola e lasciateli sulla soglia del menù principale accanto a quella bella Buster Sword o vivrete un’avventura al contrario durante la quale la checklist dei nostalgici impedirà la creazione di una sospensione d’incredulità duratura e non avrete orecchie per ascoltare la musica di questa nuova narrazione.
Simone Larivera - Final Round4
Le analisi di IGN, Polygon e VideoGames Chronicle non si pongono mai il problema che le scelte narrative di Final Fantasy VII Rebirth possano essere dissacranti e vengono discusse unicamente sulla base della loro efficacia. A questo punto è anche interessante chiedersi perché il senso del possesso5 si manifesti solo verso il racconto di Final Fantasy VII e non per quanto riguarda il sistema di combattimento, l’essenza delle fasi interattive di Final Fantasy VII, che è stata alterata profondamente. Nei confronti di quest’ultimo la critica è tutta compatta: funziona bene, è divertente, è profondo e impegnativo.
Come si stava bene, quando si stava bene!
La natura del progetto di Square Enix lascia ampissimo spazio a sgrufolate nella nostalgia, cosa che in genere assicura molte soddisfazioni, poco impegno e un senso di colpa tutto sommato gestibile. Scherzi a parte, è più che comprensibile che parlare di Final Fantasy VII, per chi scrive di videogiochi di professione ed è probabile che lo faccia da qualche tempo (considerata la caratura del gioco), costituisca un’occasione di piagnisteo agrodolce irresistibile. A me è successo molte volte, prima di decidere che dovevo provare a darmi una regolata. Ma come testimonia l’introduzione di questa puntata speciale, ci sono riuscito solo fino a un certo punto.
Anziché posizionare la proverbiale ciliegina sulla torta, gli autori hanno scelto di gettarci sopra un macigno, finendo per penalizzare l'opera proprio a un passo dalla linea del traguardo. Per loro grande fortuna, tuttavia, il resto dell'esperienza è una specie di macchina del tempo capace di trasportare gli appassionati direttamente nel cuore degli anni '90.
Lorenzo Mancosu - Multiplayer
Ancora Lorenzo Mancosu, su Multiplayer, dichiara perfettamente riuscita l’operazione nostalgia. Qui mi pare che sia interessante notare come la capacità di Final Fantasy VII Rebirth di emulare il gioco del 1997 venga ritenuta una “grande fortuna” per gli autori (a differenza degli slanci che hanno spinto a modificare parti della trama, come si legge in un passaggio precedente).
Giocare Final Fantasy VII Rebirth ci ha ridato ciò che avevamo perduto, ci ha restituito quelle vibrazioni emanate da una magia che solo i vecchi titoli erano in grado di creare, e allo stesso tempo ci ha fatto comprendere come siano esattamente queste le modalità attraverso cui bisogna onorare e rinverdire i fasti di un buon nome dalla qualità in sbiadimento.
Domenico Musicò - Spaziogames
Anche qui il tema non cambia: Final Fantasy VII Rebirth deve essere il gioco che già era, solo così può ridarci “ciò che avevamo perduto”. Musicò prende una posizione molto chiara e spiega senza lasciare spazio ai dubbi quali siano le uniche modalità possibili per un remake.
Polygon batte tutta un’altra strada.
Il tempo che ho passato con il gioco è stato tutto un susseguirsi di tentativi di ricordare i vari momenti di un GdR che non gioco da prima che parte dei miei attuali studenti fossero nati. Quali passaggi avrebbero potuto farmi capire che qualcosa era cambiato? Quali personaggi secondari mi ero totalmente scordato? Sia io che Rebirth stavamo giocando a Dov'è Wally?6 con la mia nostalgia.
Todd Harper - Polygon7
L’approccio è diametralmente opposto a quello degli esempi fatti più in alto. Harper non è alla ricerca di ciò che è cambiato, perché neanche è sicuro di ricordarsi come fosse il Final Fantasy VII del 1997 e si chiede continuamente se sia cambiato qualcosa e cosa. A qualcuno l’idea che chi sia chiamato a recensire un gioco simile possa non essere un fanatico dell’originale, può sembrare inaccettabile. Io credo, invece, che sia una scelta assolutamente sensata, se ti stai rivolgendo a un pubblico molto ampio.
Mi ritrovo assieme a un gruppo di gente di cui ho imparato a fidarmi e continuo a spingermi oltre in questo strano e sorprendente mondo, con addosso la sensazione che ci sia qualcosa che mi sfugge. Al proseguire del mio viaggio, le cose non si succedono come mi sarei aspettata… come mi ricordavo. Ho come delle visioni di cose che riconosco, ma che sembrano essersi trasformate in altro. Sono chi credo di essere? È questo il mondo che conoscevo? Muovermi al suo interno è un esercizio di memoria, reinterpretazioni e perseveranza.
Claire Jackson - Kotaku8
Con la sua recensione per Kotaku, Jackson si posiziona a mezza strada tra le posizioni più risolute viste negli esempi di alcuni articoli italiani e di quello di Polygon. Il giudizio è sospeso, ma a ben vedere questo paragrafo comunica la sensazione personale dell’autore del pezzo, cosa che da sempre contraddistingue lo stile di Kotaku, quello vicino ai blog e che in Italia fa ancora fatica ad attecchire (non che debba farlo per forza, sia chiaro).
Come già mi era sembrato evidente nel caso delle recensioni di Bayonetta Origins9, la tendenza delle recensioni dei siti specializzati storici italiani è di presentare articoli molto dettagliati, che se devono scegliere se puntare sui fatti o sulle emozioni, è più facile che propendano per i primi.
Mi ero segnato anche altro, ma è meglio che mi fermi prima di tracollare definitivamente nel papirone illeggibile e soporifero. Prima di darvi appuntamento alla prossima puntata, come sempre prevista per venerdì, una veloce lettura a tema Final Fantasy VII Rebirth che vi consiglio:
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