Cosa sono diventati i Quick Time Event
Disprezzati da qualcuno e insostituibili per altri, sono i QTE.
In questa puntata i protagonisti sono i Quick Time Event, una delle piaghe più apprezzate dei videogiochi dei nostri giorni. Dove con “nostri giorni” si intende: “degli ultimi vent’anni”. Ma attenzione, perché in fondo debuttano due nuovi appuntamenti. Blast from the past prende in prestito un’espressione tragicamente Nineties e recupera giochi per nulla blast, ma sicuramente from the past. Verba manent include la segnalazione di qualcosa di interessante da leggere, oltre a ricordare sottilmente che è sempre il momento giusto per ascoltare Frankie Hi-NRG MC.
Ringrazio anche chi ha partecipato ai sondaggi inclusi nella newsletter inviata una settimana fa, mi hanno aiutato a iniziare a farmi un’idea di chi mi legge, per quanto molto sommaria.
Buona lettura!
Un maestro dal passato
Non ho niente contro le sequenze animate nei videogiochi. In inglese si chiamano “cutscene” (o “cut-scene”) ed è in questo modo che siamo abituati a chiamarle. Quando si preferisce utilizzare l’italiano, la traduzione abituale da parte della stampa specializzata e dei giocatori è “filmato”. Le cutscene sono quelle fasi, contenute in un videogioco, in cui di fatto non si gioca, non è prevista un’interazione. “Filmato” è figlio di un’epoca in cui queste sequenze erano dei veri e propri filmati. Potevano essere realizzate con attori o attraverso la computer grafica, ma la sostanza era la stessa: erano scollegate dal gioco, sia perché mancava l’interazione, sia perché visivamente molto differenti. Da quasi vent’anni le cutscene sono quasi universalmente elaborate con lo stesso motore che muove il gioco, e quindi trovo un po’ impreciso parlare di “filmati”. Preferisco “sequenza animata” o “sequenza non interattiva”, che però è di un pesante che metà ne basta.
Dicevo: non ho nulla contro quei momenti in cui un gioco ti chiede di abbassare il controller e di lasciare fare a lui. Anzi, ci sono delle occasioni in cui una sequenza animata mi assicura di aver completato un pezzetto di gioco e di essere arrivato a uno snodo narrativo. Per chi ha spesso paura di non essere in grado di arrivare alla fine1 di un gioco, è una sensazione confortante. Posso però capire che a qualcuno dia fastidio vedere interrotto il flusso del gioco. I Quick Time Event, o QTE, nascono anche dalla voglia di attenuare quel prurito. E nascono proprio quando scompaiono i filmati, sostituiti dalle sequenze realizzate con il motore 3D del gioco.
I QTE (l’utilizzo dell’acronimo vince di svariate lunghezze sulla sua versione estesa) sono una mutazione moderna di un’idea di gioco nata da una necessità, quella di rendere in qualche modo interattiva l’esperienza di Dragon’s Lair. Il gioco di Cinematronics del 1983 è il più famoso tra quelli su laser disc, una tecnologia che, per farla breve, consentiva di mandare su schermo delle sequenze video bellissime da vedere, ma che essendo realizzate e registrate in anticipo e non calcolate in quel momento, non potevano in alcun modo essere modificate dal giocatore. Tutt’al più, chi giocava poteva dimostrare di poter accedere a questa o a quella sequenza successiva, come in una sorta di storia a bivi. E così Dragon’s Lair, il cartone animato delle sale giochi, inventava un nuovo modo di fare le cose: premendo il comando giusto, nel momento esatto, dal laser disc veniva letta la traccia che porta alla sequenza narrativa successiva e non quella che porta a una delle tante possibili morti di Dirk, il protagonista.
Quando ho incontrato per la prima volta Dragon’s Lair, mi sono quasi paralizzato sul posto. Probabilmente eravamo già attorno alla fine degli anni ‘80, ma vedere quelle scene sullo schermo di un coin-op al bar o nelle sale, era ancora stupefacente. Ricordo di essermi chiesto come fosse possibile che esistesse un gioco così bello e perché ce ne fosse solamente uno2. Una volta scoperti i limiti di Dragon’s Lair, ho pensato che fosse una mezza fregatura e, senza saperlo, stavo già iniziando a guardare i (futuri) QTE dall’alto in basso.
L’esperienza F.R.E.E. di Shenmue
Il ritorno in grande stile di meccanismi basati sull’eseguire velocemente dei comandi indicati in maniera molto evidente dal gioco stesso, si deve a Shenmue di Sega, pubblicato nel 1999 per Dreamcast. In quell’occasione la formula viene ripresa e codificata per le generazioni future. Questa è la definizione di QTE che Jennifer Scheurle elabora per un articolo su Polygon:
Quando parliamo di quick-time event in un gioco, ci riferiamo a una serie di pulsanti da premere, di solito secondo tempi ben scanditi, sia in un ordine predefinito che casuale, utile per poter oltrepassare una sequenza narrativa. Sbagliare nei QTE di solito porta alla morte o al dover riaffrontare l'intera sequenza.3
In Shenmue, realizzato da Yu Suzuki (già autore di OutRun, tra gli altri), quelli che lui stesso battezza come QTE aiutano a rendere più ricca l’avventura. Shenmue è probabilmente il primo esempio di colossal moderno dei videogiochi e veniva definito dai suoi autori con un altro acronimo: F.R.E.E., Full Reactive Eyes Entertainment4. Immagino che Am2, il team di Suzuki, si sia trovato a dover rispondere prima di altri a una domanda che serpeggia imbarazzata, quando si parla di giochi a mondo aperto in cui puoi fare tutto… sì, ma tutto cosa? Cosa si fa in questo gioco?
I QTE, che avremmo potuto chiamare “eventi a tempo”, rispondevano in piccola parte anche a questa esigenza: in giochi simili non puoi davvero elaborare un sistema di regole approfondite, con un relativo schema di controlli, per ogni fase. Movimento nel mondo, combattimento, guida, dialoghi e altro ancora: Shenmue è stato il primo a dover scendere a patti con la realtà e la realtà di questi giochi vuole che i vari elementi siano delle versioni alleggerite, anche annacquate se vogliamo, delle migliori interpretazioni possibili di loro stesse. Un esempio estremo, ma che permette di chiarire il senso, è il modo in cui si comportano le auto in Grand Theft Auto, che non è neanche avvicinabile alla sofisticatezza di quello visto in Gran Turismo. Il modo in cui Altair attraversa il suo mondo in Assassin’s Creed, cioè tenendo premuto un solo pulsante per arrampicarsi automaticamente ovunque, è per forza di cose una riedizione per educande del sistema di Prince of Persia (che pure ne è il genitore indiscusso).
Ecco, l’ho presa un po’ alla larga, ma i QTE erano inizialmente anche questo: un modo semplice per fare qualcosa che non si ha i mezzi per fare in un altro modo e che forse nemmeno andrebbe fatto in modo diverso. In periodi più recenti i QTE (o una loro deriva) sono addirittura diventati le ossa e i muscoli di interi giochi, come una buona parte di quelli dello studio francese Quantic Dream: da Heavy Rain a Detroit: Become Human. Lo stesso può dirsi di Until Dawn e della serie Dark Pictures Anthology, entrambi di Supermassive Games. Tutti questi casi sono accomunati dalla scelta di dare un taglio estremamente cinematografico ai giochi, limitando la possibilità di intervento del giocatore (meno può fare, più è difficile che “rompa” la scena che è stata allestita). Così ci si limita a farsi dettare i comandi da impartire attraverso il controller, per tutto il tempo.
Da qui a finire sul libro nero di chi esige un sistema di interazioni profondo e soddisfacente, è un attimo. Così i QTE hanno sì spopolato, ma sono stati spesso malvisti e mal raccontati da almeno una parte di pubblico.
Spopolato, certo. Anche con finalità diverse.
Nella serie di God of War, i QTE sono il mezzo per proporre sequenze cinematografiche. Chiedono al giocatore di imitare dei movimenti, degli sforzi, collegandoli a quelli impartiti con il controller. Il gioco si premura di evitare che l’esaltante sequenza di conclusione dello scontro con un boss prenda il via senza che ci sia un’interazione richiesta al giocatore, il tutto mantenendo inalterata la spettacolarità data dai movimenti di camera che ricordano quelli di un film.
In questo passaggio Scheurle spiega come i QTE vengano inseriti (e perché) in una delle serie di maggior successo dei videogiochi, God of War di Sony (realizzata principalmente da Santa Monica Studio).
Sopravvivere a se stessi
La diffusione dei QTE deve qualcosa anche a uno dei giochi d’azione più famosi dell’epoca contemporanea: Resident Evil 4 (Capcom, 2005). Il capitolo più riuscito di una delle serie di maggior successo di sempre ha arricchito la sua ricetta aggiungendo alle tantissime sparatorie e ai classici enigmi fuori di testa una valanga di quelli che ormai si chiamavano QTE. Ma nella riedizione del 2023 di Resident Evil 4, i QTE non ci sono più. O meglio, sono qualcosa che ci si avvicina, ma non risponde proprio alla perfezione alla definizione già data per buona inizialmente.
Direi che i QTE sono quasi del tutto assenti. Non è facile essere d’accordo su cosa sia un QTE, quindi, se anche non posso dire che non ce ne siano del tutto, di certo non ci sono inviti a premere pulsanti in mezzo a sequenze animate.
Queste sono le parole di Yoshiaki Hirabayashi, Producer del remake di Resident Evil 4, a IGN5. Il passaggio su cosa si possa davvero archiviare come QTE, e cosa invece no, è sensato e testimonia quanto sia ormai capillare la diffusione di alcune soluzioni tipiche dei primi quick-time event, nell'organismo dei videogiochi di oggi. Forse non saranno proprio sequenze con pulsanti da premere e che possono portare alla morte istantanea, ma anche nel nuovo Resident Evil 4, come in una miriade di altri giochi d'azione, ci sono tante occasioni di interazione che si allontanano dal sistema di controllo standard del resto del gioco e dai suoi meccanismi fondamentali. Il risultato è stato generalmente apprezzato dalla critica.
La modifica che abbiamo accolto con più gioia, ad ogni modo, è l'eliminazione dei QTE. Reliquia di un gaming passato e fin troppo punitivi nell'originale, qui sono stati tolti del tutto, con una totale trasformazione delle fasi che ne facevano uso.
Aligi Comandini - Multiplayer6
Dove Capcom ha tagliato, con intelligenza, è eliminando o rielaborando le parti più stupide del gioco originale. I quick time event di un tempo, con Leon che fuggiva per non farsi travolgere da dei massi o da una gigantesca statua meccanica, con la possibilità di fallire per questione di millisecondi e dover rifare tutto, sono stati ripensati.
Michael McWhertor - Polygon7
Ci sono tanti altri esempi di situazioni che non possono essere chiaramente definibili come QTE, eppure ci si avvicinano moltissimo. In alcuni giochi un attacco di successo può essere coronato da una mossa finale tanto spettacolare quanto cruenta, la cosiddetta “finisher”. Mosse simili sono presenti in Gears of War, quando si infila la sega a nastro nel collo di una locusta, ma anche in Doom (2016), con il marine dello spazio che trancia e squarta i demoni. In entrambi i casi, solo due di tanti possibili, quegli attacchi si attivano premendo il giusto pulsante quando il gioco lo suggerisce. “Forse non vi sembreranno QTE, ma allora come volete chiamarli?”, si chiede Tim Rogers su GameDeveloper8, in un articolo che porta tanti altri esempi che richiamano alla mente i quick time event.
Prendere delle scelte costituisce una buona parte del divertimento in Mass Effect e il gioco permette al giocatore di modificare la storia in tanti modi, di solito presentati con il classico menu radiale dei dialoghi. In Mass Effect i QTE arricchiscono questa meccanica, inserendo gli effetti [delle scelte] all’interno delle sequenze animate.
Cary Chichester - GameDeveloper9
In un altro articolo pubblicato di nuovo da GameDeveloper si porta anche l'esempio della serie di Mass Effect (Bioware), ed è una riflessione particolarmente interessante. Appena un po’ meno a fuoco di questo video che chiude il discorso con grande eleganza e profondità.
BLAST FROM THE PAST!
Una famiglia in crisi
Per la nuovissima serie “Giochi di cui ci eravamo totalmente scordati l’esistenza”, date il benvenuto a Incredible Crisis. Pubblicato nel 1999 da Tecmo, Incredible Crisis tenta di infilarsi nella scia di PaRappa The Rapper (SCE, 1996), che aveva gettato le basi per i giochi ritmici. L’essenza dei “rhythm’n game”, come venivano e vengono complicatamente riconosciuti, sta nel premere il pulsante giusto quando un indicatore si sovrappone a un altro. Se non è un QTE, condivide comunque una parte del suo codice genetico.
Incredible Crisis è totalmente scemo, come sanno esserlo solo i migliori videogiochi giapponesi e ne ricorda un altro molto sopra alle righe: Elite Beat Agents (Nintendo, 2006). Dietro al progetto c’è Kenichi Nishi, che, tra il 2003 e il 2008, realizzerà altri giochi piuttosto strambi: Giftpia, Chibi Robo e Captain Rainbow. Lo studio di Incredible Crisis è Polygon Magic, che aveva debuttato solo nel 1996 con Fighter’s Impact, il tentativo fallito numero seicentododici di tirare fuori un altro Street Fighter II.
BONUS!
Faccia a faccia con l’interfaccia
C’è un sito che fa una cosa abbastanza fuori di testa: grazie all’aiuto della sua comunità, raccoglie gli elementi che costituiscono le interfacce grafiche dei videogiochi. Dopo averli raccolti, li suddivide per funzione e contesto, mettendoli a disposizione di studiosi e curiosi. Il risultato è stupefacente.
Clicca qui (per approfondire).
VERBA MANENT
Digital Eclipse contro l’eclissi digitale
C’è uno studio che si è specializzato nel riproporre i videogiochi delle generazioni passate, si chiama Digital Eclipse. Solo nel 2022 ha lavorato alle raccolte Teenage Mutant Ninja Turtles: The Cowabunga Collection e Atari 50: The Anniversary Celebration.
Digital Eclipse è sulla scena da oltre trent’anni, ma solo da poco mi pare abbia trovato la sua strada, da quando il timone è finito tra le mani di Frank Cifaldi, Head of Restoration e appassionato di storia dei videogiochi. Oggi Frank Cifaldi ha lasciato il gruppo e si occupa della Video Game History Foundation10, ma Digital Eclipse continua il suo percorso mirando all’obiettivo fissato qualche tempo fa: diventare l’equivalente della Criterion Collection per i videogiochi11.
Qualche tempo fa Gizmodo ha pubblicato un’interessante approfondimento e intervista con i responsabili di Digital Eclipse.
Per leggere l’intero articolo (clicca qui).
Grazie anche a Floriana Grasso per la rilettura, le correzioni e la speranzapazienza.
I singoli che ho ascoltato questa settimana:
Bethany Cosentino - Natural Disaster
The Hives - Bogus Operandi
Queens of the Stone Age - Emotion Sickness
Per tanti motivi, ma anche perché abituato a dover giocare per recensire. Quindi con un conto alla rovescia in mezzo alla fronte e una clessidra puntata a una tempia.
Questo è quello che credevo all’epoca.
Ripensandoci oggi, mi viene in mente la possibilità che Suzuki stesse cercando un modo per catalogare i giochi che non appartengono precisamente a un solo genere. Come è capitato spesso al geniale autore giapponese, ha precorso i tempi anche quella volta. Forse doveva solo evitare di preoccuparsi delle etichette, oggi la gran parte dei giochi derivati (anche) da Shenmue, sono “avventure”. E tanti saluti.
The Criterion Collection si occupa di recuperare, preservare e riproporre film che hanno fatto la storia, in edizioni finemente curate e dedicate a un pubblico di ultra-appassionati. Cifaldi sulla “Criterion Collection dei videogiochi” - https://www.vice.com/en/article/nnedam/how-mega-man-legacy-collection-is-teaching-the-video-games-industry-to-respect-its-heritage