Capire l'Electronic Entertainment Expo
Anche la più grande fiera di settore ha un suo vocabolario.
C’è la possibilità che abbiate sentito di questa cosa dell’E3 2023 che è saltato. L’appuntamento più tradizionale, il trade show per eccellenza dell’intero settore dei videogiochi, quest’anno non ci sarà. Il primo risultato è stato assistere alle reazioni di chi negli anni ha riempito i padiglioni del centro convegni di Los Angeles a fine primavera, che fosse stato accreditato come sviluppatore, editore, giornalista o altro ancora. Quindi, per non sbagliarmi, mi ci metto dentro anche io e tanti saluti alle pretese snobistiche e ai voli altissimi tentati da questa newsletter. Anzi, mi correggo: in questa puntata tenterò di mascherare ricordi struggenti e di soffocare il magone, fingendo di passare in rassegna le parole che negli anni hanno accompagnato e caratterizzato le discussioni relative all’E3 (a volte solo tra gli addetti al settore). Dopotutto, tra insegnare a Los Angeles e insegnare agli angeli, ci passa davvero poco.
Buona lettura!
Onboarding, ma soprattutto offboarding
C’è un termine utilizzato da chi i videogiochi li fa, ma che per il momento non è ancora finito dentro ai videogiochi e, stando così le cose, rimane al di fuori del perimetro di ciò a cui questa newsletter vuole dedicarsi. Quel termine è “onboarding” ed è il modo in cui è possibile che venga identificata una delle fasi preliminari di un videogioco, in fase di sviluppo. Con “Onboarding” si intendono i momenti in cui chi gioca viene preso per mano e accompagnato nei primi passi della sua esperienza. Non è unicamente il classico “tutorial” (“addestramento”, riferito ai veri e propri meccanismi dei giochi e a quello che si deve sapere del sistema di controllo), ma si estende all’accoglienza vera e propria di chi ha il controller tra le mani: la creazione dell’avatar, una sequenza animata che introduce il mondo di gioco e altro ancora. “Onboarding”, di suo, è come comunemente si parla della fase di inserimento di un neo assunto in una nuova realtà lavorativa.
Entertainment Software Association
“We certainly spent quite a bit of time during the onboarding process of introducing and connecting them with exhibitors so they were directly hearing what the needs were and could craft a strategy and a show around those needs.”
Senza dubbio abbiamo speso un bel po’ di tempo per il processo di inserimento [di ReedPop] e per metterli in contatto con gli espositori, così che potessero avere una conoscenza diretta delle loro necessità ed elaborare una strategia e uno show che le soddisfacesse.
Intervistato da GamesIndustry1, il CEO e presidente di ESA (Entertainment Software Association2) Stanley Pierre-Louis inizia a spiegare come è stato affrontato il passaggio di consegne che, secondo alcuni, è alla base del fallimento di questa edizione della fiera di Los Angeles. Ci sono già un po’ di “parole” su cui vale la pena fermarsi. ESA è l’associazione che riunisce i maggiori editori e sviluppatori di videogiochi negli Stati Uniti ed è l’entità che ha curato l’allestimento dell’Electronic Entertainment Expo (E3) dal 1995 a oggi. L’Electronic Entertainment Expo è (stata?) l’esposizione di riferimento per l’intero mondo dei videogiochi, per quasi trent’anni. ReedPop è il partner che ESA ha scelto per ripensare l’E3, dopo anni di assenza o di presenza solo in forma digitale, per limiti e difficoltà imposte principalmente dalla pandemia da Coronavirus.
Più che di onboarding, ha senso parlare oggi di “offboarding”, cioè di esodo: quello a cui hanno aderito praticamente tutti i più grandi publisher di videogiochi che, nel giro di una manciata di giorni a fine marzo3, hanno ufficializzato che non si sarebbero presentati a questo nuovo E3 (o che hanno evitato di dire che ci sarebbero stati, il risultato è lo stesso). Portando alla cancellazione dell’edizione 2023.
Electronic Entertainment Expo
“In questi tempi di convergenze tra Hollywood e Silicon Valley non si poteva scegliere, probabilmente, città migliore di Los Angeles per tenere l’Electronic Entertainment Expo (E3), la nuova fiera esclusivamente dedicata a videogiochi e divertimento interattivo che ha sostituito il Consumer Electronic Show estivo che si teneva tradizionalmente a Chicago.”
“Questi tempi” sono quelli della primavera del 1995, quando la prima edizione dell’Electronic Entertainment Expo apre i battenti in California e accoglie i grandi nomi dei videogiochi, stanchi di essere bistrattati dall'organizzazione del Consumer Electronic Show4. Le parole qua sopra sono di Riccardo Albini, stampate sul numero 40 di Game Power, storico mensile dedicato ai videogiochi per console pubblicato in Italia tra il 1991 e il 1997 e realizzato dallo Studio Vit, di cui Albini è fondatore e direttore5. E se mi permettete una parentesi: Albini ha contribuito in maniera essenziale a formare il lessico dei videogiochi in Italia, quindi è ospite (virtuale) molto gradito di questa newsletter.
Tra il 1995 e il 2023, è successo qualcosa. È successo molto, in effetti, ed è anche cambiato il modo in cui abbiamo iniziato a chiamare l’Electronic Entertainment Expo, che è diventato solo E3. Al contrario di quanto suggerito dagli Elii per certi pantaloni, qui lo ha deciso l’ESA. Nel 2007 e il 2008, complice un cambio di formula e lo spostamento a Santa Monica, si fa la conoscenza dell’E3 Media and Business Summit, ma, appunto, dura giusto il tempo di capire che non durerà e dal 2009 si torna a E3.
Media Briefing
Se varcare la soglia del Convention Center per farsi stordire dall’E3 è già un punto di arrivo per una larga fetta di appassionati, il passo successivo è riuscire a ricevere un invito per le conferenze stampa. “Media briefing” è solo uno dei modi in cui gli incontri per la stampa sono stati identificati negli anni. Quando poi quegli stessi eventi non sono più stati dedicati esclusivamente alla stampa, si è passati a formule differenti e più colorate. Nel 2019 Bethesda ha definito la sua serata uno “showcase” (una “vetrina”, un’esposizione) e non è stata la sola. Proprio Bethesda nel 2015 aveva inaugurato i “media briefing” pensati tanto per i giornalisti, quanto per i fan, che potevano sperare di ottenere un invito attraverso una selezione online. Ricordo quella serata6 perché, per la prima volta, l’approccio della stampa, tutto sommato composto, veniva sovrastato dalle urla esaltate di sacche di fan sparse qua e là per il Dolby Theatre.
Per molto tempo “le” conferenze dell’E3 sono state quelle di PlayStation, di Xbox e di Nintendo. Erano le uniche previste e anche quelle più ricche. La settimana di Los Angeles veniva aperta da loro e una parte consistente delle novità che ci si poteva aspettare era svelata proprio in quelle occasioni e ancor prima che si spalancassero le porte del Convention Center sulla South Figueroa Street. Negli anni si sono aggiunti gli appuntamenti di Ubisoft, di Electronic Arts e quello già citato di Bethesda, i più regolari. Hanno avuto vita più breve e spesso tormentata gli incontri di Konami, Activision, Square Enix (e ci sarà di certo qualcuno di cui mi sto scordando). Mentre meriterebbe uno studio a sé la “conferenza” di quegli sciroccati di Devolver Digital7, perfettamente in linea con il loro spazio espositivo tipico dei giorni dell’E3: un parcheggio trasformato in spazio chill out, in aperta contestazione dei prezzi per gli stand imposti dall’ESA.
Nelle edizioni più recenti i media briefing si sono spesso trasformati in party, almeno nel caso di PlayStation e Bethesda, che hanno tradizionalmente scelto di organizzare le “conferenze” nel tardo pomeriggio. E così, dopo un paio di ore di trailer, annunci e promesse, il pubblico veniva fatto defluire direttamente in ampie zone costellate di postazioni di gioco e, soprattutto, cibo. Nintendo ha detto addio ai media briefing nel 2012, a quel punto affidandosi unicamente a una presentazione delle proprie novità con un video pre-registrato, ma diffuso nei giorni dell’E3 e ovviamente accessibile a chiunque.
Concourse Hall, West Hall, South Hall
C’è uno spazio aperto che collega i due padiglioni principali del centro convegni di Los Angeles. È una camminata di qualche centinaio di metri, da percorrere solitamente sotto un bel sole e che diventa l’unica occasione delle giornate di fiera per respirare un’aria differente da quella climatizzata. Lì può capitare di incontrare qualche collega e di innescare all’incirca sempre lo stesso scambio: “Come va? Hai già visto Giocone Apocalittico? Ora dove vai, South o West?”.
A un’estremità della camminata c’è la West Hall, la sala dei Re: per molto tempo dentro ci sono stati gli stand oceanici dei tre “platform holder”, Sony, Microsoft e Nintendo. Attorno a loro rimanevano le briciole, qualche metro quadro per iniziative specifiche, magari un’associazione a tutela della preservazione dei videogiochi. Ma in linea generale la West Hall era roba loro. Poi Microsoft si è defilata e tutto quanto ha iniziato a scricchiolare.
La South Hall, agli antipodi rispetto alla West Hall, ha il compito di abbracciare tutti gli altri e così facendo diventa quasi un gigantesco flipper, con luci e suoni e una densità umana che sfida qualsiasi deodorante. Ubisoft, Rockstar, 2K, Capcom, Konami, Sega, Activision, Electronic Arts: questi erano i signori della South Hall, prima che anche tra di loro cominciassero le defezioni. Ha cominciato Rockstar in tempi non sospetti (era il 2010), poi si sono accodate Electronic Arts (che dal 2016 ha organizzato il suo “evento per i fan”, EA Play, sempre in città) e Activision (in questo caso limitandosi agli incontri negli hotel nelle immediate vicinanze della fiera).
Rimane la Concourse Hall, posizionata tra le due, con gli accessi nei lunghi corridoi interni che le uniscono. Visti i prezzi richiesti per avere uno spazio nella West Hall o nella South Hall, non sorprende che nella più piccola e tutt’altro che scintillante Concourse Hall ci siano spesso finiti i nomi meno noti del settore. Per qualche anno ci si trovavano minuscoli sviluppatori asiatici, produttori di periferiche su cui non era facile scommettere e poco altro. In tempi più recenti ci sono stati editori indipendenti di tutti i tipi, distribuiti in una serie di stand squadrati, bianchi, chiusi e senza particolari guizzi estetici. Ma se chiedete a chiunque sia stato all’E3 nelle ultime edizioni, vi racconterà di almeno un gran bel progetto scoperto in quei cubicoli (io voto per il solito The Last Night8).
MR (Meeting Room) e BCD (Behind Closed Doors)
Le settimane che precedono l’E3 sono piuttosto frenetiche. Quelle dei giornalisti che stanno per andarci, sono fatte di lunghe telefonate con gli uffici dei vari editori (o di chi ne gestisce la comunicazione). È in queste telefonate che si fissano gli “slot” per gli appuntamenti, cercando di far incastrare le disponibilità di chi propone, con la propria agenda. Tra le informazioni essenziali c’è ovviamente il giorno. Con il progressivo disperdersi dei grandi publisher attorno all’E3, ma fuori dal centro convegni, ci si è ritrovati a sentirsi proporre appuntamenti anche tre o quattro giorni prima dell’inizio della fiera. Accordato il quando, rimane da capire il dove.
All’inizio degli anni Duemila, lo “showfloor” dell’E3, il suo spazio espositivo, è ancora il centro dell’azione. Chi ha un accredito per entrare, inizia a perdersi per i tre padiglioni principali e a darsi delle priorità, senza doversi preoccupare di trovare chissà quale fila di fronte alle innumerevoli postazioni di prova dedicate alle versioni preliminari dei giochi. Con il passare del tempo lo showfloor perde progressivamente d’importanza, almeno per la stampa specializzata. Una parte molto consistente degli incontri avviene altrove, sopra a quei padiglioni, nei corridoi anonimi e colorati solo da quelle deprimenti moquette che ci hanno lasciato in eredità gli anni ‘80 e ‘90. È lì che ci sono le “meeting room”, in sostanza gli spazi in cui si consumano gli incontri di lavoro e si mette da parte la grandiosità dello showfloor. Negli spazi delle meeting room ci sono anche postazioni da gioco per provare le stesse versioni demo già presenti sullo showfloor, quasi sempre ci si trova anche qualcosa da bere e, quando la buona sorte ha deciso di sorriderti, anche qualche snack o addirittura una mezza idea di pranzo.
Nelle telefonate si iniziano anche a fare largo indicazioni che possono già far capire a cosa si andrà incontro, una volta arrivati a Los Angeles. L’appuntamento può essere “un BCD”, che equivale a “behind closed doors”, cioè una presentazione a porte chiuse. Il gioco oggetto della presentazione non sarà, quindi, a disposizione degli occhi indiscreti del numeroso pubblico che affollerà lo showfloor. Potrà forse essere mostrato attraverso un trailer in rotazione sugli enormi schermi dello stand, ma per scoprirlo nel suo habitat naturale, per capire come dovrebbe “muoversi” quando c’è un controller di mezzo e non un montaggio hollywoodiano, allora tocca sperare di essere sull’elenco di chi può godersi la presentazione “BCD”. Uno degli esempi più rappresentativi di gioco presentato a porte chiuse è Cyberpunk 2077 all’E3 2018. Chi aveva il “biglietto”, non poteva fare a meno di dire a tutti gli altri che dovevano per forza provare a entrare a loro volta: spettacolo garantito9.
Hands off e Demoist
Negli anni Dieci la quantità di progetti mostrati solo a porte chiuse si è fatta sempre più intollerabile e la mia sensazione è che si tratti, troppo spesso, di un modo per mantenere le distanze tra il gioco stesso e la stampa, a cui non viene concesso di metterci le mani sopra. In questi casi si parla di “demo hands off”, che si contrappone a “demo hands on” (quest’ultima è una “prova con mano di una demo”, ma la prima come la traduciamo? Aiuto!). Tutto ciò che si conoscerà del gioco arriva da quanto viene mostrato dalle persone responsabili della presentazione. In questi casi diventano centrali le figure dei “demoist”. Un demoist è chi ha il controller in mano e procede in maniera meccanica all’interno del gioco, dall’inizio alla fine della (solitamente breve) dimostrazione. In molti casi non è il “demoist” a parlare del gioco, limitandosi a giocarci: sa quando fermarsi, per permettere a chi sta parlando di sottolineare questo o quello, e conosce il frame esatto in cui voltarsi a destra per attivare la sequenza perfetta di movimenti e interazioni. Lo sa perché la sua è una performance studiata ossessivamente nelle settimane precedenti e, a quel punto mandata a memoria.
In occasione della presentazione a porte chiuse di un gioco molto atteso per PlayStation 4, ho assistito a un teso scambio di occhiate tra demoist e presentatore (in mancanza di un termine migliore). Un giornalista si era spazientito: la sequenza di gioco mostrata era identica a quella già fatta vedere in mondovisione qualche giorno prima, in occasione del media briefing di PlayStation. Possibile che fossimo stati chiamati a vedere da vicino il gioco… solo per scoprire che non c’era proprio nulla di nuovo e di differente pensato per gli incontri con la stampa? Il giornalista aveva chiesto di poter vedere cosa ci fosse a sinistra, piuttosto che a destra del percorso già prefissato. Il demoist ha lanciato lo sguardo al presentatore, a cui si è immediatamente seccata la bocca (era evidente). Dopo un mezzo balbettio, i due si sono trovati concordi nel definire inammissibile il ricorso del giornalista, tra una certa serie di scuse di circostanza.
Ci sono un sacco di altre parole dell’E3, a sufficienza da organizzare un’altra puntata a tema. Anche se trovo sempre più insopportabili le richieste di lasciare commenti e gli inviti a esprimere la propria opinione alla fine di un articolo (perché è sempre e solo il modo di elemosinare un po’ di “engagement”), per questa volta vi invito a farlo. L’E3 unisce la parte più romantica degli appassionati di videogiochi, annullando le distanze tra chi ne scrive o ne parla e chi legge o ascolta. Ci sono sempre mille curiosità attorno alla fiera di Los Angeles e quindi sì, se ne avete di irrisolte o vi interessa conoscere qualcosa nello specifico, posso provare a rispondere. Se invece va bene così, lasciamo la sezione commenti bella intonsa (“anche questa volta”, per parafrasare il mio primo caporedattore).
Grazie a Floriana Grasso per la rilettura e le correzioni.
I dischi che ho ascoltato questa settimana:
Mudhoney - Every Good Boy Deserves Fudge
Depeche Mode - Memento Mori
Per la precisione è “Mega Direttore Indispensabile”, secondo il colophon di quel numero della rivista.
In quel caso il gioco veniva mostrato in una sorta di piccolo teatro, con decine di posti a disposizione e più presentazioni ogni ora. Non era poi troppo difficile riuscire a farsi mettere in lista dal responsabile delle pubbliche relazioni del proprio paese per CD Projekt, editore del gioco.
Gran bel pezzo. Per me, che ho vissuto i videogiochi soprattutto da adolescente nella prima metà degli anni 2000, E3 è sempre stato sinonimo del numero di giugno delle mie riviste preferite, quello in cui si svelavano tutte le grandi novità in arrivo. In un'epoca pre-internet era un appuntamento imprescindibile