I controller à la carte e il mistero dei joypad
Oggi abbiamo nomi da ristoranti gourmet, ieri ne usavamo uno solo (ma perché?).
Vi do il bentornato alle Parole dei videogiochi. “Vi do il bentornato” è una formula davvero pessima, vero? È lunga, fangosa e poco credibile, nessuno la userebbe per davvero. Non potevo scegliere un più tranquillo, veloce, intuitivo: “Bentornati”? Già, come no… e la necessità e la voglia di restare neutrali nel genere, dove le mettiamo? “Vi diamo il bentornato/benvenuto” è una costruzione classica che mi è capitata tra le dita o che ho visto utilizzare molte volte durante le fasi di adattamento all’italiano di un videogioco. Perché, quando non hai certezza del genere con cui si identifica chi sta giocando e leggendo, devi aggirare i limiti dell’italiano (che ovviamente non prevede alcuna forma neutra).
Fine divagazione, passiamo a noi. Oggi si parla di controller e di come stiano conoscendo una fase di estrema ricercatezza estetica, soprattutto cromatica. Il fatto è che mi serviva una scusa per buttare dentro un paio di immagini di questi bellissimi joypad (eh?) dai colori così sgargianti e dal dettaglio un po’ perverso (controllate la gomma sulla levetta analogica nell’immagine qua sotto!). Quindi parliamo di colori, di controller e della storia di come abbiamo chiamato questi affari in Italia.
Buona lettura!
Nell’era dei controller dai nomi stellati
Non c’è più quel florido mercato di accessori un po’ malmessi a cui è abituato chi gioca da qualche anno. L’ultimo periodo davvero florido per i controller e affini rigorosamente non ufficiali, è probabilmente stato quello di PlayStation 2, Xbox e GameCube. Sono passati all’incirca vent’anni e la mia sensazione è che, da quel momento, il mercato delle periferiche “third party” sia andato morendo. O meglio, sia cambiato radicalmente. Oggi esistono ancora, ma tendono a offrire soluzioni alternative e differenti rispetto ai controller ufficiali per PlayStation, Xbox e Switch, magari lavorando addirittura in collaborazione con Sony, Microsoft e Nintendo. Non si cerca più soprattutto di sostituire i propri prodotti a quelli “di marca”, ma ad affiancarli: si pensi ai controller dedicati ai picchiaduro o a quello per professionisti o aspiranti tali, settore che di recente è stato in parte assorbito anche dalle stesse proposte ufficiali di Microsoft e Sony.
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Il ricarico sui controller per i tre “platform holder”, le grandi sorelle che si dividono il mercato dei videogiochi su console (Sony, Microsoft e Nintendo), è evidentemente più interessante rispetto a quello relativo alle console vere e proprie. E così si è ampliata l’offerta proprio delle periferiche ufficiali, che rimangono sostanzialmente identiche nelle caratteristiche, ma differenti nell’estetica. Tanto da aver raggiunto un livello di sofisticatezza da ristorante gourmet. Se al posto del pomodoro, in una pizza margherita, ci finisce il “pomodoro pelato di qualità superiore 100% italiano Gustarosso1”, allora anche dalle nostre parti può cambiare qualcosa. Le parole sono importanti2, dopotutto.
Per la famiglia Xbox è appena stato annunciato un delizioso controller verde, un verde bello luminoso, coi pulsanti neri e le lettere di nuovo verdi. Non è semplicemente un controller di Xbox di colore verde, è “il nuovo controller Velocity Green”. Si capisce al volo perché non c’è nessuna corsa alla traduzione3: “verde velocità”? Solo un mese prima era stata la volta del controller per Xbox “Stellar Shift”. Velocity Green è la variante numero 40 dei controller introdotti da Microsoft assieme a Xbox Series X e Series S: quaranta edizioni dal novembre del 2020 a oggi. La gran parte riguarda collaborazioni specifiche e offerte limitate nel tempo, ma quelli che restano hanno tutti nomi esotici. Prima di “Stellar Shift” c’è stato “Lunar Shift”. Abbiamo avuto “Mineral Camo” e abbiamo ancora “Deep Pink”, ma anche “Electric Volt” e “Pulse Red”.
Anche Sony ha dimostrato una certa costanza nell’elaborare nuove edizioni per il controller di PlayStation 5 (il DualSense4). Le edizioni speciali sono molte meno rispetto a quelle concepite da Microsoft, ma quelle sempre disponibili e che quindi prescindono una collaborazione speciale, sono all’incirca lo stesso numero. Qua abbiamo il modello “Midnight Black” (si poteva fare di meglio), quello “Cosmic Red”, l’aggressivo “Nova Pink” e il sognante “Starlight Blue” o il profondo “Galactic Purple”, a cui si aggiunge il dimenticabilissimo “Grey Camouflage” (lontano dal menu gourmet anche nel nome, questa volta).
Nintendo ha scelto una strada più prevedibile. Alle prese con i Joy-Con, la cui natura doppia e semi-speculare si presta a giochi di colori da accoppiare, ha preferito mantenersi a distanza dai nomi ricercati. Quando non si parla di edizioni dedicate a singoli giochi e che riprendono il titolo del gioco stesso (per esempio “Animal Crossing Limited Edition”), solitamente i colori dei Joy-Con rimangono ancorati al “neon” con cui abbiamo conosciuto quelli standard (“Neon Blue” e “Neon Red”). Così ci sono i “Neon Yellow”, “Neon Green”, “Neon Pink” e… ben poco altro. Si segnalano quelli “Mario Red”, ma insomma tanto sono stralunati i giochi di parole dentro i mondi virtuali di Nintendo, quanto sono prevedibili queste etichette affibbiate ai controller di Switch.
A proposito di “controller”, termine su cui sono convenute sia Sony che Microsoft e Nintendo (almeno con il Pro Controller per Switch), ve li ricordate quando erano “joypad”?
Il mistero del joypad
“Mi sa tanto che dovrete comprarvi il joypad a sei pulsanti”, avvertiva la recensione di Street Fighter II Special Champion Edition pubblicata da Game Power nel 19935. Il blockbuster per eccellenza della prima metà degli anni Novanta, Street Fighter II (Capcom), faceva la sua prima apparizione su Mega Drive, la console di Sega che rivaleggiò con il Super Nintendo per il dominio dell’epoca a 16 bit. Proprio il Super Nintendo, per un anno6, aveva potuto godere in esclusiva dell’unica versione da casa del picchiaduro che aveva trasformato le sale giochi e dato un nuovo impulso all’intero settore. Le varie edizioni di Street Fighter II, pubblicate tra il 1991 e il 1993, hanno monopolizzato le attenzioni di una generazione di giocatori come probabilmente nessun gioco era riuscito a fare prima. L’idea di dover acquistare anche “il joypad a sei pulsanti” per giocarci su Mega Drive non sembrava, allora, un'esagerazione. Dopotutto, limitarsi ai tre pulsanti del control pad standard della console Sega sarebbe stato inaccettabile per chiunque aveva passato mesi al bar o in sala giochi in attesa di poter rivivere le stesse emozioni in cameretta.
Pausa! Momento spam romantico
La recensione di Game Power di Street Fighter II Special Champion Edition arrivò con qualche settimana di ritardo rispetto alla disponibilità del gioco (per motivi tipici del mercato dell’epoca), ma vogliamo parlare di quella pubblicata da IGN Italia nel 2020, a ben ventisette anni di distanza dall’uscita del gioco?
In pieno lockdown da Covid-19, ho deciso di salutare IGN Italia, dopo otto anni, con la recensione di uno dei giochi che più ho atteso e su cui mi sono consumato poi per mesi. Ho provato a farlo fingendo di essere ancora nel 1993, ma non essendo più un tredicenne.
Potete leggerla cliccando qui.
Il commento finale:
Gli amori più grandi sono quelli più travagliati? Forse. Di certo Street Fighter II’: Special Champion Edition è stato atteso in maniera dilaniante dai giocatori che hanno a casa un Sega Mega Drive. Il risultato, per loro e nostra fortuna, è una splendida conversione. Che deve pagare un prezzo alle differenze di hardware tra la scheda da bar di Capcom e quella che alberga nel 16 bit di Sega, ma che alla fin fine si fa perdonare tutto il ritardo e sbatte subito in soffitta ogni dubbio. Bello da vedere, bellissimo da giocare, infinito con gli amici (ma scornacchiato nell’ugola), lo Street Fighter II del Mega Drive è un grande Street Fighter II. E ora via a cercare di sbloccare Sheng Long!
Che ci si rivolgesse alla grande distribuzione, a un negozio della catena Giocheria (responsabile della distribuzione ufficiale dei prodotti di Sega in Italia in quegli anni) o a un negozio indipendente e specializzato, il ritornello non cambiava: si poteva chiedere “il joypad a sei pulsanti7 del Mega Drive”, a patto che non fosse andato esaurito. Insomma, il joypad era quella cosa lì. Gli appassionati lo riconoscevano come tale, sulle riviste ci si riferiva con questo termine e non sembravano esserci tanti dubbi. Però…
Però il joypad non è mai esistito. Secondo Nintendo, Sega, SNK e NEC prima, e Sony e Microsoft poi, nessun accessorio e dispositivo per le proprie console da gioco era identificato come “joypad”. Nintendo ha scelto il termine “controller” fin dal debutto in occidente del NES (Nintendo Entertainment System, 1985). Sega si è mantenuta su “control pad” dal Master System (1986) al Saturn (1995), passando per il Mega Drive (1989), virando su “controller” con il Dreamcast (1998). Per l’Italia la scelta di Sega è stata: “pulsantiera di controllo”, ma va detto che nessun essere umano si è mai riferito a quegli affari, spigolosi o arrotondati che fossero, in cotal guisa. Anche NEC, SNK e Atari definiscono “controller” quelli di, rispettivamente, Turbografx-16, Neo Geo (anche CD) e Jaguar. Sony nel 1995 (PlayStation) e Microsoft nel 2001 (Xbox) arriveranno a cose già fatte, adeguandosi a loro volta a “controller”.
Allora perché noi altri con alcuni decenni sulle spalle, chiamavamo “joypad” gli strumenti essenziali per arrivare a tritare le chiappe a Mr. X in Streets of Rage 2 o a sfuggire a un “shell shock!” sicuro in TMNT: Turtles in Time? È unicamente “colpa” delle abitudini delle riviste specializzate? Probabilmente sì. Anche quando non erano i recensori a farlo, ci pensavano le inserzioni pubblicitarie degli innumerevoli negozi d’importazione, che spingevano decisi sul pedale del “joypad” (tralasciando la pubblicazione mensile francese Joypad, che metteva tutto in chiaro fin dalla testata!). Sarà stata, forse, una questione di logica: avevamo avuto e frantumato il joystick, all’epoca delle prime console di Atari e dei microcomputer, quindi passare al joy→pad doveva essere stato quasi un automatismo. A voler ben vedere, un’eccezione alla regola del “controller” c’è stata e di mezzo ci finisce proprio Atari. Negli anni del 7800 (1986-1992) se ne esce con una periferica che è essenzialmente identica al control pad del Master System e al controller del NES: la chiama "joypad”. Il joypad del 7800 viene commercializzato solo in Europa e Australia, non è il sistema di controllo standard (non è quindi incluso nella confezione) e la scarsa diffusione e rilevanza della console rende molto difficile pensare che sia proprio da qui che nasce l’utilizzo del termine.
Lentamente ma senza lasciare scampo, “joypad” cadrà in disuso. Nella mia esperienza è stato prima tramutato semplicemente in “pad” (sono abbastanza sicuro che buona parte della mia generazione sia rimasta, comprensibilmente, ferma a questo punto) e poi si è adagiato silenziosamente su “controller”.
PATCH!
Dettagli della patch
Via Twitter mi è stato fatto notare8 che Nintendo aveva già utilizzato “open air” per definire The Legend of Zelda: Breath of the Wild. Ricordate? Ne abbiamo parlato nella precedente uscita di questa newsletter.
In un’intervista del 2017, precedente all’uscita del gioco, Shigeru Miyamoto (folletto plenipotenziario di Nintendo e creatore della serie di Zelda) si riferisce a Breath of the Wild proprio come a un gioco “open air” e spiega anche l’origine e il senso generale di quella formula. Grazie per la segnalazione!
Per saperne di più (clicca qui).
Nella stessa puntata ho anche scritto: “Sei anni fa, era il 3 marzo 2016…”. Evidentemente sei anni fa era il 2017 e infatti The Legend of Zelda: Breath of the Wild è stato pubblicato il 3 marzo 2017. Ho fatto il liceo scientifico ma non mi piace sbatterlo in faccia alla gente.
Grazie a Floriana Grasso per la rilettura e le correzioni.
I dischi che ho ascoltato questa settimana:
Fever Ray - Radical Romantics
Gomez - Whatever’s on Your Mind
Pearl Jam - No Code
Dalla pizza margherita nel menu della pizzeria Fiorillo di Monza, che vi consiglio perché è buona.
Palombella Rossa (1989, di Nanni Moretti)
I nomi dei colori dei controller diventano dei mini brand, su cui qualche team di creativi si è lungamente speso. La tendenza è sempre più quella di mantenere inalterati i nomi di ciò che si va a vendere, a prescindere dal territorio su cui si faccia.
Già che ne stiamo parlando: con il DualSense Sony ha abbandonato il nome DualShock, che utilizzava dalla fine del 1997, in piena epoca PlayStation 1.
Game Power è stato uno dei primi mensili dedicati esclusivamente ai videogiochi per console in Italia, realizzato e pubblicato (all’epoca) da Studio Vit. Citazione da Game Power 22, novembre 1993, pag. 64. Recensione di “Apecar”.
La prima conversione fuori dai confini Nintendo data 12 giugno 1993 e si parla della trasposizione per PC Engine della versione Champion Edition di Street Fighter II.
Qui potremmo aprire una parentesi bella ricca sull’utilizzo del termine “pulsanti” o “tasti” nell’ambito, ma non lo faremo oggi.
Tre osservazioni:
- ora chi lo dice a Bordone, Zampa e Fossetti che il nome del loro podcast è da rivedere?
- Nintendo ha chiamato i controller della Switch Joy-Con, in una evidente evoluzione/citazione dei Joypad 😅
- Sul sito Microsoft, il controller nuovo lo chiamano “verde velocità” https://www.xbox.com/it-IT/accessories